Chi anche a una certa età riesce a fare sonni molto profondi può star tranquillo per la propria pressione: uno studio dell’Università di San Diego in California ha dimostrato che l’ipertensione si sviluppa solo quando a mancare è il sonno ristoratore profondo, mentre altri fattori come età, razza, peso, disturbi della respirazione e durata totale o frammentazione del sonno non hanno un’influenza significativa sulla pressione del sangue. La ricerca californiana è stata obbiettivata da un controllo polisomnografico del sonno su 784 soggetti maschi con età media di 75,3 anni studiati per sei anni: l’unica variabile che influenza significativamente lo sviluppo di ipertensione è risultata la carenza di sonno a onde lente, quello più profondo e ristoratore. Se i soggetti venivano selettivamente risvegliati durante la fase di sonno profondo la loro pressione tendeva inevitabilmente a salire. Secondo lo studio alcune caratteristiche (elencate in ordine descrescente a seconda dell’importanza rilevata) tendono a ostacolare il sonno a onde lente: età elevata; difficoltà di addormentamento; disturbi respiratori; risvegli notturni; minor durata totale del sonno; circonferenza del collo; sovrappeso. In questo studio sono stati valutati solo soggetti di sesso maschile e occorreranno altre ricerche per verificare se la stessa cosa vale anche per le donne e per maschi più giovani, ma è verosimile che gli effetti positivi di questo tipo di sonno sulla pressione inneschi un meccanismo generale di regolazione che agisce sul metabolismo e sull’attività del sistema nervoso simpatico. Per quanto riguarda gli adulti un ulteriore su quarantenni pubblicato dall’Università di Chicago ha indicato che la riduzione di sonno in generale determina, soprattutto nei maschi, un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico che controlla la risposta allo stress e tale attivazione contribuisce a un aumento della pressione sanguigna che sale del 37% per ogni ora di sonno persa.