Il film si apre e si chiude con l’immagine di due bandiere che sventolano. All’inizio, in un’assolata giornata estiva, è la bandiera della Spagna repubblicana mentre quella che chiude il racconto, tra i fiocchi di neve, è la bandiera franchista su cui una didascalia avverte che il paese iberico tornò alla democrazia nel 1977, due anni dopo la morte di Francisco Franco. Di mezzo, la narrazione di come, nel 1936 ebbe inizio la Guerra Civile che portò all’instaurazione della dittatura. Il punto di vista scelto dal regista per il suo racconto di questa cruenta pagina di storia europea del ‘900 è quello di un personaggio pubblico dell’epoca, molto noto in Spagna, ma poco all’estero, a suo modo emblematico degli umori e delle contraddizioni che esplosero in maniera così eclatante dopo anni di crisi politiche e istituzionali. Il personaggio è Miguel de Unamuno, all’epoca dei fatti rettore dell’Università di Salamanca, il più antico e prestigioso ateneo spagnolo.
Anni convulsi
Vediamo di riassumere brevemente il contesto in cui si colloca il film che prende inizio il 19 luglio 1936 con la sollevazione dell’esercito contro le istituzioni repubblicane democraticamente elette. Nella storia della Spagna del ‘900 c’era già stata una dittatura: quella di Miguel Primo de Rivera instaurata il 15 settembre 1923 e durata fino al 28 gennaio 1930. Nelle elezioni tenutesi in aprile dell’anno successivo (1931) il malcontento delle masse e la difficile situazione economica del paese portarono alla vittoria i partiti della sinistra. La conseguenza fu la proclamazione della Seconda Repubblica Spagnola (la prima era stata instaurata tra il 1873 e il 1874) e l’esilio di re Alfonso XIII di Borbone. Il governo repubblicano non fu però in grado di gestire la difficile situazione del paese (incluso un tentativo di golpe militare nell’agosto del 1932 ad opera del generale José Sanjuro) e nel giro di due anni si andò a nuove elezioni (19 novembre 1933) vinte dalla destra. Ne seguì il cosiddetto bienio negro (biennio nero), caratterizzato da un’accesissima conflittualità sociale, scioperi e repressioni sanguinose. Si arriva così al 16 febbraio 1936 quando nuove elezioni riconsegnano la maggioranza parlamentare alle sinistre, riunite nel Fronte Popolare. È la scintilla che fa scattare, nell’estate successiva, la sollevazione di alcuni reparti dell’esercito di stanza nel Marocco spagnolo che si rifiutano di obbedire agli ordini del governo e, nel giugno successivo, sbarcano in armi sul suolo della madrepatria. Preceduti da episodi di violenza squadrista messi in atto dalla Falange armata, braccio militare del partito della Falange Spagnola, di ispirazione fascista, fondato nel 1933 da José Antonio Primo de Rivera, primogenito dell’ex dittatore. Il generale Sanjuro doveva presiedere la giunta militare al comando degli insorti, ma muore proprio nell’estate del ‘36 in un incidente aereo. Al suo posto viene nominato Francisco Franco de Bahamonde con l’esplicita clausola che dà il titolo originale al film: Mientras dure la guerra (Finché la guerra è in corso). Sarà l’inizio del regime franchista che terminerà solo con la morte del dittatore, 38 anni dopo.
Le giravolte di un intellettuale tutto d’un pezzo
Unamuno era un uomo d’ordine. Scrittore, poeta, docente si era speso in tutta la sua vita per modernizzare il paese, per dare all’istruzione pubblica una sostanza laica affrancandola dalla tutela dell’insegnamento confessionale delle scuole cattoliche durato secoli. Tuttavia era refrattario alle violenze che, negli anni in cui la sinistra era al governo, si erano verificate nel paese a danno di vittime innocenti. Tanto che nei primi mesi del golpe, appoggia l’operato della giunta militare sperando in un semplice ritorno all’ordine costituito. Appoggio durato lo spazio di un mattino alla verifica delle violenze ancora più atroci perpetrate dai militari golpisti nella stessa città di Salamanca contro persone inermi o colpevoli solo di essere schierate dall’altra parte della barricata. Come il sindaco socialista Casto Prieto Carrasco, il pastore anglicano (e massone) Atilano Coco Martìn, il giovane docente e arabista Salvador Vila Hernández tutti suoi buoni amici e persone di specchiata dirittura morale. Fedele a una sua coerenza tutta interiore Unamuno detesta in primo luogo la rozzezza, la sciatteria, l’arroganza degli ignoranti. Vive in un suo mondo intellettuale fatto prima di tutto di una prosa specchiata e corretta, emblema e simbolo di una realtà che dovrebbe essere altrettanto ordinata e orientata al bene e al bello. L’esatto contrario di quanto gli ammanniscono invece i tempi e gli uomini, prepotenti e sanguinari, che non si fermano dinnanzi a nulla e a nessuno pur di raggiungere i propri fini. Eliminando senza pietà quanti possono ostacolare i loro piani. E il film si sofferma sulla caparbia coerenza di Unamuno, a tratti persino donchisciottesca, e sulla disinvolta spietatezza dei suoi interlocutori golpisti. «Venceréis, pero no convenceréis (Vincerete, ma non convincerete)» è l’amara conclusione del discorso che il rettore pronuncia di fronte a un’aula magna ribollente di fanatici assassini. Ben magra consolazione, constatare di avere la ragione postuma. Anche perché le persone più care se ne sono andate a una a una sotto il piombo fascista.
