C’è un nesso evidente tra l’iperventilazione e il nostro stato d’animo. Studi scientifici confermano il rapporto tra respiro e benessere
Con il freddo ed il buio dell’inverno si assiste ad un riacutizzarsi dei disturbi di depressione, sempre più diffusi nella nostra “società del benessere”. Alla depressione si unisce spesso anche l’ansia, sensazione normale in determinati periodi e reazione naturale di fronte ad un pericolo e alla prospettiva di perdere qualcosa di prezioso. Se però le sensazioni di depressione e ansia si verificano molto spesso e senza ragione e perdurano a lungo, e se l’ansia si trasforma a volte in veri e propri attacchi di panico, allora occorre approfondire la situazione e prendere i provvedimenti necessari per far tornare la serenità. Queste sensazioni infatti non solo ci tolgono la “gioia di vivere”, ma hanno anche conseguenze dannose per la nostra salute fisica.
Appare infatti sempre più evidente il nesso che vi è tra lo stato d’animo delle persone e la loro salute fisica. Tra le migliaia di studi earticoli sull’argomento, ci sono le conclusioni dell’ American Heart Association, University of North Carolina, in cui si è messo in evidenza come degli studi, condotti su ben 12.453 persone in un periodo di 8 anni, abbiano dimostrato che coloro che soffrivano per lunghi periodi di stress, ansia e irritazione, avevano una probabilità di attacchi cardiaci in misura superiore del 42%-69% rispetto alle persone più tranquille e serene.
Risultati analoghi sono stati messi in evidenza da ricercatori della Johns Hopkins University che, seguendo 1000 studenti dal 1948 al 1994, hanno accertato che gli studenti più “irritabili” e ansiosi avevano un rischio di problemi di cuore, in età relativamente giovane, pari al triplo rispetto agli studenti di temperamento più calmo e poco irritabile. L’autrice dello studio, Dr. Patricia Chang, osserva che la rabbia e l’irritazione causano un rilascio di ormoni che provocano costrizione dei vasi sanguigni, aumentando quindi il rischio di attacchi cardiaci.
Si tratta indubbiamente di problemi complessi, sui quali influisce un gran numero di fattori, dallo stress sul lavoro o in famiglia ai traumi, agli squilibri ormonali, all’alimentazione sbagliata e molto altro. Ciò che tuttavia lascia perplessi è che quando vengono effettuati questi studi sul rapporto tra ansia/stress e salute fisica, in genere si osserva e si colpevolizza tutto il possibile meno il modo usuale di respirare delle persone ansiose e stressate, al quale non si dedica attenzione; come se si il modo in cui si respira continuamente, giorno e notte, fosse un fattore irrilevante per la salute mentale e fisica!
Eppure vi è un nesso evidente tra il modo in cui respiriamo e il nostro stato d’animo; quando siamo calmi e sereni il nostro respiro è lieve, tranquillo e impercettibile mentre quando siamo ansiosi o irritati anche il respiro diventa rapido e affannoso. Quando vediamo una persona in queste condizioni, la saggezza popolare (frutto dell’esperienza di secoli) ci porta a consigliarle, per calmarsi, di fare qualche “bel respiro profondo”. Si tratta di un consiglio giusto se per respirare ”profondamente” si intende un respiro in cui l’aria viene fatta lentamente andare nella parte “profonda”, e cioè bassa, dei polmoni, tramite una respirazione diaframmatica; il consiglio è invece sbagliato se inteso nel senso di ripetuti, rapidi respiri in cui i polmoni vengono gonfiati e riempiti d’aria, velocemente ed al massimo della capienza.
I benefici di una lenta respirazione diaframmatica
Una lenta respirazione diaframmatica è benefica non solo perché il movimento del diaframma ottimizza la circolazione linfatica, ma anche perché in questo modo l’aria introdotta finisce nella parte bassa dei polmoni, e gli alveoli della parte bassa dei polmoni, diversamente da quelli che si trovano nella parte alta, sono circondati da una fitta rete di capillari, per cui l’ossigeno contenuto nell’aria respirata passa dai polmoni al sangue in quantità maggiori. Se invece, più che a far andare lentamente l’aria nella parte bassa dei polmoni muovendo il diaframma si comincia a gonfiare velocemente i polmoni, anche con una rapida respirazione toracica, allora il rimedio rischia di essere peggiore del male, perché si finisce con il “respirare troppo” o, per usare il termine tecnico, si finisce con l’iperventilare .
Cosa significa “iperventilare”?
Più che “respirare troppo” in assoluto, significa invece respirare in modo eccessivo rispetto alle esigenze dell’organismo impegnato in una determinata attività. Una respirazione che sarebbe giusta e adeguata se si stesse correndo o comunque svolgendo attività fisica, (e durante l’attività fisica l’organismo produce una grossa quantità di anidride carbonica -CO2-, che deve essere in parte eliminata accelerando la respirazione) è invece eccessiva e dannosa se si è seduti e immobili, e magari si è in ansia per un esame da affrontare il giorno successivo o “irritati” con il vicino di sopra che fa rumore.
