sceneggiatura Asaph Polonski cast Shai Avivi (Eyal Spivak) Evgenia Dodina (Vicky Spivak) Tomer Kapon (Zooler) Alona Shauloff (Bar) Uri Gavriel (Rafael) Sharon Alexander (Shmulik Zooler) Carmin Mesilati Kaplan (Keren Zooler) genere commedia durata 94 min
La settimana del titolo è quella che in ebraico si chiama “shiva” e segna il periodo di lutto stretto osservato dai parenti più prossimi di un defunto. Comincia il giorno del funerale e termina al mattino del settimo giorno successivo. Durante questa settimana nessuno può indulgere a piaceri corporali come fare il bagno o doccia in acqua calda né, tanto meno, avere rapporti sessuali e gli uomini evitano di radersi il viso. È raccomandata anche la moderazione nel cibo. Del primo pasto dopo la “shiva” di solito si occupano i parenti o gli amici delle persone in lutto. Se si ignorano queste prescrizioni riesce più difficile comprendere il perché di certe azioni mostrate nel film che si svolge, come da seconda parte del titolo, nell’arco della giornata successiva alla conclusione della “shiva”. protagonisti sono Eyal e Vicky Spivak, reduci dalla perdita del loro unico figlio 25enne, ucciso da un tumore. Dunque una specie di “Stanza del figlio” in salsa yiddish ovvero buttata in commedia, se così si può dire. Infatti la giornata passa sostanzialmente tra i tentativi di Vicky di rientrare nella normalità, nel riprendere la vita di sempre come se nulla fosse accaduto, compreso far lezione nella scuola dove insegna, e gli altrettanto reiterati tentativi di Eyal di “uscire dai pali”, come se nulla potesse tornare come prima. In entrambi i casi i risultati sono (o meglio: dovrebbero essere) più umoristici che drammatici. Complici anche i due vicini-nemici di casa (Shmulik e Keren) e il loro figlio, quasi coetaneo e amico del morto. Così tra gattini nati nel giardino di casa, un sacchetto di marijuana a scopo terapeutico sottratto all’ospedale, il “rapimento” di una piccola paziente per un’escursione al mare e una visita al cimitero degna dei Blues Brothers, se ne va anche la giornata di Eyal. Si dovrebbe ridere a denti stretti? Si dovrebbe lacrimare con il sorriso sulle labbra? Francamente ci sfuggono quali siano le reali intenzioni del regista nel combinare un film piuttosto scombinato e inconcludente. Con personaggi antipatici o che non attirano la simpatia, anche quando patiscono uno dei dolori più atroci che un essere umano può provare. Tanto che neppure la bravura degli interpreti, alla fine, riesce a sopperisce le magagne della sceneggiatura.
E allora perché vederlo?
Per imparare a sorridere anche della morte
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