Inquadratura del Presidente (1918), film d’esordio, basato sulla saga di tre generazioni di uomini e sulla sorte di una donna processata per infanticidio. Molti critici hanno visto in quest’opera un riflesso delle vicende biografiche dello stesso regista e di sua madre naturale, Josephine Nilsson.
l film Pagine dal libro di Satana (1919), a somiglianza di Intolerance (1916) di D.W. Griffith, è composto di quattro episodi collocati in differenti epoche storiche. Ad accomunarli è il personaggio di Satana che, sotto spoglie umane, agisce nei diversi contesti. Nella foto una scena dell’episodio ambientato durante la Rivoluzione Francese.
I due protagonisti di Michael (1924) ossia il pittore Anders Zoret (interpretato dal regista Benjamin Christensen, seduto) e Mikael (Walter Slezak, in piedi) suo allievo prediletto. Quest’ultimo si mostra ingrato e privo di scrupoli verso il maestro. Il film è un inno all’amore e alla bellezza espressi attraverso l’arte.
Un’inquadratura dell’Angelo del focolare (1925), storia di un padre-padrone che trova la forza di pentirsi del suo operato. Il grande successo di pubblico del film consente a Dreyer di essere scritturato dall’industria francese e di trasferirsi a Parigi dove realizza La passione di Giovanna d’Arco.
Lo scrittore Antonin Artaud interpreta il monaco Jean Massieu nella Passione di Giovanna d’Arco (1927).
La passione di Giovanna d’Arco ha tra i suoi punti di forza l’intensità dei primi piani degli interpreti. A cominciare dalla protagonista Renée Marie Falconetti.
In Vampyr (1930) la simbologia assume una particolare rilevanza. Una locanda di campagna, un fiume, una chiatta che fa la spola tra le due sponde, un contadino con la falce. Con tali elementi naturalistici, Dreyer ci immerge nella realtà metafisica di un dramma incombente. L’uomo suona la campana per richiamare il traghettatore e l’immagine si trasforma in un simbolo di morte.
Ancora in Vampyr, l’angelo che campeggia in controluce sull’insegna della locanda, con la fronda in una mano e la corona nell’altra, è anch’esso un simbolo inquietante del mondo sconosciuto in cui il film si sta addentrando.
Il protagonista di Vampyr è David Gray (l’attore dilettante e coproduttore Nicolas de Gunzburg). La dimensione in cui si viene a trovare appartiene al sogno (o all’incubo).
Nell’edificio in rovina in cui è entrato, Gray vede un balletto di ombre con ruote di carro proiettate su pareti candide, sospese nel vuoto. L’elemento caratterizzante la messa in scena di Vampyr continua a essere lo spaesamento delle forme che non rimandano mai a un oggetto o a una persona e, quando lo fanno, è per rafforzare l’enigma anziché scioglierlo.
Ancora da Vampyr. Il dottore (al centro, con gli occhiali, interpretato da Jan Hieronimko) è il seguace più devoto del vampiro. Nel vecchio edificio ha il suo lugubre laboratorio dove, anziché medicine per la salute del corpo, prepara veleni per la dannazione dell’anima.
Alla morte del vampiro, Gray può finalmente liberare Gisèle (Rena Mandel), tenuta prigioniera nell’edificio in rovina. L’happy end di Vampyr non deve però ingannare…
La presunta strega Marte Herlofs (Anna Svierkier) e il suo inquisitore, il pastore Absalon Pedersön (Thorkild Roose) in una scena di Dies irae (1944).
Absalon è al centro del collegio dei giudici durante il processo. Il riferimento iconografico di Dies irae è in questo caso la pittura fiamminga del ‘600.
In Dies irae Lisbet Movin interpreta Anne Pedersdotter, seconda moglie di Absalon, qui nel portico antistante la sala del processo.
(Lisbet Movin) e Martin (Preben Lerdorff Rye) assistono all’esecuzione di Marte, arsa viva sul rogo. Il tragico epilogo di Dies irae si avvicina.
La sequenza finale di Dies irae. Sul feretro del figlio Absalon, Merete (Sigrid Neiiendam) accusa di stregoneria la nuora Anne davanti al vescovo (Albert Höeberg) e a suo nipote Martin. Anne è coperta da un candido mantello con cappuccio, simbolo della sua innocenza morale.
In Ordet (1955) Preben Lerdorff Rye interpreta Johannes, ex studente di teologia impazzito che si crede la reincarnazione di Gesù.
Il salotto di Borgensgaard, la fattoria in cui è ambientata la vicenda di Ordet. Al centro Morten Borgen (Henrik Malberg), accanto a lui suo figlio Mikkel (Emil Hass Christensen) con la moglie Inger (Birgitte Federspiel). Nel quadro appeso alla parete c’è il ritratto di Nicolai Grundtvig (1783-1872), fondatore di un movimento di rinnovamento religioso basato sull’azione caritativa.
Il vecchio Borgen è a colloquio con il sarto Peter Petersen (Ejnar Federspiel), suo antagonista teologico e capo di una comunità avversa. Il tessuto narrativo di Ordet è basato sui contrasti.
Il dottore (Henry Skjaer) e il pastore (Ove Rud) assistono increduli al risveglio di Inger dalla bara. L’epilogo di Ordet ha lacerato e continua a lacerare la critica sul significato del film.
Gertrud (1964) è il film-testamento di Dreyer in cui si ritrovano gli elementi formali più caratteristici (come questo gioco di ombre) e la poetica, riassunta nell’Amor omnia (tutto è amore) che Gertrud vuole sia posto a epigrafe sulla sua tomba. Ho molto sofferto, ma ho molto amato, dice di sé questa eroina del cinema scandinavo, sorella delle tante Nore nate sotto il cielo boreale.
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