Anche in questo caso siamo di fronte a un’opera che ci parla del Fascismo per vie traverse, andando cioè a cercare tra le pieghe della microstoria le ragioni e la realtà più profonde della macrostoria, ossia degli eventi che hanno segnato il corso dei secoli. Anche qui, come in Vincere (2009) di Bellocchio, lo strumento narrativo del cinema di finzione si contamina e si unisce a spezzoni di cinegiornali e radiocronache dell’epoca che ne rafforzano il significato. Il cinema, infatti, sin dalla sua apparizione è servito “anche” a documentare gli eventi storici. Tale documentazione trova nuova vitalità espressiva in un contesto diverso da quello per il quale è stata creata. In questo film Scola antepone al suo racconto una decina di minuti di cinegiornali che documentano la visita di stato di Adolf Hitler nell’Italia mussoliniana tra il 3 e l’8 maggio del 1938. È un corpus consistente che non solo introduce, ma spiega anche ciò che stiamo per vedere. Nel resto del film il regista applica in modo rigoroso le cosiddette “unità aristoteliche” (tempo, luogo e azione). Elaborate per il teatro classico greco tali unità rappresentano un’antitesi al libero fluire delle immagini del cinema, alla sua “geografia immaginaria”, al suo stesso principio grammaticale di base costituito dal montaggio ossia dalla giustapposizione di elementi figurativi tra loro incongrui e che assumono significato proprio dalla dialettica interna piuttosto che dalla concatenazione.
Unità di tempo dato che tutto si svolge nell’arco di alcune ore tra la mattinata e la sera di venerdì 6 maggio 1938, ossia nella giornata clou della visita di stato dei vertici nazisti con la parata militare ai Fori Imperiali e i discorsi dei leader. Unità di luogo in quanto il racconto si sviluppa interamente negli appartamenti e nelle aree comuni di Palazzo Federici, un complesso edilizio edificato nel 1931 su disegno dell’architetto razionalista Mario De Renzi. Unità d’azione poiché il fluire degli eventi non è interrotto né frammezzato da digressioni, divagazioni, trame secondarie, flash back o flash forward come avviene invece per lo più nel lessico cinematografico.
Ma che cosa ci racconta Ettore Scola di questa giornata? Ci racconta una (anzi due) condizioni di vita esemplari. Due stati d’animo, due esistenze apparentemente lontanissime eppure sin troppo vicine nella profondità dei significati reconditi. Le due esistenze sono incarnate da Antonietta (Sofia Loren), madre di sei figli, moglie di un piccolo funzionario pubblico assertivamente fascista e fascista anch’essa o, per lo meno educata e cresciuta nel mito dell’uomo forte di cui ha una percezione quasi mitica se non mistica, e Gabriele (Marcello Mastroianni), speaker radiofonico dell’Eiar (non ancora Rai) in aspettativa. I due sono di fatto degli emarginati, dei perdenti secondo i canoni dell’epoca. L’una relegata al ruolo di “serva domestica” a disposizione di marito e figli in un ruolo ancillare falsamente nobilitato dalla comprovata fertilità, l’altro in attesa di essere confinato in una località sperduta per il solo fatto di essere omosessuale ossia portatore di una “diversità” invisa al regime. E i dialoghi ricordano giustamente come le politiche familiari del fascismo prevedessero un premio in denaro alla nascita del settimo rampollo (dietro il presupposto che i cittadini dessero “figli alla patria”) mentre oltre una certa soglia di età (25 anni) gli scapoli erano tenuti a versare la cosiddetta “tassa sul celibato”.
Ma sono molto numerosi i dettagli che nel corso della vicenda portano luce sui significati dell’ideologia fascista e sull’emarginazione che condiziona le vite di chi non si conforma ai dettami dell’opinione comune. Uno per tutti: l’album di Antonietta con i ritagli, le fotografie, gli slogan che appartengono alla mitologia del regime e alle sue parole d’ordine in cui si traducono le politiche sociali. Come dicevamo all’inizio il film si apre con materiale di repertorio cinematografico, ma anche l’intero corso delle vicende di Antonietta e Gabriele è contrappuntato in colonna sonora dalla radiocronaca della visita di stato trasmessa tutto volume dalla radio della portinaia del palazzo. Va detto che negli archivi Rai non esiste la registrazione reale di quell’evento per cui gli autori del film sono dovuti ricorrere al parlato dei cinegiornali Luce che erano invece stati conservati. Manipolandolo abilmente per adattarlo, come sfondo sonoro, alle diverse situazioni drammaturgiche escogitate nello sviluppo della trama. Con il commento pronunciato da Guido Notari, speaker ufficiale dell’Istituto Luce, dalla voce stentorea, inconfondibile, autentico “megafono del regime” che a volte arriva in primo piano, sovrasta il resto dei rumori, introduce o dà lo spunto a battute dei dialoghi oppure, in altri casi, come nelle scene ambientate negli stenditoi sul tetto del palazzo viene relegata a puro brusio indistinto, rumore di fondo di cui si coglie solo la retorica marzialità e i toni trionfalistici.
Nel suo film Scola lavora dunque per dettagli, per accumulo di particolari, per antifrasi e antinomie che, in qualche modo, contraddicono nello specifico linguaggio cinematografico le unità aristoteliche cui abbiamo fatto cenno sopra. Anche l’uso della macchina da presa, estremamente mobile e fluida dati i mezzi a disposizione all’epoca (gru e dolly principalmente), si pone al servizio di questa forma estetica con numerosi pianisequenza che entrano ed escono dagli spazi in cui agiscono gli attori e, in questi casi, gli ambienti di Palazzo Federici sono ricostruiti in studio.
Un ultimo cenno riguarda infine la fortuna che il film di Scola ha avuto e continua ad avere anche in tempi recenti su altre opere. Non solo per il suo titolo diventato ormai parte di un lessico collettivo entrato nell’uso comune, ma anche per lo stile e l’impostazione generale. Senza questo film non si spiegherebbero, per esempio, numerose scelte estetiche e formali del recente campione d’incassi C’è ancora domani (2023), esile e scialba prova d’esordio dietro la macchina da presa di Paola Cortellesi che ha incontrato uno strepitoso quanto inatteso successo di pubblico. Senza contare l’abisso che separa Cortellesi regista da Ettore Scola e Cortellesi attrice da Sofia Loren.
Il regista
Ettore Scola (1931-2016) si forma nell’ambiente cinematografico scrivendo sceneggiature per film appartenenti alla cosiddetta “commedia all’italiana” e collaborando alla stesura degli sketch radiofonici di Alberto Sordi. Autore prolifico, in mezzo secolo di carriera gira una trentina di film a partire dalla metà degli anni ‘60. Molte sono opere trascurabili, come il suo primo, grande successo commerciale girato nel 1968: Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?. Nel decennio successivo Scola realizza peraltro alcune opere tra le più mature e degne di nota della sua carriera: C’eravamo tanto amati (1974), questo Una giornata particolare e La terrazza (1980). Nell’insieme compongono un amaro ritratto di tre diverse generazioni di italiani che mostrano, in storie esemplari, i mali collettivi, le tare, le frustrazioni, le lusinghe della borghesia e della classe lavoratrice negli anni che vanno dal fascismo al boom economico, alla contestazione.
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