E’ una versione miniaturizzata del tessuto della retina umana, reagente alla luce, la prima retina in provetta realizzata dall’Università americana Johns Hopkins.
Dopo tre anni dal primo risultato sulla ricerca in questa direzione, lo straordinario risultato è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications, che aveva già reso noto nell’aprile del 2011 come l’istituto giapponese Rike avesse realizzato il primo assemblaggio di un canale ottico, la struttura embrionale da cui trae origine la retina. In quell’occasione gli studiosi avevano immerso le cellule staminali embrionali in un mix di sostanze che le aveva nutrite e portate ad organizzarsi in modo spontaneo.
Lo studio attuale, coordinato da M.Valeria Canto-Sole, ha aggiunto un altro importante tassello alla ricerca, ottenendo in provetta un frammento di tessuto della retina adulto, completo delle cellule reagenti alla luce, dette fotorecettori. Si è partiti da cellule staminali indotte, ovvero cellule adulte fatte regredire nello sviluppo per mezzo di un cocktail di geni. I ricercatori spiegano che questo tessuto «offre nuove opportunità del settore della ricerca volta a salvaguardare la vista a ripristinare questa funzione nelle persone con malattie della retina».
Gli studi precedenti
Nel precedente studio giapponese si era parlato di un primo passo verso la creazione della retina artificiale, quando le staminali messe in coltura avevano formato una struttura chiamata calice ottico, composta da due strati di cellule: uno interno, composto da cellule pigmentate della retina e uno più esterno formato da cellule nervose. Questo studio aveva dunque mostrato un’organizzazione autonoma delle cellule. A questo esperimento ne era seguito uno italiano, risalente all’anno scorso, condotto da un gruppo di ricerca coordinato da Fabio Benfenati dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova – in collaborazione con Guglielmo Lanzani e il suo gruppo del Centro per le nanoscienze e tecnologie a Milano. Il risultato aveva portato alla prima retina artificiale biocompatibile, grazie all’utilizzo di un polimero semiconduttore usato comunemente nelle celle solari organiche, chiamato P3HT, il Poly(3-hexylthiophene). Lo strato di polimero, colpito dalla luce, ha funzionato come un fotorecettore artificiale, stimolando i neuroni della retina.