Il regista
Tra i pochi talenti emersi nel cinema internazionale nell’ultimo decennio del secolo scorso va sicuramente annoverato l’ispano-cileno Alejandro Amenábar (n. 1972). La famiglia della madre era emigrata in Cile negli anni ‘30 per sfuggire al regime franchista. Quando però, nel 1973, nel paese latinoamericano si instaura la dittatura di Pinochet, i suoi genitori fanno ritorno nel paese d’origine. Alejandro, nato a Santiago del Cile, cresce a Madrid dove studia Scienze dell’Informazione all’Università Complutense, senza peraltro completare gli studi. Nei primi anni ‘90 realizza tre cortometraggi mentre l’esordio nel lungometraggio avviene nel 1996 con il film Tesis (idem), girato proprio nell’ateneo madrileno con protagonisti due giovani attori allora sconosciuti: Ana Torrent ed Eduardo Noriega. La Torrent interpreta il ruolo di una studentessa che sta elaborando una tesi di laurea sulle espressioni della violenza nei mass media. Per questo motivo si trova invischiata in un giro di insospettabili che trafficano in snuff movie, film pornografici clandestini in cui si mostrano veri delitti e torture a sfondo sessuale. Un intrigo alla Hitchock in un crescendo mozzafiato che denota già una grande padronanza del linguaggio filmico e una rara maturità artistica. Tesis ottiene un successo immediato, fa incetta di Premi Goya, gli Oscar spagnoli, e apre le porte dell’industria al suo giovanissimo autore che l’anno successivo gira, con mezzi ben più consistenti, Apri gli occhi (Abre los ojos, 1997). Sotto l’aspetto postmoderno di una storia a scatole cinesi, non è difficile leggere in filigrana un’originale interpretazione del classico teatrale spagnolo La vita è sogno di Pedro Calderón de la Barca (1600-1681). Anche questa seconda prova ha un cospicuo esito commerciale, non solo in Spagna, ma anche negli Stati Uniti tanto che il regista viene chiamato a Hollywood. L’attore Tom Cruise acquista infatti i diritti del film per produrne il remake che esce con il titolo di Vanilla Sky (id., 2001), diretto da Cameron Crowe. Superfluo aggiungere che nella riedizione, cui prestano il volto lo stesso Cruise, Cameron Diaz e Penelope Cruz (unica “superstite” del cast originale), non resta nulla del metatesto presente invece nella versione originale.
Gothic, ma non per tutti
Nello stesso 2001, con capitali e attori americani, Amenábar realizza il suo terzo film: The Others (idem). Ambientato in Inghilterra nel 1945 (ma girato in Cantabria, regione atlantica della Spagna), il film è apparentemente un gotic movie con protagonisti una madre e due bambini (maschio e femmina) che non possono esporsi alla luce del sole. Accanto a loro una governante, una serva e un giardiniere mandano avanti i lavori domestici nella grande casa di famiglia, isolata dal resto del paese. Anche qui, come nei due precedenti, il senso profondo dell’opera sta ben oltre il puro dato fenomenico. In altre parole l’autore riesce ancora una volta a giocare su due piani espressivi. Uno, di fruizione immediata e di facile presa sul pubblico, è quello che garantisce il successo al botteghino, mentre lo spettatore più avveduto riesce ad andare oltre la lettera e a trovare significati latenti che accrescono la densità del racconto e il suo significato. The Others è infatti una grande metafora sulla diversità, sull’alienazione (in senso letterale) e sull’intolleranza. Temi sicuramente cari al regista e parte di un vissuto personale stante la sua omosessualità in un paese a maggioranza cattolica. Il film è anche il racconto di una presa di coscienza razionale da parte di chi (la madre) si affidava ciecamente alla volontà di Dio espressa nelle numerose citazioni bibliche che costellano il racconto. Costo 17 milioni di dollari, incasso 210 milioni.
