Secondo l’OMS la salute è “la capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Superata, quindi, la formula del 1948 che la definiva come “uno stato di completo benessere”. Meta praticamente irraggiungibile
La nuova definizione di salute a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è stata presentata alcuni anni fa, ma è passata inosservata dai media pur avendo, secondo il parere dei medici, un impatto immediato sulla gestione dei malati, e uno ancor più incisivo nel futuro.
La nuova definizione di salute è il frutto di circa 2 anni di discussione scientifica globale, avvenuta sulle più importanti riviste mediche mondiali e sostituisce la vecchia definizione, datata 1948, quindi ultrasessantenne.
La definizione del ’48 indicava la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale”. Tale definizione introduceva la soggettività della valutazione, ponendo l’accento su aspetti non solo medici, che, negli anni ’80, hanno stimolato una valutazione globale della qualità della vita e, negli anni ’90, il coinvolgimento attivo e attento negli interventi sanitari.
Non è tutto: considerare la salute come uno stato di completo benessere ha prodotto un eccesso di medicalizzazione, volto a un globale benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale. Per chi conosce la realtà medica è questo un traguardo spesso impossibile da raggiungere.
Il mondo, però, è molto cambiato dal 1948 a oggi. L’aspettativa di vita delle persone è aumentata. Quindi la popolazione è invecchiata di più di una volta, con conseguente incremento delle malattie croniche, spesso invalidanti. Nel paziente cronico il lavoro clinico è spesso associato ad altre attività di cura: la valutazione di aspetti epidemiologici, le attività necessarie alla stadiazione, il monitoraggio dei dati clinici e il controllo dell’evolversi della malattia. L’evoluzione della cronicità è spesso lenta e segue in modo lineare l’invecchiamento della persona. Nel decorso anche pluridecennale di molte malattie croniche, la patologia procede con fasi improvvise di riacutizzazione o scompenso o con caratteristica di prevedibilità: è richiesto un programma di monitorizzazione dei dati clinici e la disponibilità di applicazioni terapeutiche. La presa in carico del soggetto cronico ha oggi un ruolo prioritario nella programmazione degli interventi. È necessario il superamento dell’approccio specialistico tradizionale, per focalizzarsi sulla persona, sulla valutazione globale e multidisciplinare dei bisogni, per promuoverne dignità, qualità di vita e salute.
In queste condizioni è chiaro che il completo benessere fisico diventa ancor di più un traguardo irraggiungibile. In base a tale obiettivo, però, la classe medica si è sentita spesso legittimata a curare oltremodo il paziente, spesso al di là anche di ogni ragionevole limite. Questo atteggiamento ha portato al rischio di insostenibilità della spesa farmaceutica nei Paesi industrializzati e ha suscitato problematiche etiche. Di fatto, nei Paesi ad alto reddito, per un paziente ultraottantenne con scarse possibilità di vita si spendevano migliaia di euro per allungare anche soltanto di qualche giorno o di un qualche ora la sua esistenza. Accanimento terapeutico? Parliamone….
Riconosciuta dalla classe medica la nostra capacità di salute
Queste e altre considerazioni hanno fatto sì che nel 2008 la classe medica mondiale si interrogasse su queste problematiche e introducesse un nuovo concetto, forse più attuale, di salute. La nuova definizione presentata nel 2011 definisce la salute come “la capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”.
Tale definizione pone l’accento sulla capacità dell’uomo/persona di convivere con la malattia nelle sue varie fasi. È chiaro che l’invecchiamento e la cronicità influenzeranno le modalità di misurazione /valutazione dello stato di salute. Tale proposta continua a porre al centro del ragionamento il paziente/persona, prevedendo, però, che attraverso lo sviluppo di risorse interne, tipiche di ciascun individuo, si possano affrontare con successo anche condizioni di malattia e disabilità.
Quindi, se la definizione del 1948 poteva aver portato a un eccesso di medicalizzazione con consumo eccessivo di risorse non sempre associato ad aumento dello stato di salute, la nuova definizione potrebbe portare a un uso più razionale delle risorse con esiti positivi sulla salute delle persone. Salute intesa come convivenza e accettazione dello stato di salute di quel momento che comunque consente la capacità di autogestirsi, quindi di vivere, anche in condizioni di irreversibile perdita di salute.
E’ importante mantenere il più possibile cronica la cronicità, garantendo al paziente il miglior esito clinico, ritardando il più possibile il danno d’organo con le note conseguenze in termini di invalidità e/o disabilità. Per questo tipo di attività non necessariamente è richiesta un’alta specializzazione e la presa in carico non si esaurisce nel tipico intervento ospedaliero acuto, ma si sviluppa in molteplici attività cliniche e gestionali. Il supporto di una piattaforma informatica efficiente potrebbe risolvere il raggiungimento di questo obiettivo. Inoltre occorre massimizzare il valore per il paziente, definito in base ai risultati terapeutici conseguiti, ottenendo il meglio al costo minimo, in un’ottica di sostenibilità del sistema sociosanitario.
Non sappiamo dove questo nuovo approccio potrà portare. Moti dibattiti sono aperti sulla sua impostazione logica e culturale. È sicuramente importante segnalare comunque questo cambiamento del concetto di salute…almeno per iniziare una discussione.
Bibliografia di supporto
- Word Health Organization (1948). Constitution of -Word Health Organization (WHO). Geneva (World Basic Documents)
- Huber et al. BMJ 2011;343:d4163
- Lancet 2009;373;781
- Jadan A et al. BMJ 2008; 337; a2900
- RockstromJ et al. Nature 2009;461;472-5
- Godlee F. BMJ 2011;343; doi;10.1136/ bmj.d4817