Il museo di domani, tra arte e innovazione

Pubblicato il 5 Aprile 2018 in da redazione grey-panthers

La tecnologia ci dice quanto amiamo l’arte. Visitare un museo, soffermarsi più o meno a lungo davanti a un dipinto, essere folgorati da un volto o da pennellate di colore inteso. Tutte sensazioni che ben conosciamo e abbiamo provato molte volte. Ora, grazie alla tecnologia, si può avere la possibilità di misurare e valutare con precisione e attendibilità i sentimenti che ci muovono verso l’arte. È questo, in sintesi, l’obiettivo di Intesa Sanpaolo Innovation Center in collaborazione con le Gallerie d’Italia. L’obiettivo è di valorizzare e rendere fruibile al meglio il patrimonio artistico con l’ausilio delle più aggiornate conoscenze e tecnologie nel campo delle neuroscienze, per realizzare il museo di domani.

Cosa proviamo quando guardiamo un quadro? Che sentimenti ci suscitano i colori e le sfumature utilizzare dall’artista? Quali sono gli elementi pittorici che più attraggono la nostra attenzione? Una risposta arriva dalle rilevazioni che la società TSW, specializzata in neuromarketing, ha svolto su un campione di visitatori analizzando le risposte psicofisiologiche, cioè movimenti oculari e attivazione del sistema nervoso centrale e periferico, generate dalla visione di quattro opere della mostra “L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri” in corso alle Gallerie d’Italia di Milano: le tre tele dedicate al “Martirio di Sant’Orsola”, realizzate da Caravaggio, Bernardo Strozzi e Giulio Cesare Procaccini, e “L’Ultima cena di Procaccini”, l’imponente dipinto esposto dopo un importante intervento di restauro.

 

Grazie all’utilizzo di occhiali eye-tracking per la visualizzazione dei movimenti oculari e dei punti di maggior focalizzazione, di un misuratore dell’attività elettrica cerebrale per l’identificazione delle risposte emotive e di un braccialetto per la rilevazione della micro-sudorazione periferica, sono stati registrati i differenti impatti emotivi delle quattro opere d’arte. L’impiego dell’analisi psicofisiologica ha consentito di valutare l’esperienza di fruizione artistica per ciascuna tela. Il “Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio”, capolavoro della collezione di Intesa Sanpaolo, e “l’Ultima cena” di Procaccini sono risultate le opere di maggiore impatto per l’intensità emotiva provata dal campione di visitatori. Il Caravaggio ha generato la più elevata risposta di piacevolezza tra i quadri esposti, mentre Procaccini ha attratto e trattenuto maggiormente l’attenzione, registrando il più alto grado di coinvolgimento del pubblico.

 

L’analisi aggregata delle fissazioni oculari permette di comprendere le componenti che attirano maggiormente l’attenzione delle persone, nonché il grado del flusso di visualizzazione. Nei primi 30 secondi di esposizione alla Sant’Orsola di Caravaggio sono risultati in assoluto più salienti i volti dei protagonisti e la ferita inflitta dalla freccia. In particolar modo risultano molto coinvolgenti sia il volto di Attila che la ferita della Santa, mentre appaiono leggermente meno impattanti da un punto di vista visivo i restanti volti. Con il passare del tempo i partecipanti hanno portato l’attenzione anche verso gli altri personaggi raffigurati nel quadro. Quest’analisi permette di comprendere cosa davvero viene visto dagli occhi degli utenti. È curioso notare come, nei primi 30 secondi, non vengano fissati né il vestito rosso di Attila e il suo cappello, né l’armatura del barbaro posizionata sulla sinistra.

I visitatori che si sono soffermati davanti all’Ultima Cena di Procaccini hanno avuto comportamenti similari. Nei primi 30 secondi di esposizione, i volti dei personaggi ritratti da Procaccini si dimostrano efficaci nell’attirare l’attenzione dei partecipanti. Pochissime sono mediamente le volte in cui le persone guardano i dettagli sotto il tavolo o esplorano la parte alta del quadro. L’attenzione visiva si distribuisce orizzontalmente e sono i volti a guidare chi osserva l’opera. Ci si concentra principalmente nella parte centrale del quadro e da qui si diffonde verso l’esterno, mentre scarso risalto viene dato al lampadario e ai dettagli presenti sulla tavola. Gesù viene visualizzato prima di tutti gli altri elementi e costituisce il focus

del quadro; i due apostoli agli estremi del quadro vengono fissati entrambi per meno di 600 millisecondi, ma tuttavia viene data priorità al personaggio di destra rispetto a quello di sinistra.

L’analisi del comportamento oculare mostra come vi sia un comportamento significativamente diverso di fronte alle tre opere che rappresentano la storia di Sant’Orsola. L’opera di Caravaggio riesce a mettere in evidenza e a mantenere equilibrate tre componenti fondamentali: Sant’Orsola, Attila e il momento dell’uccisione. Particolare rilievo è dato al ruolo di Attila. Nell’opera di Strozzi l’attenzione viene attirata dalla figura della Sant’Orsola nella sua interezza. Il ruolo di Attila e dell’uccisione vengono messi in secondo piano. L’opera di Procaccini definisce una gerarchia esperienziale che attribuisce il ruolo fondamentale a Sant’Orsola e al suo volto. Il secondo elemento per salienza è l’espressione di Attila. Solo in ultima battuta viene evidenziato il momento dell’uccisione.Per quando riguarda l’esperienza oculare dell’Ultima Cena si può sostenere che si distribuisca orizzontalmente partendo dal centro (interazione di Gesù). Gli elementi alla destra e alla sinistra del quadro generano comportamenti uniformi. Lo studio ha misurato anche l’arousal, cioè l’intensità emotiva che si prova davanti a un’opera. Analizzando per un periodo di 10 secondi, l’attività del sistema nervoso periferico attraverso il monitoraggio dei livelli di conduttanza cutanea (Galvanic Skin Response), si è concluso che Sant’Orsola di Caravaggio e L’Ultima Cena di
Procaccini sono le opere che generano una più elevata risposta emotiva.

“Le emozioni e il loro impatto sono molto importanti – afferma il professor Pietro Pietrini, Direttore IMT School for Advanced Studies di Lucca. Quello che succede nel cervello quando si guarda l’arte, la bellezza, è un’opera d’arte di per sé”. Per il neuroscienziato l’arte non è fine a ste stessa, ma tutto ciò che è bello stimola il nostro cervello e la sua fruizione è parte integrante dell’evoluzione neuronale.