Marinaio e poeta
Un’altra regione atlantica spagnola, la Galizia, è teatro del quarto film di Amenábar, uscito nel 2004: Mare dentro (Mar adentro). Qui il regista mette in scena alcuni momenti della vita di Ramón Sampedro (Javier Bardém), marinaio e poeta, costretto a vivere per 29 anni in un letto a causa della tetraplegia conseguenza di un incidente. Da una storia corale, con attori di grido e di sicuro appeal al botteghino (The Others) a uno spinoso tema etico (il diritto all’autodeterminazione nel fine vita) per un film girato quasi esclusivamente tra quattro mura, attorno al letto del protagonista. Anche in Mare dentro, come in Tesis e Apri gli occhi, un aspetto non secondario della storia è rappresentato dall’eco mediatico assunto dalla vicenda narrata. E il regista sembra essere particolarmente sensibile a questo aspetto della società postmoderna perché ha intuito con molto anticipo che lo sviluppo delle idee è oggi legato alla loro comunicazione in una misura enormemente superiore rispetto a qualsiasi altro periodo del passato. La padronanza della tecnica cinematografica (dissolvenze, panoramiche, pianisequenza…) consente inoltre al regista di esprimersi con una straordinaria libertà che trasforma il linguaggio filmico in momenti di grande spessore poetico. Per tutti: il sogno a occhi aperti del protagonista sulle note di Nessun dorma dalla Turandot di Puccini. Meritato Oscar come miglior film straniero. Piccola chiosa: il titolo italiano è un vero e proprio non senso rispetto all’allocuzione originale che dà il titolo al film. Mar adentro in spagnolo significa infatti “verso il mare aperto”, chiara allusione al “viaggio” che il protagonista vuole intraprendere mediante l’eutanasia.
Le psicosi ricorrenti
Dopo la battuta d’arresto dovuta all’insuccesso commerciale di Agorà (2009), altro film sull’intolleranza religiosa, il regista può tornare dietro la macchina da presa nel 2016 per girare Regression (idem) che, per alcune caratteristiche, rimanda talvolta a Tesis, la pellicola d’esordio. Là a muovere l’azione era lo snuff movie, qui è il satanismo, una delle psicosi ricorrenti nella società americana del XX secolo. Il film è elaborato a partire da un reale fatto di cronaca avvenuto nel 1990 in una cittadina del Minnesota la cui vita tranquilla venne sconvolta da un presunto caso di incesto commesso nel quadro di un rituale demoniaco. Ce n’è abbastanza perché nella piccola comunità dove tutti si conoscono e si frequentano si scateni… l’inferno. Nelle coscienze delle singole persone, prima che nell’opinione pubblica. L’inchiesta, affidata a un team di poliziotti cui si affianca uno psicologo, non porta a conclusioni, ma il punto è proprio quello. Amenábar lavora per sottrazione: sotto le apparenze del thriller il vero bersaglio del regista sono le sovrastrutture psichiche condizionate da una fede malamente intesa, l’apparenza che prende il sopravvento sulla realtà, la violenza generata dal pregiudizio religioso, l’intolleranza nei confronti del diverso. Temi già presenti sviluppati in tutti i precedenti film. Argomenti attuali quanto mai, anche se la collocazione nel passato serve a mantenere il necessario distacco (come in The Others e Agorà), garanzia di lucidità e purezza dello sguardo. Come dire che i posseduti dal demonio siamo noi, nella nostra normalità perbenista, nel pregiudizio che deriva dalla rinuncia al libero pensiero per affidarsi alla guida di un’entità superiore indifferente alle sorti dell’uomo. E il risultato può essere solo un regresso “del” pensiero, non “dentro” il pensiero. Anche questo film, pur incassando più del 50% del capitale investito (budget 11 milioni, incasso 17 milioni), viene considerato un mezzo flop che mette, per il momento, la parola fine all’avventura americana di Amenábar. Il quale torna in Spagna per il successivo e finora ultimo lavoro da regista: Lettera a Franco (Mientras dure la guerra, 2019).
