Dove conserviamo i dati
La base dei problemi.
Come abbiamo visto, un elaboratore che si nutre di dati, li elabora e fa uscire nuovi dati. Nelle vecchie calcolatrici, meccaniche o “pomposamente” digitali, i dati in entrata erano forniti dal “dito” dell’operatore che impostava anche il programma di calcolo, una somma oppure una divisione, e la calcolatrice scriveva il risultato su una striscia di carta piuttosto che su un piccolo schermo.
Alcune calcolatrici avevano la possibilità di fare un secondo calcolo sul risultato del primo che avevano registrato “in memoria”.
Alcune calcolatrici più evolute avevano i tasti M+, M-, MC, MR che permettevano di conservare in una memoria a parte un dato, per esempio il risultato di una moltiplicazione poteva essere sommato al contenuto della memoria permettendo di fare la somma di vari prodotti che era poi visualizzata con il tasto MC (memory call). Al termine di tutto questa memoria aggiuntiva era cancellata con MR (memory reset).
Negli elaboratori tutti i dati intermedi, cos’ come il programma, sono registrati nella memoria interna che però ha un difetto: quando si spegne l’elaboratore tutte le registrazioni si perdono. Anche in questo caso la tecnica e l’emulazione sono venute in soccorso agli informatici con i nastri magnetici.
Un italiano, Arrigo Castelli, è stato il primo a incidere rumori su filo d’acciaio. Rumori che poi sono diventate voci, filo d’acciaio che poi è diventato nastro magnetico, tramite un oggetto da lui brevettato che, per la sua utilità e le sue applicazioni, sarebbe entrato nella storia: il magnetofono.
Era il 1947 ed Arrigo Castelli , scomparso lo scorso dicembre, ha inventato un sistema rivoluzionario, primo passo verso il moderno registratore. Il magnetofono registrava il suono, trasformato in impulsi elettrici, su un supporto magnetico che poi era in grado di restituirli abbastanza fedelmente.
Anche le informazioni che “girano” in un calcolatore sono segnali elettrici e quindi il “magnetofono informatico” non è altro che un magnetofono un po’ più preciso. Forse qualcuno di voi ricorda il Vic20 ed il V64, due progenitori dei Personal computer, che avevano una “unità nastro” che altro non era che un mangianastri senza altoparlante.
I nastri negli anni sono diventati sempre più capienti e perfetti, ma avevano un grosso limite: tutti i dati andavano letti in sequenza e quindi se per un problema dovevo leggere i dati in un ordine diverso da come erano scritti avevo due possibillità, o riorganizzare il nastro o andare continuamente avanti e indietro per trovare il dato che mi interessava.
Altra limitazione dei nastri era la quantità di dati registrabili. La tecnica ha migliorato continuamente la qualità dei nastri e la densità di registrazione, ma ben presto il limite è stato raggiunto e le dimensioni fisiche quali la lunghezza totale ed il diametro della bobina di supporto non potevano essere aumentate. I dischi magnetici.
A questo punto i tecnici si ispirarono ai dischi. Questi supporti avevano in comune con i dischi musicali soltanto la forma, la tecnica di registrazione era completamente differente. Uso i verbi al passato perché questi primi dischi per la registrazione si ispiravano ai nastri, cioè esistevano delle testine “magnetiche” che incidevano elettricamente il disco. Incidere elettricamente non vuol dire, come nei primi gloriosi “78 giri” scavare un solco proporzionale al suono ricevuto, ma con un segnale elettrico modificare il contenuto magnetico della superficie del disco.
I dati erano registrati sul disco su “piste” concentriche ed un apposito indice registrava la posizione nella quale ciascun gruppo di dati era posizionato.
Anche per questi supporti la tecnica ha fatto passi velocissimi. Nel 1956 fu costruito dalla IBM un grosso armadio alto più di un uomo che conteneva 50 dischi ciascuno dei quali poteva registrare 100 kbytes (ricordate K equivale a moltiplicare per 100). Intorno al 1970, sempre la IBM lanciò le unità 2311 che erano dei giradischi grandi come una lavatrice nelle quali era possibile inserire un disco, che con i suoi accessori pesava qualche kilo, capace di circa 7 Mbytes ( cioè 27.000.000 di bytes) e quindi la sua capacità era circa il 75% dei 50 dischi del RAMAC. Circa 10 anni dopo un armadione IBM, il 2314, poteva contenere nei suoi dischi multipli circa 270 Mbytes e quindi oltre 50 volte il disco singolo del 2311 o i 50 dischi del RAMAC.
Negli stessi anni si usavano i dischetti o “floppy disk”, cioè i dischi flessibili in contrapposizione ai grandi dischi rigidi. I “floppy” erano piccoli attrezzi maneggevoli capaci di contenere buone quantità di dati per conservarli o trasportarli altrove ed il tutto a prezzo contenuto.
Anche per i dischetti le dimensioni e le capacità sono rapidamente aumentate. I primi floppy del diametro di circa 20 cm contenevano 128 K bytes (128.000), gli ultimi, ancora in circolazione con un diametro inferiore a 10 cm contenevano circa 1,4 Mbytes (1.400.000) bytes.
Ultimi nati, nel campo dei dischetti, sono i CD (compact disk). Come al solito la musica ha fatto da battitrice e questi supporti molto leggeri e sicuri sono capaci di contenere circa 1 ora di musica.
Per registrare i CD si è passati da una tecnologia magnetica ad una tecnologia laser. Nella tecnologia magnetica una testina scrivente magnetizza più o meno la superficie del disco e, in un secondo tempo, una testina lettrice è sensibile ai cambi di magnetizzazione e li traduce in suoni.
Nella tecnologia laser, la luce speciale che questo dispositivo emette, modifica la composizione della superficie del disco. Un laser-lettore sarà capace di innescare il procedimento contrario.
L’uso del laser, molto più preciso della testina magnetica, ha reso possibile scrivere i dati “molto più vicini” ed ha quindi aumentato la quantità di dati registrabili.
Rispetto alla registrazione magnetica, la registrazione laser ha il difetto che il CD poteva essere registrato 1 sola volta.
Oggi, di progresso in progresso, esistono particolari compact disk i DVD doppia faccia, che possono contenere 8 Gbyte (8.000.000.000 bytes) e sono anche riusabili.
Ovviamente anche per i dischi grandi, quelli dei grandi elaboratori, sono stati fatti passi da gigante e per le capacità occorrerà abituarci anche ai fratelli maggiori di tera quali peta, exa, zetta e yotta.