Storia del cinema /1: Intellettuali in platea

Pubblicato il 5 Ottobre 2015 in

 Intellettuali in platea: Ricciotto e i suoi fratelli

Le origini della critica cinematografica vanno inquadrate, in Italia come ovunque in Europa, in quel processo, lento e tutt’altro che lineare, di riflessione sul cinema come forma d’arte che coinvolge gli intellettuali nei primi trent’anni del ‘900, da quando il cinema, da pura meraviglie della tecnica, si struttura come linguaggio a quando, dopo l’introduzione del sonoro, esso viene a trovarsi organicamente integrato nell’industria della comunicazione di massa. In questi tre decenni, o poco più, la critica si sviluppa principalmente nella direzione della ricerca di una specificità del fatto filmico in relazione soprattutto ai suoi due referenti più immediati: la fotografia e il teatro.

D’Annunzio, Deledda e Pirandello

L’interesse dei letterati per il cinema si manifesta subito in due direzioni principali e ben distinte: -a) il lavoro creativo degli scrittori destinato al nuovo mezzo di comunicazione -b) le riflessioni teoriche.

Al primo ambito appartengono i numerosi passaggi da opere letterarie allo schermo e gli interventi più o meno diretti degli scrittori nelle cose di cinema. Le più note sono le scorribande di Gabriele D’Annunzio per Cabiria di Pastrone (1914) e per La nave, film del 1920 tratto dal suo testo teatrale del 1908 girato dal figlio Gabriellino, ma molti altri autori compiono operazioni simili, con minori reticenze, minore retorica e maggiore efficacia. Roberto Bracco, Trilussa, Carolina Invernizio, Grazia Deledda cedono i diritti di novelle o racconti e quest’ultima è determinante perché la Duse, nel 1916, accetti, prima e unica volta, di recitare per il «teatro silenzioso» in Cenere, di Febo Mari, dal romanzo della scrittrice sarda pubblicato nel 1904.

Spesso tale rapporto è vissuto dai letterati come marginale rispetto alla propria attività, qualcosa cui non attribuire eccessiva importanza, se non proprio di cui vergognarsi. Caso emblematico è quello di Giovanni Verga che negli anni Dieci consente la rielaborazione cinematografica di molte sue opere (Tigre reale, Cavalleria rusticana, Peccatrice, Storia di una capinera) e collabora anche alla stesura di alcune sceneggiature, che fa però firmare dalla sua amante per timore di compromettere il proprio prestigio letterario.

La posizione più avanzata è sicuramente quella di Luigi Pirandello che, già molti anni prima di intervenire direttamente nelle cose del cinema (cedendo i diritti del Fu Mattia Pascal per la realizzazione di Marcel L’Herbier, nel 1924, e, soprattutto, con la stesura del soggetto originale di Acciaio, girato da Walter Ruttmann nel 1933), aveva mostrato per questo mezzo l’acuta attenzione che traspare dalle pagine dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, romanzo di ambientazione cinematografica, del 1915.

Futurismo zim-bum-bam!

Gli studi che hanno preso in esame il rapporto tra cinema e letteratura su questo versante sono ormai numerosi. Molto meno indagato invece è l’altro aspetto, quello della riflessione teorica. Negli anni Dieci gli intellettuali italiani più pronti a prestare interesse per il cinema sono quelli di estrazione piccolo borghese; del resto la piccola borghesia è la classe sociale più disposta ad accettare un linguaggio come quello cinematografico totalmente innovativo rispetto all’arte alta che ad essa è da sempre preclusa. In prima fila ci sono naturalmente i futuristi che l’11 settembre del 1916, sul n. 9 dell’«Italia futurista», pubblicano il Manifesto della cinematografia futurista firmato da Marinetti, Corra, Settimelli, Ginna, Balla e Chiti. Il cinema, per essere innanzitutto espressione di quella civiltà meccanica da essi esaltata in contrasto con la tradizione culturale, sembra il mezzo che più ogni altro può realizzare forme e contenuti dell’avanguardia; in realtà il Manifesto si riduce a una generica enunciazione di intenti poetici e ad alcune parole d’ordine estetiche assai poco realizzabili concretamente in rapporto alla tecnologia cinematografica del tempo. A questa presa di posizione, chiassosa ma poco elaborata, non fa inoltre seguito né una sistematica riflessione critica sui film in circolazione, né, tantomeno, una prassi artistica da parte di autori cinematografici aderenti o vicini al movimento. Il film più prossimo al futurismo può essere considerato Thais (1916) di Anton Giulio Bragaglia (con scenografie di Enrico Prampolini) che con i fratelli Arturo e Carlo Ludovico dal 1911 aveva sperimentato tecniche d’avanguardia nell’uso della fotografia (fotodinamismo).