Guardiamo ad es. il fenomeno dell’ ”ansia da prestazione”; si tratta di un problema molto comune che, anche se non ha in genere conseguenze negative per la salute, può tuttavia farci mancare occasioni importanti, in cui avremmo voluto “dare il massimo” e non ci siamo riusciti a causa di quest’ansia. Quante volte, davanti ad un esaminatore/possibile datore di lavoro/capoufficio, in una recita o discorso in pubblico improvvisamente ci siamo trovati alle prese con amnesia/batticuore/voce tremolante, e abbiamo fatto una “brutta figura”!
Purtroppo, la costituzione del nostro organismo è ancora quella dell’uomo preistorico e, quando dobbiamo “dare il meglio” l’organismo, nella sua grande saggezza innata, pensa che, come capitava ai nostri antenati preistorici, dovremo affrontare un nemico armato di clava o un leone, e non un esaminatore o capoufficio, e quindi ci mette a disposizione tutte le reazioni che ci sarebbero utili se dovessimo affrontare al meglio non una prestazione mentale-artistica, ma un grosso sforzo fisico, e quindi ci fa accelerare la respirazione.
Basta questa riflessione per capire che, quando lo sforzo che dovremo affrontare non è fisico, ma mentale, sarebbe bene non intensificare la respirazione (e quindi niente “bei respiri profondi” ) ma al contrario diminuirla. Forse i nostri discendenti, tra migliaia di anni, avranno un organismo che in situazioni di stress reagirà automaticamente mettendo l’organismo in condizioni tali da ottimizzare le prestazioni intellettuali e non quelle fisiche.
Il frequente ripetersi degli episodi di stress quotidiano non accompagnato da contemporanea o immediatamente successiva attività fisica porta allo sfasamento del ritmo respiratorio, che diviene in permanenza, anche quando si dorme, un po’ più intenso del necessario. Legittimo domandarsi: “ma che male c’è a respirare anche molto più del necessario? Si introduce più ossigeno, che fa bene, e si elimina più CO2 (anidride carbonica), che fa male!” E invece le cose non stanno così, come sostiene la prof. Fiamma Ferrero, sostenitrice del metodo Buteyco.
Il metodo del Dott. Buteyko e gli esercizi di respirazione
Gli esercizi elaborati in base agli approfondimenti del prof. Buteyko sono di efficacia clinicamente provata per l’asma (con sperimentazioni cliniche in doppio cieco effettuate in Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Canada ed USA) ma, in base all’esperienza di moltissimi medici e pazienti soprattutto nel mondo di lingua inglese, sono particolarmente efficaci anche per ansia e panico e, portando ad un modo di respirare più sano, sono benefici in genere per tutto l’organismo.
Esiste una grande quantità di studi e pubblicazioni scientifiche sull’iperventilazione, dai quali purtroppo il mondo medico non ha ancora tratto tutte le possibili conclusioni pratiche-operative.
Tutti sanno ormai che per nutrirsi bene non basta riempire lo stomaco con la maggior quantità possibile di cibo, anche di ottima qualità; occorre invece che il cibo -mangiato in quantità giusta- venga assimilato bene e produca energia.
Stranamente invece, per quanto riguarda la respirazione, molti pensano che per godere delle proprietà vivificanti dell’ ossigeno (O2), sia sufficiente introdurlo in grandi quantità nei polmoni con la respirazione. Ed invece occorre innanzitutto che l’O2 passi dai polmoni al sangue , e che poi dal sangue passi nelle cellule dei tessuti, nei mitocondri, per produrvi energia.
E paradossalmente, per consentire il passaggio dell’O2 dal sangue ai tessuti è necessaria la presenza di CO2 in quantità sufficiente. In assenza di CO2 nella giusta concentrazione, l’ossiemoglobina nel sangue non può liberare l’ossigeno e lasciarlo passare nei tessuti in misura sufficiente.
La CO2, in particolare in questo periodo di riscaldamento globale, è sempre messa in cattiva luce, come se si trattasse di un veleno, mentre è un elemento che, nella quantità giusta, è necessario per la vita, non solo delle piante ma anche dell’uomo.
La giusta quantità di anidride carbonica per l’organismo
La necessità della CO2 in particolare per il passaggio dell’O2 dal sangue ai tessuti non è una teoria di qualche scienziato “stravagante”; si tratta, invece, di una circostanza assodata, già scoperta all’inizio del 1900 dai due scienziati, Verigo e Bohr, e comunemente ammessa e conosciuta da tutti gli esperti del settore sotto il nome di “effetto Verigo-Bohr”. Questi scienziati hanno scoperto che la quantità di O2 che dai globuli rossi del sangue arterioso viene rilasciata e passa nelle cellule dei vari tessuti, aumenta in modo proporzionale alla quantità di CO2 presente nel sangue. Se questa O2 è troppo poca, l’ossigeno in sostanza non viene rilasciato e rimane “attaccato” ai globuli rossi del sangue, passa nel sangue venoso, arriva di nuovo ai polmoni e viene espirato; è noto che nell’aria espirata vi è ancora un 13-14%di ossigeno, e se manca O2, nell’aria espirata vi è una quantità ancor maggiore di O2.
