24 GLOBAL TRENDS
UN COMMENTO
Si può scorgere un senso unitario nei “global trends” identificati da Roper? è possibile, cioè, individuare un filo di lettura che riduca la complessità dei 24 segnali di cambiamento che (letti in rapida successione) possono apparire tra loro abbastanza sconnessi?
Innanzitutto è opportuna una precisazione sul significato di “trend” che è concetto molto spesso usato a sproposito come sinonimo di “moda” e deve venire inteso, invece, secondo la definizione proposta da Roper, come tendenza di lungo periodo, “onda lunga” destinata a durare e a produrre i suoi effetti su una molteplicità di ambiti del comportamento sociale e di consumo.
Come distinguere un trend da una moda ?
Il metodo utilizzato da Roper è quello di guardare ai drivers che hanno contribuito a generare ciascuna tendenza.
I 24 “value & lifestyle trends” non nascono in modo spontaneo. Sono manifestazioni che rimandano a dinamiche profonde e oggettive, che un tempo si sarebbero definite “strutturali”. Alcuni (per esempio la ricerca dell’occasione e del risparmio) sono diretta conseguenza della congiuntura economica, altri (per esempio la domanda di sicurezza) riflettono la dinamica demografica del progressivo invecchiamento della popolazione, altri infine (è il caso dell’arricchimento del tempo domestico, delle relazioni virtuali…) discendono direttamente dalle nuove opportunità offerte dalla innovazione tecnologica e dalla disponibilità – per un numero crescente di individui – di strumenti di informazione e di comunicazione di facile utilizzo e di costo sempre più contenuto.
Il fatto di riportare le tendenze ai drivers che hanno contribuito a determinarle non permette solo di distinguere le tendenze di lungo periodo dalle mode passeggere, consente anche di fare delle previsioni sulla loro tenuta futura e sulla loro potenzialità espansiva.
Per fare un esempio: se un trend culturale (es. la ricerca della semplicità e di ritmi di vita più lenti) può essere ricondotto all’invecchiamento della popolazione, è assai probabile che sia destinato a consolidarsi in quei Paesi (Europa, Stati Uniti, Giappone…) dove questa evoluzione demografica è ormai irreversibile mentre è più difficile che possa estendersi laddove la dinamica è di segno opposto. Diverso è il caso di una tendenza generata da un fenomeno davvero globale quale l’assunzione di un maggiore protagonismo economico e sociale da parte delle donne.
Questa è una tendenza irreversibile in Europa e negli Stati Uniti, ma è in progressiva espansione anche nei Paesi di nuova ricchezza e dunque appare destinata a produrre l’affermarsi di modelli di vita “multi-dimensionali” ispirati alla ricerca di un maggiore equilibrio tra tempi di lavoro e tempi di vita e pone alle aziende la sfida di una nuova organizzazione del lavoro in grado di tenerne conto.
Se la procedura di Roper è corretta, si può facilmente comprendere come non abbia molto significato parlare di “trend setters” come di “soggetti in grado di far nascere un trend” mentre ha molto più senso osservare con attenzione quei Paesi e quei segmenti della popolazione nei quali un trend si manifesta precocemente per coglierne in anticipo le manifestazioni e immaginarne le possibili direzioni evolutive. Fatta questa precisazione sul significato che Roper attribuisce ai trend vediamo quale senso complessivo è possibile attribuire ai “24 global trends”.
Anche a una prima, rapida lettura sono possibili alcune considerazioni di carattere generale.
La prima considerazione che il quadro offerto da Roper sollecita è relativa al progressivo superamento dei modelli culturali “tradizionali” e dunque all’affermarsi su scala globale della “cultura della modernità”. Infatti non uno dei 24 trend di Roper è riconducibile a una concezione tradizionale della vita, della famiglia, dei ruoli e delle relazioni sociali. Questo processo – che nella società europea si è compiuto tra la prima e la seconda metà del secolo scorso – investe oggi in modo potente le società dell’Asia, del Medio Oriente e dell’America Latina.La prossima frontiera sarà probabilmente rappresentata dai Paesi africani che restano per il momento ancora ai margini della modernizzazione economica (che significa – non dimentichiamolo – uscita da uno stato di povertà) e culturale (che significa superamento delle forme più arretrate e oppressive del modello di vita tradizionale). La modernizzazione non è un processo omogeneo e unilineare né di breve periodo. Dal punto di vista culturale vi si possono riconoscere almeno tre diversi “nuclei” – a cui sono riconducibili la maggioranza dei trends individuati da Roper – che in una certa misura corrispondono a fasi successive del processo di modernizzazione.
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Il primo nucleo corrisponde alla fase che gli economisti definiscono del “decollo economico” ed è caratterizzata da una piena e convinta adesione ai valori acquisitivi (la ricchezza, lo status, il prestigio sociale), dalla ricerca del successo personale, da una forte centratura sul lavoro e – come conseguenza – da elevati livelli di mobilità e di stress ma anche dalla ricerca di gratificazione attraverso l’accesso a livelli sempre più elevati di consumo. In questa fase il valore primario – che in una qualche misura governa tutti gli altri – è quello di un crescente individualismo che si contrappone alla solidarietà familistica e comunitaria della cultura tradizionale ampliando gli spazi di libertà e di autonomia degli individui ed accrescendone le “chances di vita”.
