Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, in un recente intervento alla Consob americana era stato chiaro: “Non possiamo garantire, nonostante i nostri sforzi, la sicurezza assoluta e l’uso corretto dei dati dei nostri utenti”. Il caso Cambridge Analytica ha fatto emergere una scarsa trasparenza su eventuali usi scorretti dei dati raccolti attraverso il social network. Ma quali conseguenze hanno, sui cittadini, i meccanismi portati sotto i riflettori in questi giorni?
Un numero enorme di azioni che compiamo quotidianamente genera dati. La tessera fedeltà del supermercato, la geolocalizzazione del cellulare, un servizio di chat: e sono solo alcuni esempi. Quei dati, preferenze di acquisto, posizione, contatti, possono essere venduti a società in grado di usarli per fini diversi: dalla ricerca alla creazione di campagne pubblicitarie puntuali. Facebook ha un’enorme capacità di raccolta di dati, forniti volontariamente dagli iscritti. Tutto questo può avere lati positivi: una pubblicità che intercetti i gusti degli utenti fa felici aziende e consumatori.
Cambridge Analytica ha rivelato il lato meno conosciuto e e certo meno nobile. Acquistando milioni di dati, è riuscita ad avere i profili di un numero enorme di elettori americani, e a garantire ai suoi clienti la possibilità di inviare messaggi personalizzati a ognuno di loro, sfruttandone paure, bisogni e probabili comportamenti. Dati di importanza fondamentale perché, spiegano gli esperti “la personalità guida il comportamento, e il comportamento influenza il voto”. Il problema è chiaro: chi raccoglieva quei dati in teoria non poteva rivenderli né condividerli con altri né usarli per scopi pubblicitari. Invece ricercatori, società hi-tech e organizzatori della campagna elettorale americana li hanno venduti a caro prezzo.
L’unico metodo efficace al 100% per evitare di essere manipolati, purtroppo, è il più brutale: bisogna smettere di utilizzarlo. Ma secondo noi, che da anni contrastiamo il Digital Divide, specie dei Senior, pena l’esclusione dall’uso di “una finestra sul mondo” che è secondo noi Internet, non è la scelta giusta.
Ci sono quindi una serie di accorgimenti che è possibile adottare per rendere più difficile la profilazione.
- Per prima cosa controllate la pagina delle Impostazioni: verrà visualizzato un elenco di app il cui accesso è effettuato con Facebook. Se non le riconoscete tutte, rimuovete le intruse cliccando sulla ‘X’.
- Scorrendo in fondo alla pagina, cliccate sul bottone ‘Modifica’ relativo alle “Applicazioni usate dagli altri”. Da qui potrete regolare le impostazioni sulla privacy. I buchi relativi a questa funzione hanno permesso a Cambridge Analytica di vendere i dati. Oggi le informazioni che possono essere consegnate a nostra insaputa sono molte meno rispetto al passato, ma includono ancora la data di nascita, le opinioni religiose e politiche, le attività, gli hobby e così via. Se non volete correre il rischio che questi dati vengano condivisi a vostra insaputa, vi basterà deselezionare tutte le caselle.
- Volendo, potete anche impedire a Facebook di geolocalizzarvi. Condividere i vostri spostamenti, infatti, è uno dei modi più efficaci per il social di fare soldi. Le inserzioni pubblicitarie del ristorante a cento metri dalla vostra posizione compaiono per magia sullo schermo del telefonino. Se non volete questo tipo di informazioni, dovete cambiare le impostazioni dei vostri smartphone, eliminando dalle impostazioni di privacy la funzione di Localizzazione.
- Una precisazione doverosa: www.grey-panthers.it è rigorosissima nel rispetto delle norme che regolano i dati in suo possesso (acquisiti durante la registrazione gratuita al sito). Vengono utilizzati, nel loro complesso, per stabilire quali contenuti e quali aree di interesse risultino più graditi al pubblico, ma mai, senza eccezioni o deroghe, saranno rilasciati al alcuno.