È venerdì 5 febbraio 1960. Al cinema Capitol, uno dei locali più eleganti della città all’angolo con via Manzoni, sta per prendere il via una serata a inviti con la presentazione del nuovo film di Federico Fellini La dolce vita.
La proiezione, il cui incasso andrà a beneficio dei Martinitt e delle Stelline, due istituzioni benefiche cittadine dalle lontane tradizioni, vede la partecipazione di molti vip con la presenza in sala degli attori Marcello Mastroianni, Anouk Aimée, Yvonne Furneaux e Anita Ekberg nonché dello stesso regista.
L’attesa è grande. Fellini ormai osannato in tutto il mondo (ha vinto l’Oscar 1954 con La strada, migliore film straniero), ha girato questo ritratto della Roma mondana e scandalistica ricostruendo negli studi di Cinecittà una via Veneto d’antologia, terreno di conquista dei fotografi, i “paparazzi” (nome che poi sarà usato in tutto il mondo) alla caccia spietata dei divi del cinema internazionale, che vagano spesso ubriachi tra locali notturni, ristoranti e bar alla moda.
Sfida a singolar tenzone
Nessuno poteva prevedere che ai titoli di coda si scatenasse un pandemonio! Fellini è affrontato da un signore anziano, che disgustato da quanto ha appena visto sullo schermo, lo sfida a duello! Un’altra dama con la pelliccia e dall’aria aristocratica gli sputa improvvisamente sul collo davanti a un allibito Marcello Mastroianni che non osa intervenire. Urla e insulti piovono su tutti gli interpreti presenti in sala. È il finimondo.
Il giorno dopo i quotidiani più conservatori e quelli più vicini al Vaticano aprono il fuoco di sbarramento contro quest’opera considerata maledetta e degenerata.
È invece paradossalmente l’inizio di un successo planetario senza precedenti.
La dolce vita, che sbanca in pochi giorni il botteghino, ottiene la Palma d’oro a Cannes e l’Oscar per i costumi diventando perfino un modo di dire internazionale; una leggenda nella storia del cinema.
Genio incompreso
Sono passati cinquanta anni da quella mitica serata che ha cambiato la storia del nostro costume e segnato il passaggio da un’epoca ancora chiusa nelle tradizioni a un modo nuovo più aperto e più libero di concepire la realtà.
Passeranno ancora molti anni e il grande Federico con Ginger e Fred (1985) anticiperà ancora prima di qualunque altro l’avvento di un’Italia diversa; una nuova società dominata dalla volgarità della televisione commerciale, della pubblicità, del consumismo. Un genio che pagherà cara questa sua intuizione.
All’inizio degli anni Novanta, l’amarezza di non riuscire più a trovare finanziamenti per i suoi film lo condurrà al declino fisico e alla morte.
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