Il fatto: Il Tribunale di Milano ha stabilito una condanna a sei mesi di reclusione per i tre manager di Google (David Cael Drummond, George De La Reyes, Peter Fleischer responsabile privacy) accusati di violazione privacy e diffamazione, a causa di un video di cyber-bullismo, uploadato su Google Video. Il quarto dirigente di Google è stato assolto. Google risponde che la sentenza rappresenta un attacco alla cyber-libertà e è uno schiaffo “ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito internet”. Lo ha detto Marco Pancini di Google.”Il diritto di impresa non può prevalere sulla privacy e sulla tutela dei diritti della persona” hanno commentato i Pm Francesco Caiani e Alfredo Robledo. Cala il sipario sul controverso processo che ha visto da un lato imputati quattro dirigenti ed ex manager di Google, a causa di un video postato da studenti su Google Video, dall’altro il Pm del Tribunale di Milano che ha chiesto un anno di carcere per i tre dirigenti e sei mesi per un quarto. Secondo un recente articolo del Times Online è un processo test che fa giurisprudenza.
Ecco la storia del processo a Google. Lo scorso febbraio il padre del ragazzo aveva ritirato la querela a Google. Ma il caso ViviDown potrebbe diventare un precedente, soprattutto per YouTube in Italia. L’indagine era stata avviata nel 2006. “Mentre ci preme rinnovare la nostra solidarietà alla famiglia del ragazzo e alla associazione Vividown, crediamo fermamente che questo procedimento non riguardi Google Video e quello che è successo, ma riguardi Internet come la conosciamo: un ambiente aperto e libero”, commentava un portavoce di Google, già lo scorso luglio. Vividown ha risposto alle accuse di censura, respingendole completamente: l’associazione, che difende il ragazzo autistico, usa quotidianamente Internet e non ha intenti censori. A portare all’attenzione pubblica il caso, nel mondo anglosassone, è stata International Association of Privacy Professionals (IAPP). Google Italia si è finora difesa affermando di fornire un servizio come fa un postino (un semplice intermediario) e, appena le è stato segnalato il video incriminato, lo ha rimosso e ha permesso che i responsabili del reato venissero identificati e affidati alla Giustizia italiana. Google non può essere considerata colpevole di un’intermediazione. “Google è un motore di ricerca, non un giornale”, ha spiegato l’avvocato Giuliano Pisapia, tra i difensori di Google. “Tentare di fare in modo che piattaforme neutre siano responsabili dei contenuti messi online da loro utenti” è un attacco frontale a una rete Internet libera e aperta secondo i principi della Net Neutrality. Google Italia ha sempre espresso solidarietà al ragazzo vittima, e ha espresso soddisfazione per il fatto che i colpevoli del reato siano stati identificati (anche grazie al terribile video) e puniti.
Secondo il decimo Rapporto Annuale Eurispes-Telefono Azzurro, condotta su 1.373 questionari, l’odioso fenomeno del bullismo è molto diffuso in Italia. Dall’indagine emerge che il bullismo e il cyber-bullismo crescono: un quarto dei bambini italiani e circa un quinto degli adolescenti e’ stata vittima di molestie a sfondo bullista nel 2009.
Il caso Google Italia è un terremoto nella Net economy (già scossa dalla bufera Tlc su Fastweb e Telecom Italia Sparkle) e nel mondo della cultura digitale italiana. A caldo Google ha commentato che la sentenza rappresenta un attacco alle libertà online. Peter Fleischer, l’esperto per la Privacy di Google, uno dei 4 condannati, ha commentato: “La legge europea stabilisce il principio di segnalazione e rimozione di contenuti illeciti. Ed è ciò che abbiamo fatto”. In Italia cosa sta però succedendo?
In attesa di leggere la sentenza entro 90 giorni, il verdetto sul video del cyber bullismo sembra introdurre il principio di responsabilità. In parole povere significa che YouTube si dovrebbe comportare “come un giornale scritto da giornalisti”, e non come un provider di contenuti generati dagli utenti (user generated content – Ugc), su cui il controllo non è possibile de facto se non a posteriori. Il video sulle vessazioni, infatti, venne eliminato da YouTube dopo la denuncia. Invece, il principio di responsabilità, a cui sembra riferirsi la condanna dei tre dirigenti di Google, crea una situazione paradossale: l’ex Google Video, YouTube e i social network dovrebbero agire quasi come in Cina, Birmania e Iran. Google avrebbe dovuto ottenere (oppure chiedere agli autori del video…) una sorta di liberatoria alla pubblicazione delle immagini .
Secondo questo scenario, YouTube dovrebbe “sapere” quali video vengono uplodati in ogni momento, visionarli e decidere quali video non pubblicare. Ciò può essere possibile per un editore, ma non per un sito di video condivisione che ha ben altri numeri di upload e sharing.
Secondo comScore il mercato dei video online è in grande crescita (dati di ottobre). Più di 167 milioni sono i navigatori statunitensi che hanno guardato video online in un mese: l’84.4% di tutti i Web surfer americani. Hanno guardato 28 miliardi di video online, circa 167 video a testa. Ogni visitatore ha passato 10.8 ore guardando video online a ottobre (e ogni video dura circa 3.9 minuti). Google guida la classifica con il 38%, e di questi il 99% è stato visto sul sito di video condivisione YouTube. Lo scenario è dunque complesso: YouTube non è una stazione televisiva nè un Tg con gli stessi doveri.
E in Italia? Nonostante il dietro-front del Decreto Romani, il sito di video sharing di Google è ancora sotto pressione: nel mirino di Mediaset (pende come una spada di Damocle una causa miliardaria per violazione di copyright); inoltre YouTube si è vista respingere il ricorso sui video del Grande Fratello (Mediaset ha vinto in tribunale 2 a zero). In attesa del ricorso di Google Italia sul caso del video delle vessazioni, per i provider, YouTube e i social network (Twitter, Facebook, Flickr eccetera) l’Italia diventa un campo minato. Un piano inclinato in cui è complicato operare. O comunque un terreno molto scivoloso per tutti i fornitori di Ugc in Italia.
Fonte ITEspresso.it
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