Storia di un Gesù contemporaneo – “Centochiodi” di Ermanno Olmi, 2007

Pubblicato il 11 Novembre 2024 in Outdoor Cinema
Centochiodi

Nella lunga filmografia di Ermanno Olmi (1931-2018), oltre al docufiction E venne un uomo (1965), sulla figura di Angelo Roncalli (papa Giovanni XXIII), è presente un piccolo numero di film tratti o ispirati più o meno direttamente alle sacre scritture: Camminacammina (1983) sul viaggio dei Magi (Mt 2, 1-12); La leggenda del santo bevitore (1988) sulla dottrina della Grazia; La Bibbia-La creazione e il diluvio (1994) e questa “vita di Gesù” ambientata in epoca contemporanea. Protagonista è infatti un docente di filosofia dell’Università di Bologna che, per il breve volgere di un’estate, abbandona tutto fingendo il suicidio e trascorre i suoi giorni in una casa diroccata ai bordi del Po in compagnia di alcuni abitanti del luogo. I quali non si domandano da dove venga, chi sia o cosa faccia, ma lo accolgono sulla base di semplici valori umani condivisi. Girato tra San Benedetto Po, Bagnolo San Vito e San Giacomo Po, in provincia di Mantova, si riconnette idealmente al documentario Lungo il fiume (1992) ambientato anch’esso sul Po e commentato con frasi dal Vangelo di Giovanni.

Libri in croce

Ricordiamo che la parola Bibbia in geco significa ‘i libri’ (ta biblìa) e il film si apre con una sorta di “strage degli innocenti”: nel salone storico della biblioteca universitaria di Bologna qualcuno ha inchiodato preziosi codici e incunaboli al pavimento di legno. I sospetti degli inquirenti ricadono immediatamente sul docente che ha fatto perdere le proprie tracce. Il più assiduo frequentatore della biblioteca è un anziano monsignore, maestro del fuggiasco. Se la biblioteca è, a suo modo, un tempio, egli ne è dunque il sommo sacerdote.

L’inchiesta ricostruisce le ultime mosse del latitante. Il professore aveva chiuso l’anno accademico congedandosi dagli studenti con un pensiero di Karl Jaspers, uno dei fondatori dell’esistenzialismo: «Viviamo in un’epoca in cui ogni spiritualità si converte in profitto. Tutto viene fatto in vista di un guadagno. Un’epoca in cui la vita stessa è una mascherata e la felicità del vivere è falsa, come l’arte che la esprime. In una simile epoca, di perduta genuinità, è forse la follia la soluzione per la nostra esistenza?» Un testimone riferisce di un colloquio tra il docente e una studentessa di origini indiane che gli propone come argomento della propria tesi La donna complice di Dio, ossia la donna come tramite tra Dio e l’umanità nella figura di Maria, la madre di Gesù, e di molte altre donne simili a lei. Ben presto però il dialogo vira su riflessioni personali: «Da bambina sognavo di salvare il mondo» dice la giovane. «Naturale, a quell’età» commenta il docente, che aggiunge: «Poi non riusciamo nemmeno a salvare noi stessi». «Conosco bene la mia gente» continua la ragazza «l’unica certezza per loro è la religione e il conseguimento della vita eterna. È l’unica verità che essi conoscono». «La verità è che la religione non salva il mondo. Non ne fa un luogo migliore. Siamo circondati da verità assolute nei libri, che sono serviti solo a ingannarci gli uni gli altri… Mi dia la sua mano» replica lui. La ragazza gliela porge. «C’è più verità in una carezza che in tutti questi libri» aggiunge prima di baciarla.

Centochiodi

La pietra d’angolo e i pescatori di uomini

Dopo aver simulato il suicidio, il professore si stabilisce in una casupola diroccata ai bordi del fiume. Sorpreso da un temporale, attizza un rudimentale fuoco bruciando senza ripensamenti il dattiloscritto del suo ultimo libro. Passata la burrasca, lo ritroviamo in paese a far provviste in una panetteria e a scambiare qualche parola con alcune persone del luogo: la giovane fornaia, che si invaghisce subito di lui, e il postino. Tornato alla sua dimora, comincia a sistemarla e, dopo aver trovato un grosso amo tra i cespugli, tenta di pescare. Poco distante, tre uomini lo osservano. Durante la notte, all’esca abbocca un grosso pesce-siluro che riesce però a liberarsi. Il mattino seguente, al postino il professore spiega che la casupola è sicuramente un’abitazione antica per la presenza, tra i suoi ruderi, di una grossa pietra squadrata, base degli angoli. Subito dopo passa una barca di pescatori che hanno catturato il pesce dalla cui bocca pende ancora l’amo strappato. Basta appena un poco di dimestichezza con le Scritture (e con il cinema di Olmi) per uscire di metafora. La pietra angolare rimanda al Salmo 118 (ripreso dai Vangeli Sinottici come metafora del Messia) mentre la pesca richiama invece l’espressione evangelica «pescatori di uomini» riferita ai discepoli di Gesù.

