sceneggiatura Jim Jarmush cast Adam Driver (Paterson) Golshifteh Farahani (Laura) Barry Shabaka Henley (Doc) William J. Harper (Everett) Chasten Harmon (Marie) Rizwan Manji (Donny) genere commedia durata 113 min
Paterson è un giovane autista di bus urbani che vive a Paterson, cittadina del New Jersey, con il pallino della poesia. Coltivata nello scantinato della sua casa, in una piccola, ma selezionatissima biblioteca, e su un taccuino che porta sempre con sé dove scrive le liriche che gli si affacciano alla mente nel corso del suo lavoro o quando, durante la pause, siede al belvedere sulla cascata del fiume. Con lui vive Laura, compagna d’arte e di vita che dipinge e cucina. Contaminando spesso le due attività quando, per esempio, decora i muffin come le tende di casa, con cerchi neri su fondo bianco, o viceversa. Dipinge e crea anche abiti, complementi d’arredo, suppellettili perché la fantasia non dorme mai e la creatività deve trovare il suo libero corso. La famigliola è completata da Marvin, bulldog inglese, che Paterson si porta a spasso la sera fino allo Shades Bar di Doc dove, tra una chiacchiera e l’altra, chiude la giornata con un boccale di birra. Il film racconta una settimana di vita di Paterson. Al posto di guida del bus, ascoltando le chiacchiere della gente che trasporta, o mentre consuma la “schiscia” dove, accanto al panino, c’è la foto di Laura e quella di Dante Alighieri, poeta italiano specifica tra sé. Anche Laura era la donna amata da un altro poeta italiano: Francesco Petrarca, ma le coordinate culturali di Paterson sono più vicina a noi e, soprattutto, più vicine a Paterson. Tanto da essere le glorie cittadine. Ecco allora l’attore Lou Costello (che con Bud Abbott diede vita al duo Gianni&Pinotto), il pugile Rubin “Hurricane” Carter che due ragazzini sul bus citano per la somiglianza con l’attore Denzel Washington. Guarda caso Washington è stato protagonista del film di Norman Jewison “Hurricane” (1999) biopic sulla vita di Carter. E poi un altro italiano: Gaetano Bresci. Si proprio lui, il regicida. Che per un certo periodo visse a Paterson e partì da qui per compiere il gesto che vendicasse i morti della repressione di Bava Beccaris. E poi William Carlos Williams, medico condotto a Paterson e poeta, autore di una raccolta intitolata con il nome della cittadina. Infine Allen Ginsberg, esponente di spicco della Beat Generation, anch’egli cresciuto qui. Tutti compresi nel “wall of fame” del bar di Doc, garbata canzonatura della più celebre “walk of fame” hollywoodiana. Insomma, tra citazioni e rimandi, ammiccamenti e ricordi c’è davvero da perdersi nei meandri dell’arte, della storia e della poesia in questo irrilevante angolo di Stati Uniti, rilevantissimo per lo spirito. Il tutto contrappuntato dalla sottile trama delle parole messe in fila una dopo l’altra sul taccuino di Paterson e sullo schermo. “Parole scritte nell’acqua”, come è nella natura stessa della poesia e dei muffin di Laura. Parole che hanno senso e sentimento solo per chi le scrive e per i pochi che le ascoltano. Fosse solo una bambina di 10 anni, a sua volta poetessa in erba. Eccessivamente idolatrato dai critici festivalieri negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso per film di buona fattura, ma non certo memorabili (Da “Stranger than Paradise”, 1984, a “Daunbailò”, 1986 con Roberto Benigni, a “Tassisti di notte” 1991, ancora con Benigni, a “Coffee and Cigarettes”, 2003), passata la sessantina Jarmush, riesce a dare il meglio di sé con questa opera minimalista, profondamente psicologica e altamente poetica. Campione del cinema indipendente “Made in Usa”, ossia di un cinema-che-non-c’è, il regista gioca con le parole di Ron Padget (l’autore delle liriche) e le immagini di un quotidiano che più quotidiano non si può per dimostrare che non è la vita “in grande” (né quella dei “grandi”) a nascondere le autentiche meraviglie dell’esistenza. Basta sapersi guardare attorno e, soprattutto, dentro. Bellissimo il finale con il poeta giapponese di passaggio a Paterson sulle tracce di William Carlos Williams e la sua folgorante definizione delle poesie tradotte in un altra lingua: «È come fare la doccia con l’impermeabile». Definizione perfetta anche per il doppiaggio dei film. Se poi qualcuno volesse rileggersi le poesie di Ron Padget può farlo su ComingSoon
E allora perché vederlo?
Perché è uno dei pochi film contemporanei capace di riconciliarci con la vita
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.