La degenerazione maculare legata all’età e la retinopatia diabetica sono tra le principali cause di ipovisione e cecità legale nei paesi industrializzati. A livello italiano, la Commissione Nazionale per la Prevenzione della Cecità si sta muovendo, nell’ambito dell’iniziativa globale “Vision 2020”, proprio per l’implementazione di un Piano Nazionale di prevenzione della cecità e dell’ipovisione, con l’obiettivo di raccogliere i primi dati su queste importanti menomazioni della vista e sulle loro cause.
“Negli ultimi anni – afferma Filippo Cruciani, Professore Aggregato di Oftalmologia dell’Università Sapienza di Roma – si è registrato un notevole incremento delle malattie degenerative della retina, in parte a causa dell’invecchiamento della popolazione, come nel caso della degenerazione maculare legata all’età, in parte perché connesso a patologie come la retinopatia diabetica, una complicanza del diabete che a sua volta colpisce una fetta importante della popolazione. Se si pensa che ogni anno in Italia sono circa 20.000 i nuovi casi di degenerazione maculare neovascolare legata all’età (AMD), è evidente il forte impatto di questo genere di malattie sia in termini di salute che a livello sociale, costituendo un notevole deficit funzionale per i pazienti”.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), viene definito ipovedente colui che ha un’acuità visiva compresa tra valori di poco superiori a 1/20 ed inferiori a 3/10. Al di sotto di 1/20 un soggetto è dichiarato cieco. Che cosa significano questi valori? Semplicemente che, nel caso di 1/20, un soggetto riconosce ad un metro di distanza un simbolo o un oggetto che una persona normale riconosce a 20 metri, nel caso di 3/10 riconosce a 3 metri ciò che dovrebbe riconoscere a 10 metri. In pratica un soggetto ipovedente non riesce a leggere caratteri di stampa standard, non riconosce i volti delle persone e ha anche difficoltà nei movimenti. In Italia il concetto legale di cecità-ipovisione è stato ridefinito con la legge 3 aprile 2001, n. 138 che ci pone all’avanguardia nel panorama mondiale, prendendo in esame, per la valutazione del danno, non solo lo stato della visione centrale ma anche quello della visione periferica.
“Oggi c’è scarsa attenzione verso l’ipovisone, che tuttavia è in crescente aumento. – continua Cruciani – E’ vero che l’ambiguità visiva che deriva da queste condizioni, che rendono i pazienti né ciechi né normovedenti, è sicuramente una condizione difficile da monitorare in termini epidemiologici, ma è assolutamente necessario farlo in considerazione del fatto che queste patologie impediscono all’individuo che ne è affetto lo svolgimento della sua attività di vita sociale e lavorativa e il perseguimento delle sue più basilari esigenze di vita”.
Come si può allora incidere su questi deficit o meglio sulle malattie delle retina che ne sono causa?
“Ranibizumab è un trattamento di comprovata efficacia e sicurezza, sia nella degenerazione maculare neovascolare legata all’età che nella diminuzione visiva causata dall’edema maculare diabetico. – dichiara Francesco Bandello, Professore Ordinario di Oftalmologia e Direttore della Clinica Oculistica dell’Università Vita-Salute, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano – Esiste un’ampia letteratura scientifica che dimostra come i pazienti affetti da AMD trattati con questo farmaco hanno presentato un miglioramento duraturo della visione con un guadagno dell’acuità visiva fino a 11,3 lettere ad un anno dal trattamento. Incominciano inoltre ad emergere in letteratura anche i primi dati raccolti a livello internazionale, che dimostrano proprio come l’utilizzo dei farmaci anti-VEGF ha portato ad una riduzione del 50% dei casi di cecità legale in pazienti con età superiore ai 50 anni”.
Il profilo di efficacia e sicurezza locale e sistemica di ranibizumab è ben caratterizzato dall’ampio programma di studi clinici su oltre 10.000 pazienti nelle varie indicazioni, ma è anche confermato da oltre un milione di pazienti-anno di trattamento. Ranibizumab è stato recentemente approvato dall’EMA anche per il trattamento della diminuzione visiva causata dalla DME, l’edema maculare diabetico. Lo studio clinico RESTORE ne ha dimostrato la superiorità rispetto alla terapia-laser, l’attuale terapia di riferimento: i pazienti trattati solo con ranibizumab hanno guadagnato a 12 mesi rispetto al basale in media 6,8 lettere, mentre i pazienti trattati con ranibizumab in associazione al laser hanno guadagnato rispetto al basale 6,4 lettere e quelli del gruppo trattato con il laser solo 0,9 lettere in media. Nell’estensione a tre anni dello studio RESTORE si è osservato che i pazienti trattati con ranibizumab hanno mantenuto l’acuità visiva guadagnata nel primo anno: una media di 2,7 iniezioni nel secondo anno e 3,7 iniezioni nel terzo anno.
“I benefici di ranibizumab sono anche legati alla possibilità di personalizzare la terapia – specifica Bandello – Nella maggior parte dei Paesi, inclusa l’Europa, ranibizumab ha un regime di trattamento individualizzato con l’obiettivo di massimizzare i risultati sulla visione evitando il sotto o over trattamento dei pazienti. Questo permette di mantenere gli effetti del trattamento con un numero di iniezioni intravitreali strettamente necessario.”
Analizzando la qualità di vita di un paziente affetto da DMLE o da DME si riscontra l’importante drammaticità con cui vengono vissute queste patologie. Solo per fare degli esempi, circa il 33% dei pazienti con DMLE neovascolare e con un’acuita visiva inferiore a 3/10 è affetto da depressione maggiore; una DMLE di grado medio viene paragonata ad un HIV sintomatico oppure ad un’angina; una DMLE severa o avanzata determina una riduzione del coefficiente della qualità della vita del 63% e viene paragonata ad un infarto, un ictus o un tumore prostatico avanzato.
“L’appropriatezza terapeutica e l’accesso alle terapie più innovative e di comprovata efficacia e sicurezza – conclude Cruciani – sono fondamentali non solo perché danno un aiuto concreto al paziente per affrontare la vita di tutti i giorni, ma anche perché possono incidere positivamente in termini di costi indiretti legati all’assistenza che gravano sullo Stato e quindi sulla società”.
In Italia Ranibizumab è rimborsato dal SSN per i pazienti con degenerazione maculare neovascolare attiva e con acuità visiva con la migliore correzione ≥ 2/10.