L’altra faccia della guerra civile
Nel film di Amenábar si fa cenno, anche ricorrendo a finti documentari dell’epoca, a un episodio cruciale della Guerra Civile spagnola: l’assedio dell’Alcázar di Toledo, tra il luglio e il settembre del 1936. Sede di un’accademia militare, l’antica fortezza che domina il centro storico della città era stata occupata da un manipolo di insorti che vi si erano asserragliati resistendo per mesi, in condizione sempre più precarie, all’assedio dei repubblicani. Trascurabile dal punto di vista strategico nei piani dei militari golpisti, la piazzaforte divenne ben presto un luogo simbolico per le fazioni in lotta. Tanto che Francisco Franco decise a un certo punto che valesse la pena ritardare le operazioni su altri fronti per portare aiuto agli assediati ormai sul punto di capitolare. Fu un risultato simbolico dall’altissimo valore morale per i militari golpisti. Più di molte altre vittorie sul campo.
Ebbene, a questo episodio della Guerra Civile si ispira un film italiano girato nel 1940 da Augusto Genina con le star Fosco Giachetti e Maria Denis. Le riprese cinematografiche furono effettuate in parte nello stesso luogo dei fatti ossia all’interno della fortezza teatro degli eventi. L’assedio dell’Alcázar, questo il titolo, esalta ovviamente l’eroismo dei golpisti, la loro abnegazione, generosità, altruismo mentre dipinge a tinte fosche, come veri e propri demoni istigati dall’Unione Sovietica, i militari repubblicani che tentano di impadronirsi della piazzaforte. Fino all’inevitabile e trionfale “arrivano i nostri” del finale. Esempio emblematico, anche per l’accuratezza di sceneggiatura, regia e recitazione, di cinema di propaganda fascista. Coppa Mussolini come miglior film italiano alla Mostra del Cinema di Venezia del 1940.
Il contributo
L’antifranchismo al cinema
Sono tristi le facce dei soldati repubblicani sconfitti che si apprestano a lasciare per sempre Madrid avvolti in coperte spiegazzate sopra divise logore. Poco dopo il 28 marzo 1939, entrano nella capitale spagnola le truppe nazionaliste del generale Franco che assaporano il gusto della vendetta sui vinti con le loro divise stirate e le armi ripulite sotto il sole della capitale. I repubblicani arrivati in Francia sono rinchiusi nei campi di prigionia, mentre gli irriducibili, coloro che non si sono arresi, ripiegano sulle montagne e nelle foreste iniziando una lotta senza quartiere contro la Guardia Civile con azioni di guerriglia e sabotaggio. Centocinquantamila esecuzioni, centodiecimila internati nei battaglioni di lavoro, l’arruolamento coatto nella Legione Straniera, la deportazione in Germania sono le punizioni inflitte dal dittatore ai suoi avversari. Dichiaratasi neutrale allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la Spagna ha così la possibilità di consolidare il suo nazionalismo grigio, bigotto e caratterizzato da una rigida censura. Il 19 ottobre 1944, nella Valle di Aran sui Pirenei, migliaia di guerriglieri in seguito alla liberazione della Francia dal nazifascismo penetrano in territorio spagnolo convinti di “farla finita con Franco e la Falange”, ma sono respinti sotto lo sguardo piuttosto tiepido dei loro concittadini stanchi di nuove ondate di violenza dopo tre anni di lotta fratricida. Benché isolata politicamente, messa al bando dall’Onu ed esclusa dal piano Marshall, la Spagna aderirà con l’avvento della guerra fredda al blocco anticomunista concedendo l’insediamento di basi militari della Nato sul suo territorio.
Si spiega così il silenzio che cala per molto tempo sul paese iberico senza democrazia. Fa eccezione nel 1943 l’adattamento cinematografico del romanzo di Ernest Hemigway Per chi suona la campana, diretto da Sam Wood e interpretato da Gary Cooper e Ingrid Bergman, grande successo all’epoca che però dà poco risalto all’aspetto politico privilegiando la storia d’amore tra l’americano Robert Jordan, un combattente repubblicano, e Maria, una ragazza rimasta sola dopo la morte della sua famiglia uccisa dai nazionalisti. Hemingway, furibondo del risultato, toglierà per molto tempo il saluto al suo amico Gary Cooper.
