Per molti anni l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla formazione dei tumori, in particolare di quello al polmone, è stata oggetto di dibattito. Gli studi epidemiologici portati avanti nei diversi Paesi davano infatti risultati discordanti.
Misurare l’impatto di un fattore complesso come l’inquinamento atmosferico sulla salute di un singolo individuo, in particolare quando si tratta di malattie a lenta formazione come i tumori, è molto difficile dal punto di vista metodologico: ogni volta che emerge una relazione, bisogna verificare la presenza di eventuali altri fattori (come il fumo e le altre abitudini di vita, l’alimentazione e persino le caratteristiche genetiche di una certa popolazione) che possono confondere i dati poiché a loro volta possono essere all’origine di un aumento dei casi di cancro.
L’idea che l’inquinamento potesse facilitare la trasformazione delle cellule sane in cancerose ha però sempre avuto una solida base teorica. Oltre agli effetti tossici diretti di alcuni componenti dell’inquinamento cittadino (come il benzene) sul DNA cellulare, è noto da anni – e dimostrato da numerose ricerche epidemiologiche – che i polmoni di chi abita in città sono più frequentemente infiammati, così come è risaputo che le malattie infettive stagionali, come le bronchiti, guariscono con maggiore difficoltà in inverno e nei luoghi molto inquinati, proprio perché lo smog mantiene attivi i fenomeni infiammatori. E l’infiammazione, specie quando è cronica, è a sua volta un fattore che promuove il cancro non solo nei polmoni, ma in tutti i tessuti e organi. Mancava però una dimostrazione epidemiologica solida di questa relazione e, soprattutto, una misura dell’impatto dello smog sul rischio di cancro.
I dati sperimentali
Nel mese di luglio del 2013 la rivista Lancet Oncology ha pubblicato uno studio molto ampio, condotto in 36 diversi centri europei, che ha coinvolto 300.000 persone tra i 43 e i 73 anni in nove diversi Paesi. Per l’Italia ha partecipato il gruppo di epidemiologi dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano diretto da Vittorio Krogh. I dati ottenuti, che fanno parte del progetto ESCAPE (European Study of Cohortes for Air Pollution Effects), riguardano persone tenute in osservazione per ben 13 anni. Sono stati registrati le abitudini di vita e i cambi di residenza di ogni persona, per mettere in relazione l’eventuale comparsa di un tumore polmonare con il grado di inquinamento delle aree in cui hanno abitato.
Nel corso del periodo di osservazione si sono ammalate di cancro al polmone 2.095 persone. Di ognuna di esse è stata studiata l’esposizione alle cosiddette polveri sottili (PM 10 e PM 2,5), legate soprattutto all’inquinamento da traffico, ma anche ad altre sostanze prodotte dai riscaldamenti o dalle industrie.
Il risultato non lascia dubbi: per ogni incremento di 5 μg/m3 di PM 2,5, il rischio relativo di ammalarsi di tumore al polmone aumenta del 18%, mentre cresce del 22% a ogni aumento di 10 μg/m3 di PM 10. Sono quindi le polveri sottili le principali responsabili dell’effetto cancerogeno.
Lo studio dice anche non esistono limiti al di sotto dei quali l’effetto nocivo svanisce: si sono infatti registrati incrementi dei casi di cancro al polmone anche in gruppi esposti a un livello di inquinamento inferiore ai limiti massimi di norma secondo l’attuale legislazione europea (pari a 40 μg/m3 di PM 10 e a 25 μg/m3 di PM 2,5), limiti che peraltro vengono facilmente superati per molti giorni di seguito anche nelle grandi città italiane.
Lo studio è talmente convincente che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione ha annunciato il 17 ottobre 2013 di avere incluso l’inquinamento atmosferico e le polveri sottili (in gergo, il cosiddetto particolato) fra icarcinogeni umani di tipo 1.
Le dimensioni del rischio
È importante sottolineare che, pur presente, il rischio di ammalarsi di tumore al polmone a causa dello smog è piuttosto limitato. Secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità rilasciate poco dopo la pubblicazione di questo studio, il fumo di sigaretta è all’origine del 71% dei casi di cancro polmonare (con 5,1 milioni di decessi nel mondo), mentre allo smog è attribuibile l’8% dei casi (pari a 1,2 milioni di decessi). Inoltre, lo smog sembra essere legato principalmente all’adenocarcinoma, una forma di tumore polmonare che si spera di poter individuare precocemente con l’aiuto di test come la TC spirale e l’analisi del microRNA, ambedue ancora allo studio ma molto promettenti. Con una diagnosi precoce, l’adenocarcinoma può essere curato in una buona percentuale di casi. Infine lo smog, come il fumo di sigaretta, può essere contenuto con apposite misure di tutela della salute pubblica, oltre che con un comportamento individuale responsabile, che limiti al massimo l’uso dell’automobile durante i periodi di massimo inquinamento. La cosa più importante, però, è evitare di sommare rischio a rischio: tutti dovrebbero evitare il fumo di sigaretta, ma chi abita in città ha una ragione in più per farlo.