L’arte plastica di Canudo

Le esperienze più significative legate alle origini della critica cinematografica italiana avvengono in Francia. Il motivo di tale apparente singolarità è da cercarsi in due ragioni fondamentali: in Francia opera in questo momento l’industria cinematografica dall’apparato produttivo più avanzato e in Francia nascono e si sviluppano le più importanti avanguardie novecentesche. A Parigi, nel gennaio del 1908, dunque quasi nove anni prima del Manifesto di Marinetti, la rivista «Vie d’art» pubblica un saggio, forse il primo intervento sistematico di tipo teorico-estetico sul cinema, scritto da un intellettuale italiano arrivato da pochi mesi nella capitale francese: Ricciotto Canudo (Gioia del Colle, Bari 2/1/1879 – Parigi 10/11/1923), anch’egli di estrazione piccolo borghese ed esteticamente allineato al dannunzianesimo. Giornalista, poeta, amico di Apollinaire, Braque, Léger, legato perciò a un ambiente artistico d’avanguardia, Canudo elabora e sviluppa le sue teorie sul cinema in svariati interventi il piú importante dei quali è il Manifesto delle sette arti, pubblicato nel marzo del 1911. Del testo viene data lettura alla Ecole de Haute Études seguita dalla proiezione del film L’inferno di Giuseppe De Liguoro, tratto dalla Commedia dantesca. La definizione del cinema come settima arte (oppure decima musa), definizioni usate, per non dire abusate, ancora oggi, risalgono a questo scritto. Per Canudo infatti le arti, in ogni tempo e in ogni luogo, si sono sviluppate in due ambiti: arti del tempo (la musica con i sue due derivati, la poesia e la danza), e arti dello spazio (l’architettura con i sue due complementi, la pittura e la scultura). Il cinema, per questa ragione appunto settima arte, «Sarà la superba conciliazione dei Ritmi dello Spazio (arti plastiche: architettura, pittura, scultura) e dei Ritmi del Tempo (musica, poesia, danza) diventando così Arte plastica in movimento».

L’estetica del movimento

Naturalmente questa ipotesi, fondata su elaborazioni intellettuali piuttosto che sull’analisi concreta dei film, va letta come prospettiva, come indicazione di tendenza per una pratica artistica ancora da attuare. Altre intuizioni sono invece piú aderenti alla realtà del nuovo mezzo: «Nel cinema – dice ancora Canudo – si trovano due aspetti: uno simbolico, l’altro reale; entrambi assolutamente moderni, cioè possibili soltanto alla nostra epoca». L’aspetto simbolico è quello della “velocità”, l’aspetto reale è quello che consente all’umanità la «Rappresentazione più significativa di se stessa». Il cinema esaspera infine il carattere basilare della vita psichica occidentale, che si manifesta nell’azione. In sintesi per Canudo il cinema rappresenta la vita reale, stilizzata nella rapidità. Canudo intuisce anche alcuni aspetti psicologici e sociologici della visione cinematografica che sono stati successivamente ripresi e sviluppati da altri autori: «Al teatro cinematografico […] gli uomini ridiventano fanciulli […] E l’umanità fanciulla dimentica se stessa, si lascia trascinare in un vortice di rappresentazioni ultrarapide, con un abbandono tale che difficilmente potremmo ritrovare nelle nostre sale di prosa». E ancora: «Il cinema è un’arte nella sua essenza, un divertimento nella maggior parte delle sue forme».

Un Wagner dello schermo

Dopo la guerra, alla quale prende parte come capitano degli Zuavi, Canudo pubblica la rivista «La gazette des sept arts» dove continua la sua riflessione critica e teorica ospitando anche interventi di altri intellettuali. Nel 1922, sviluppando ulteriormente le sue idee precedenti, Canudo accosta il cinema a quell’opera d’arte totale vagheggiata da Richard Wagner nel suo teatro lirico. Senza citare esplicitamente il musicista tedesco, e più concretamente, Canudo propone di «Sostenere con un ritmo musicale prestabilito ogni film che abbia un’intenzione lirica evidente»; a rafforzare la tesi ospita sulla «Gazette» un intervento di André Obey sulla corrispondenza che deve esistere nell’opera cinematografica tra ritmo musicale e ritmo fotografico. Anche questa è un’intuizione critica destinata a successivi, notevoli sviluppi: basti pensare alle teorie elaborate, a partire dagli anni Trenta, dai formalisti russi e da Ejzenstejn in particolare. E ancora: «Il cinema si affermerà come il supremo mezzo d’arte, di rappresentazione e d’espressione. Cesserà […] d’essere la copia del teatro che è, a sua volta, la copia della vita». Canudo insomma vede nel cinema quello spettacolo totale capace di coinvolgere tutti i vari sensi dello spettatore in un “prodotto” in grado di usare e integrare tutte le altre arti. Per lui questa possibilità era tecnicamente e storicamente già realizzata, mancava ancora un «Wagner dello schermo».

Riconoscimento postumo

Tutti gli interventi di Canudo vengono raccolti nel volume dal titolo L’Usine aux images (L’officina delle immagini), uscito però solo nel 1927 e quindi postumo. Nonostante questo, il libro diventa in poco tempo il breviario di tutti gli intellettuali francesi che si accostano al cinema e traccia la strada ai critici e agli autori più importanti della generazione successiva: Léon Moussinac, Blaise Cendras, Luis Delluc, teorico e regista, Germaine Dulac, Marcel L’Herbier, Jean Epstein e molti altri. La sua opera, fondamentale per l’esperienza del cinema francese, viene invece recuperata in Italia solo dopo il Fascismo e la seconda guerra mondiale fino alla traduzione dei saggi, avvenuta, con incredibile ritardo, soltanto nel 1966.

01 d Locandina di Acciaio 1933

Filmografia

Alcuni film dell’epoca pionieristica con il link per visionarli su Youtube

LA PRESA DI ROMA (1905, Filoteo Alberini)

https://www.youtube.com/watch?v=bRDdaJqV7LI

 

 

HISTOIRE D’UN PIERROT (1913, Baldassarre Negroni)

https://www.youtube.com/watch?v=8tHVCj9cRfs

 

01 a Cabiria_Pastrone 1914

CABIRIA (1914, Giovanni Pastrone)

Link per ascoltare la Sinfonia del fuoco di Ildebrando Pizzetti eseguita come ouverture del film

https://www.youtube.com/watch?v=8pnPlfYkpkg

 

01 c Thais 1916THAIS (1916, Anton Giulio Bragaglia)

https://www.youtube.com/watch?v=fZQF4KODGfM

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