Peter Greenaway
(Newport, Galles – 5 aprile 1942)
Nasce in una famiglia della media borghesia durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo le scuole dell’obbligo si iscrive al College of Arts, intenzionato a diventare pittore. L’impressione esercitata su di lui da film di maestri quali Ingmar Bergman, Akira Kurosawa, Alain Resnais e Michelangelo Antonioni negli anni ’50 e ’60 gli fanno nascere la vocazione artistica per il cinema d’autore. Nel 1965 viene assunto come montatore dal Central Office of Information di Londra dove resterà una decina d’anni e per il quale realizza i primi cortometraggi.
Nel 1978 il British Film Institute gli finanzia uno dei primi lungometraggi, A walk through H, dalla tecnica fortemente sperimentale. Il film trova apprezzamento nei festival europei in cui viene presentato. Anche il successivo The Falls (1980) viene apprezzato a livello festivaliero per la sua originalità.
L’affermazione internazionale arriva nel 1982 con I misteri del giardino di Compton House (The Draughtsman’s Contract), thriller psicologico ambientato nel tardo ‘600 ma molto influenzato nella struttura narrativa dall’Antonioni “inglese” di Blow up. In parallelo al cinema, Greenaway seguita a praticare la pittura cui si affianca, dagli anni ’90, l’attività di vj (visual-jocker) con installazioni effimere spesso desunte da capolavori pittorici del passato (il Cenacolo vinciamo, Le nozze di Cana del Veronese ecc).
Considerato spesso provocatorio, oscuro e barocco sia nella sua filmografia che nelle performance artistiche, Greenaway non ha mai perseguito lo scandalo fine a se stesso, ma ha sempre utilizzato il cinema (e la pittura) come strumenti di indagine conoscitiva al di fuori degli schemi convenzionali. Con risultati non sempre eccelsi sotto il profilo estetico, ma in ogni caso sempre interessanti.
I principali film della sua produzione sono: Lo zoo di Venere (1985), Il ventre dell’architetto (1987), Giochi nell’acqua (1988), Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989), L’ultima tempesta (1991, da Shakespeare), Il bambino di Mâcon (1993), I racconti del cuscino (1996), La ronda di notte (2007) dall’omonimo quadro di Rembrandt, e il recente Ejzenstejn a Guanajuato (2014), in cui rende omaggio al grande regista russo da lui sempre ammirato.
Greenaway è uno dei pochi registi che ha tentato di utilizzare creativamente nel cinema (come in pittura) le nuove tecnologie informatiche messe a punto a partire dagli anni ’90 del secolo scorso.
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