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La successiva fase “matura” dello sviluppo sembra aver prodotto due distinte linee evolutive che rappresentano due modalità tra loro complementari di “post-modernità”.La prima è quella che può essere definita dell’edonismo post-materialista a cui fanno capo trend come la ricerca di divertimento, il desiderio di avventura, il prolungamento della giovinezza e – soprattutto – la ricerca di “esperienze” che sembrano progressivamente sostituire il possesso di beni come “oggetti del desiderio” come simboli di status e di distinzione sociale. Questa ipotesi risulta confermata da una recente indagine sul “concetto di lusso” condotta da GfK Eurisko per Altagamma su un campione di studenti asiatici ed europei che ha messo in evidenza due modi ben distinti di concepire il lusso: per i giovani asiatici coincide con il possesso di prodotti costosi e di marche prestigiose, per gli europei rimanda a esperienze esclusive e generatrici di benessere in cui i prodotti (un’auto, un abito, un accessorio…) sono ancora importanti, ma come ingredienti di un’esperienza più ampia e non come fine in se stessi.
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La seconda linea evolutiva che si può scorgere nei trends segnalati da Roper è quella di una lenta e progressiva messa in discussione della cultura consumistica propria della fase di “decollo” e di industrializzazione. A questa critica si accompagna una progressiva presa di coscienza dei costi personali dello sviluppo (cfr. “vivere per lavorare” e “vite stressate”), una progressiva “smaterializzazione” della rappresentazione del benessere (cfr. i trend della semplicità, dell’autenticità e dell’apertura verso altre culture) e anche una progressiva attenzione a dimensioni sovra-individuali come la qualità sociale e ambientale.A questa tendenza – che Roper sintetizza nel modello della “quality of life” – dà oggi un contributo importante anche la tecnologia che favorisce la comunicazione e la circolazione di idee/informazioni tra contesti culturali lontani e contribuisce ad un rafforzamento della dimensione relazionale e dello scambio gratuito. Questa linea di tendenza trova accentuata manifestazione nei Paesi europei ma anche – in particolare in quest’ultimo anno di crisi economica – in Canada e negli Stati Uniti.
Guardando al futuro, si può prevedere che i tre modelli culturali a cui sono riconducibili i 24 trends di Roper – il benessere consumistico, l’edonismo post-materiale e la qualità della vita – siano destinati a convivere e a combinarsi ancora a lungo avendo tuttavia epicentri diversi: i Paesi emergenti e di nuova ricchezza il primo, gli Stati Uniti il secondo e la “vecchia” Europa il terzo. Aldilà di questi trends che riflettono fasi diverse della congiuntura economica vi sono alcune tendenze che appaiono davvero “trasversali” che riguardano specificamente la cultura e i comportamenti dei consumatori. Si tratta di “tendenze” sostenute dalla diffusione di un uso sempre più intenso di prodotti tecnologici che consentono di acquisire informazioni dettagliate, di scambiare opinioni su prodotti e servizi (la cosiddetta word of mouse) ed hanno come conseguenza l’emergere di consumatori in grado di esprimere – nei confronti sia delle aziende che dei punti-vendita – una domanda sempre più matura, esigente e selettiva.
Come agirà la crisi in atto sulle tendenze valoriali e comportamentali messe in luce da Roper? Le prossime rilevazioni dell’indagine ci diranno quali delle tendenze risulteranno accelerate e quali frenate dalla crisi finanziaria e dalla recessione globale. Al momento sono possibili solo ipotesi che devono, però, inevitabilmente tenere distinti i diversi contesti. Nei Paesi emergenti – in particolare in quelli asiatici – si assisterà probabilmente a un rallentamento ma non a una inversione dei trend acquisitivi e consumistici in atto. Un effetto più intenso si verificherà probabilmente negli Stati Uniti e in Europa. Nei primi l’intensità della crisi (e la presidenza Obama) fanno prevedere un progressivo viraggio nel senso di una maggiore domanda di etica, di trasparenza e di responsabilità sul piano dei valori e di una maggiore sobrietà su quello dei comportamenti di consumo (secondo l’antico principio del “fare di necessità virtù”).
Nei Paesi europei appaiono piuttosto destinati a rafforzarsi il senso dell’interesse comune, la consapevolezza dell’interdipendenza e l’attenzione all’interesse generale di lungo periodo e anche una disponibilità al “rimboccarsi le maniche” e al fare squadra. Questo dovrebbe portare a una valorizzazione del senso di appartenenza sia alla comunità in cui si vive sia all’azienda per cui si lavora rendendo consapevoli e orgogliosi di un progetto comune. Capacità di pensare al plurale e non solo al singolare, di guardare al futuro e non solo al presente, di unire la concretezza e la fatica del lavoro quotidiano con la passione che nasce da un orizzonte di senso.
Una variabile non secondaria ai fini del buon esito di questo processo sarà rappresentata dalla capacità di leadership che le aziende (e non solo la politica) saranno in grado di esprimere. Nelle fasi di crisi e di incertezza aumenta – da parte dei consumatori, dei cittadini e dei dipendenti – la domanda di visione, di direzione e di guida. Come ha dichiarato recentemente l’amministratore delegato del Gruppo Fiat: “Il successo di una organizzazione come di un’impresa è il risultato dell’esercizio di leadership di uomini e di donne che hanno compreso il concetto di servizio, di comunità, di rispetto fondamentale degli altri e che sono capaci di ispirare”.
Paolo Anselmi
Da Social Trends n. 106- GfK Eurisko