Altre parabole, altre metafore

Su questa stessa falsariga si sviluppano anche le scene successive, durante le quali “Gesù” (ormai possiamo chiamarlo in questo modo) prosegue nel rudimentale restauro della casupola, aiutato dai frequentatori abituali del fiume. I lavori si interrompono per il pranzo, durante il quale si finisce con il parlare della trasformazione dell’acqua in vino al banchetto di Cana (Gv 2, 1-11). «Anche quel Cristo là ha fatto il miracolo perché gli piaceva di più il vino» è la salace battuta di un commensale. A lavori ultimati, un anziano del gruppo chiede al professore che gli narri la parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32), da lui rivissuta poco prima in una specie di sogno a occhi aperti. Dunque nel film i riferimenti al “Libro” si moltiplicano e si intensificano senza che, all’apparenza, il narrato defletta dalla storia personale del docente in crisi. O meglio, le due vicende si sviluppano in parallelo, l’una palese, l’altra sottotraccia: “testo” e “metatesto”, “filmico” e “profilmico”. Il Messia è venuto per «riparare la vecchia casa che andava in rovina», «ama il vino e le donne», ossia si immerge concretamente e attivamente nell’umanità, consola i padri per le mancanze dei figli e offre la salvezza dalla morte dello spirito.

L’epilogo ormai si avvicina e, con esso, si compie il destino terreno del Salvatore. Un’ordinanza comunale dispone che tutte le capanne abusive edificate il riva al fiume vengano demolite per far posto a una nuova infrastruttura. La sera, quasi un’ultima cena, l’intera piccola comunità si riunisce a tavola attorno al professore per decidere il da farsi e redigere il ricorso. «Quello che vi viene in mente sarà la cosa giusta da dire» replica Gesù alle titubanze della sua gente, impreparata alle battaglie legali. Una frase ricalcata quasi alla lettera sul passo dei vangeli che dice: «Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati, non preoccupatevi di come o di quello che direte. Perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che è in voi» (Mt 10, 19-20; Mc 13, 11; Lc 12, 11-12).

L’ultima cena

Il pagamento di una sanzione amministrativa, comminata nell’ordinanza di sgombero, effettuato dal professore con la propria carta di credito, mette finalmente gli inquirenti sulle sue tracce e, in una scena che richiama l’iconografia del Getzemani, Gesù viene arrestato. Nel congedarsi dai suoi amici, sgomenti e impauriti, dice: «Non stupitevi se vi cacceranno da questi luoghi. Molti si illudono, con le loro imprese, di poter fare cose meritevoli senza il rispetto di ciò che regola la vita, ma arriva anche il momento in cui la natura stessa si ribellerà a tutte queste offese e cancellerà ogni cosa che umilia tutte le creature. È venuto il momento di lasciarci. Ciascuno deve tornare al proprio luogo. Vi auguro di restare qui e vivere in pace come io vi ho conosciuto. Questa pace non è una pace che viene dal mondo, ma da voi stessi». Sin troppo facile leggere in filigrana sotto queste battute del copione, una parte del discorso di commiato del Nazareno durante l’ultima cena riportato dal Vangelo di Giovanni (Gv 14, 27).

Responsabile, ma non colpevole

Le scene successive, ovvero l’interrogatorio di garanzia nella stazione dei carabinieri, rimandano al processo davanti a Pilato (l’autorità civile). Il professore si dichiara infatti «Responsabile, ma non colpevole» dell’atto vandalico. E quando il basito maresciallo cerca di capire meglio le motivazioni del suo operato chiedendogli se si fosse trattato di un atto dimostrativo o di un gesto di ribellione, Gesù replica: «Un obbligo morale» aggiungendo subito una frase che riprende e perfeziona quella rivolta alla studentessa indiana (C’è più verità in una carezza che in tutti questi libri): «Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico». Un flashback ci ripropone adesso la scena della “crocifissione” dei libri da parte del professore che, fermandosi a un certo punto, ragiona tra sé: «Bisogna che ognuno torni a nascere. Chi non comincia dal principio non potrà conoscere la verità. L’amore spira dove vuole e ne percepisci la sua presenza come se udissi un suono. Non sai da dove venga né dove vada, ma chi rinasce nella verità crede a ogni cosa che il suo occhio vede». Si tratta, ancora, di parole ricalcate quasi alla lettera da alcuni passi del Vangelo di Giovanni (Gv 3, 7-8).