Nel 1962 Frédéric Rossif firma Morire a Madrid, film di montaggio costituito da materiale inedito contenente le immagini dell’addio della “pasionaria” Dolores Ibárruri alle brigate internazionali nel 1938 in partenza dal paese, il bombardamento di Guernica e l’uccisione del poeta García Lorca. La questione spagnola ritorna sullo schermo nel 1964 con E venne il giorno della vendetta un singolare film in bianco e nero di Fred Zinnemann girato sui Pirenei in territorio francese e ispirato alla figura di Francisco Sabaté Lloppart detto “El Quico”, un leggendario guerrigliero anarchico responsabile di molti attentati. Gregory Peck è il rancoroso e indomito Manuel Artiguez, in esilio da vent’anni in un villaggio francese vicino al confine, pronto a compiere un’ultima azione contro Anthony Queen, il capitano Viñolas della Guardia Civil, suo antico nemico. Del 1966 è La guerra è finita di Alain Resnais con sceneggiatura di Jorge Semprún: la crisi morale e politica di un militante comunista in esilio a Parigi interpretato da Yves Montand. Ancora l’attore nel 1980 in Le strade del sud di Joseph Losey sarà uno scrittore spagnolo di sinistra nei giorni della lunga agonia di Franco. Il cinema italiano dedica tre film all’argomento: Una vita venduta (1976) di Aldo Florio in cui due poveri siciliani sono costretti per necessità a arruolarsi nel 1936 per combattere contro i repubblicani in terra iberica e Volontari per destinazione ignota (1978) di Alberto Negrin, storia di contadini lucani reduci dall’Abissinia dirottati verso la Spagna al fianco delle truppe di Franco. Infine, nel 1979 Gillo Pontecorvo firma il suo ultimo film Ogro che mette in scena l’uccisione, il 20 settembre 1973, dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco, capo del governo, per mano di quattro militanti baschi dell’Eta. Nel 1995 in Terra e libertà l’inglese Ken Loach affronta una verità storica, le divisioni tra le varie componenti del Fronte Popolare Repubblicano responsabili della sconfitta finale. Nel febbraio 1976, grazie all’abolizione della censura, arrivano sugli schermi due documentari di Basilio Martín Patino, Canciones para después de una guerra bloccato dal 1971 e Caudillo (1974-77), un film di montaggio sull’ascesa politica di Franco realizzato per buona parte in clandestinità, e i lungometraggi Le lunghe vacanze del ’36 di Jaime Camino, primo film sulla Guerra Civile e La colmena-L’ alveare (1982), di Mario Camus: impietoso ritratto della Spagna affamata e misera dell’inverno del 1942. Da un romanzo di Camilo José Cela. Dieci anni prima in Lo spirito dell’alveare (1973) di Victor Erice, una bambina di uno sperduto villaggio della Castiglia del 1940, innamorata del personaggio di Frankenstein, lo identifica in un fuggiasco repubblicano e in Los dias del pasado (1977), anch’esso di Mario Camus, una ragazza cerca il suo fidanzato rifugiato sulle montagne con i guerriglieri. Manuel Gutiérrez Aragón dedica El corazón del bosque (1978) alle vicende di un gruppo di resistenti degli anni ‘50 decisi a non arrendersi mentre in Silencio roto (2002) di Monxto Armendáriz protagonisti sono alcuni ragazzi che prendono la via delle montagne dopo la vittoria dei nazionalisti. E ancora un reparto di partigiani sbucato dalle foreste in lotta con un capitano franchista incaricato di eliminarli è al centro di Il labirinto del fauno (2006) di Guillermo Del Toro.
Il 2 marzo 1974 Salvador Puig Antich, giovane militante del Movimiento Ibérico de Liberación, è l’ultimo prigioniero politico a venire giustiziato con la garrota. La sua storia è raccontata nel 2007 da Manuel Huerga in Salvador-26 anni contro e, infine, Le tredici rose del 2007 di Emilio Martínez Lázaro è la vera storia di tredici giovani donne fucilate nell’agosto 1939. Dopo la morte di Franco, il 20 novembre 1975, si comincia a respirare l’aria della libertà. Nelle sale esce il censurato Viridiana (1961) e Luis Buñuel torna in patria per girare Quell’oscuro oggetto del desiderio (1977). Uno dopo l’altro rientrano gli oppositori del regime tra i quali Dolores Ibárruri accolta da uno folla immensa all’aeroporto. Con lei forse anche qualcuno dei giovani dalla divisa logora che sfilarono sconfitti tra le strade di Madrid il 28 marzo 1939. La guerra era davvero finita.
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