Stranamente, però, questo effetto Verigo-Bohr, pur descritto in tutti i testi universitari di fisiologia, non era mai stato approfondito e studiato a fondo nelle sue conseguenze finché, nel 1950, il medico K.P. Buteyko non vi si è soffermato, traendone le logiche conclusioni mediche.
L’atmosfera che ci circonda contiene una concentrazione di O2 del 21%, mentre alle nostre cellule ne basta una pari al 13%; le nostre cellule hanno bisogno, invece, di una concentrazione di CO2 al 6,5% e l’atmosfera ne contiene una pari solamente allo 0,03%. In ambienti chiusi magari si arriva allo 0,05% ma siamo ancora molto lontani dal 6,5% presente nell’organismo dei bambini nel grembo materno e all’interno delle nostre cellule da adulti. Contrariamente alla pubblica percezione, la CO2 che espiriamo non era contenuta nell’aria inspirata ma è prodotta all’interno dell’organismo. Nel processo di produzione di energia, le sostanze nutritive contenute nei cibi che abbiamo mangiato sono bruciate dall’ ossigeno inspirato e producono energia (ADN adenosin-trifosfato) insieme ad acqua e anidride carbonica. L’anidride carbonica (CO2) non è soltanto un gas di scarto (come non lo è l’acqua prodotta in questo processo) ma, nella giusta quantità, è indispensabile per molte funzioni nell’organismo umano. Una respirazione eccessiva provoca, con l’espirazione, una perdita eccessiva di CO2; questa perdita causa vari scompensi nell’organismo e compromette il passaggio dell’ O2 dal sangue ai tessuti.
Tornando ora al collegamento specifico tra iperventilazione e ansia, stress e attacchi di panico: alcuni forse conoscono quello che nella medicina popolare era noto come il “rimedio della nonna“, consistente nel far respirare una persona in preda ad attacchi di panico o isterismo dentro un sacchetto di carta che le veniva messo davanti alla bocca, il che ovviamente faceva rapidamente aumentare il livello di CO2 nel sangue; si tratta tuttavia solo di una misura temporanea d‘emergenza perché se non viene corretto il modello respiratorio errato, questo temporaneo aumento viene presto disperso.
In effetti, molti studi e sperimentazioni hanno consentito di provare l’esistenza di un collegamento evidente tra attacchi di ansia/panico e iperventilazione. Tra i tanti, quello pubblicato su Arch Bronconeumol.2005 May; 41 (5):267-71, dal titolo “Prevalenza della sindrome d’iperventilazione in pazienti trattati per l’asma in una clinica pneumologica”, in cui non solo si constata l’esistenza di problemi di iperventilazione negli asmatici, ma anche un’elevata percentuale di attacchi di panico, collegati appunto all’iperventilazione.
Un altro articolo, dal titolo “Anxiety, Respiration and Cerebral Blood Flow: Implications for Functional Brain Imaging” (di Nicholas D. Giardino, Ph.D., Seth D. Friedman, Ph.D., and Stephen R. Dager, M.D-Departments of Radiology, Psychiatry and Bioengineering, University of Washington School of Medicine Seattle, WA, pubblicato su Compr Psychiatry. 2007 ; 48(2): 103–112.) conclude che “I pazienti con attacchi di panico sono tipicamente in condizioni di iperventilazione cronica, di instabilità respiratoria con frequenti sospiri, anche nei periodi in cui gli attacchi di panico sono assenti. Una iperventilazione di lunga durata causa una notevole riduzione del flusso di sangue nel cervello, ma anche un singolo sospiro può produrre una diminuzione di 1-3 mm Hg nella CO2 (anidride carbonica), diminuzione sufficiente per far diminuire il flusso di sangue nel cervello. “. Per approfondire: www.buteykoitalia.com
In sintesi, nei diversi qualificati studi scientifici si constata che l’iperventilazione e conseguente carenza di CO2 provoca uno stato di anormale eccitazione, e “un cervello sovraeccitato può creare problemi che, in realtà, non esistono.”
Quindi: ansia, paura, attacchi di panico, e molte altre emozioni negative sono spesso presenti in persone dai ritmi respiratori eccessivi, mentre la CO2 (presente in giusta quantità nelle persone che respirano in modo “tranquillo”), è un sedativo e ansiolitico naturale. La CO2 è essenziale per la stabilità e il normale funzionamento del sistema nervoso e per la prevenzione di ansia, stress, insonnia, e vari altri problemi psicologici. Tra l’altro, da molti decenni gli effetti calmanti della CO2 sono utilizzati dai medici per il trattamento e la prevenzione delle convulsioni epilettiche. (F.Ferrero)