Il giorno del giudizio

Secondo i vangeli, oltre che da Pilato, Gesù viene anche condotto da Anna e Caifa, i sommi sacerdoti, ovvero dall’autorità religiosa. Nel film è l’anziano monsignore, il prete bibliofilo e maestro dell’imputato, che gli fa visita in carcere. Ma la sostanza non cambia dando vita a un dialogo quasi pascaliano: «Quei libri, io li amavo» esordisce l’anziano prelato. «Lei ama più i suoi libri degli uomini» replica l’arrestato. «I libri sono amici fidati. In quei libri c’è tutta la sapienza del mondo». «La sapienza del mondo è una truffa». «Ma cosa dici! La parola di Dio una truffa?!». «Dio non parla con i libri. I libri servono a qualsiasi padrone e a qualsiasi Dio». «Dio ha riposto in quelle pagine parole di vita eterna per la salvezza di tutti i suoi figli». «Dio… È Dio il massacratore del mondo. Non ha salvato nemmeno suo figlio dalla croce». «Non bestemmiare! Offendi anche la tua intelligenza che Dio ti ha donato in abbondanza. Il giorno del giudizio dovrai renderne conto!». «Il giorno del giudizio sarà lui a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo».

Centochiodi

Resurrezione e Parusìa

Dopo questo drammatico faccia a faccia che segna il culmine della vicenda giudiziaria del docente, il film torna alle rive del Po, dove si sparge la notizia degli arresti domiciliari concessi al professore. Il gruppo (dodici, tra uomini e donne) è di nuovo riunito e sta aspettando che Gesù arrivi. Interpellato, un bambino dice di averlo visto sull’argine: «Sei sicuro che era lui?». «Sì, aveva un vestito nuovo». Una fisarmonica intona la canzone Non ti scordar di me (leit motiv sonoro di tutto il film). Una tavola è imbandita e ai bordi della strada sterrata che porta alle casupole ardono dei lumi. Si avvicina il tramonto, ma Gesù non compare. Zelinda, la fornarina, si asciuga le lacrime. È il postino che chiude il racconto, su un’inquadratura autunnale del fiume: «Sera dopo sera venne l’autunno e già si presagiva l’inverno, ma di quel tale che tutti chiamavano Gesù Cristo nessuno seppe più nulla». Anche qui due trasparenti metafore evangeliche: l’abito nuovo del risorto e l’attesa della parusìa attorno alla mensa eucaristica. Il sepolcro è vuoto. La resurrezione è avvenuta, ma solo per chi vuol credere. Senza aver visto né toccato con mano.

Rifare i Vangeli o rifarsi ai Vangeli?

Centochiodi ripropone l’ideologia del suo autore nel senso che, proprio a motivo della sua adesione al cristianesimo, il regista colloca l’uomo al centro della riflessione teologica in un’opera che, senza “rifare” il Vangelo, “si rifà” totalmente al suo messaggio. «La cultura, così come la intendiamo, ha sempre fallito gli appuntamenti della storia […] I libri sono inerti […] Le pagine dei libri sono sempre ben poca cosa a fronte della vita». Sono alcune affermazioni di Olmi che chiariscono il senso di questo film in cui, all’apparenza, si attribuisce allo stesso Gesù un intento iconoclasta verso la verità rivelata. In realtà, nell’interpretazione dell’opera vanno distinti due piani, come doppio è il registro su cui è costruita. Da un lato, Olmi rimarca i limiti che la cultura accademica (quella dei libri) mostra nell’affrontare i problemi della storia e della società, dall’altro sottolinea che anche il Libro per antonomasia (la Bibbia, ma, per esteso, qualsiasi testo sacro) non basta a emancipare l’uomo, a riconciliarlo con la natura depredata, a offrirgli la speranza nel futuro.

Vi è stato detto, ma io vi dico…

Per illustrare la locandina di Centochiodi venne scelta la frase «Le religioni non hanno mai salvato il mondo», tratta dal dialogo del docente con la studentessa indiana. Scelta apparentemente strana per un credente dichiarato come Olmi e per un film, come questo, che è in sostanza una messa in scena dei Vangeli. Scelta invece coerentissima con l’etica del regista che auspica un ritorno della Chiesa allo spirito delle origini, ossia autenticamente evangelico. Le religioni non hanno mai salvato il mondo nella misura in cui hanno preteso di farlo e di farlo con la forza, perdendo di vista l’uomo. Secondo Olmi, Dio parla attraverso il grande libro della Natura di cui anche il Libro (la Bibbia) non è che un riflesso. Dunque bisogna andare oltre la lettera, oltre la parola scritta per arrivare all’altra Parola. Quella impressa nel creato e nell’anima dell’uomo. La «Parola fatta carne» (Gv 1, 14), ossia Gesù. Non il Gesù dei Vangeli, ma il Gesù della storia e nella storia. L’uomo Gesù, la persona chiamata Gesù. Che ha calcato questa terra e (ri)costruito la sua casa tra noi. Che ama e beve vino. Che con il proprio esempio, la parola e il sacrifico ha superato la vecchia Legge. Davvero il primo a inchiodare i testi sacri è stato Gesù, quando affermava: «Vi è stato detto, ma io vi dico…» (Mt 5, 21-22).

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