sceneggiatura Ziad Doueiri, Joelle Touma cast Adel Karam (Toni Hanna) Kamel El Basha (Yasser Salameh) Camille Salameh (Wajdi Wehbe) Rita Hayek (Shirine Hanna) Talal Jurdi (Talal) Carlos Chahine (giudice) Christine Choueiri (Manal Salameh) Julia Kassar (giudice d’appello) genere drammatico prod Libano, Fr., Usa, 2017 durata 108 min
Mai come di questi tempi torna d’attualità la “Questione palestinese”. Non solo perché a maggio 2018 cade il 70° anniversario della fondazione dello Stato Ebraico, ma anche e soprattutto per il protrarsi e il radicalizzarsi delle aree di crisi mediorientali connesse a quella questione. La madre di tutte le questioni. Per fortuna i film che attingono a quell’inferno e che mettono in scena la vita quotidiana delle popolazioni mediorientali con accenti veri e ottima resa artistica sono sempre più numerosi. “L’insulto” è uno di questi e, a nostro parere, tra i migliori. Lo scenario è il Libano, paese che ha conosciuto guerre civili, massacri, invasioni e repressioni quasi quanto la Palestina e la vicina Siria. Triste sorte per uno stato che fino agli anni ’60 del ‘900 era definito la “Svizzera del Medioriente”. Dunque il Libano e Beirut, la sua capitale. E, all’interno di Beirut, il quartiere cristiano. Non a caso il Libano è l’unico paese arabo a maggioranza cristiana (40% della popolazione). Qui vive Toni Hanna con sua moglie Shrine in attesa di un pargolo. Toni ha un’officina meccanica per auto e non sopporta i palestinesi. Tanto che quando Yasser Salameh, capomastro (palestinese) di un’impresa edile che sta effettuando dei lavori nella via gli fa uno sgarbo, Toni perde le staffe, ben al di là del fastidio che gli viene recato. Ma perché il meccanico ce l’ha tanto con i palestinesi? Per scoprirlo dovremo aspettare l’epilogo del film, ma la sostanza la si intuisce subito, quando Toni pretende dal capomastro delle scuse formali che l’altro non si perita di porgergli. Non solo: quando finalmente si lascia convincere a farle, l’arroganza del meccanico scatena una reazione ancora più violenta del primitivo “insulto”. Così, come la classica palla di neve si trasforma in una valanga, il diverbio si trascina nelle aule dei tribunali e si ingigantisce, si gonfia, s’ingrossa fino a diventare un caso nazionale destinato a riaprire ferite mai sopite e rinfocolare odi, ripicche, rancori che sembravano consegnati a un passato ormai sepolto. Doueiri gioca magistralmente con l’accrescersi della tensione drammatica nello sviluppo della storia coinvolgendo man mano anche i comprimari accanto ai protagonisti. A partire dagli avvocati che si alternano davanti ai giudici nel perorare le rispettive cause a colpi di… colpi di scena a raffica. Meglio persino dei classici americani del genere. Ne risulta il quadro impietoso e realistico di un paese che sotto l’apparente quieto vivere mostra ancora i nervi scoperti. Un po’ come quelli di Toni Hanna e dell’altra faccia della stessa medaglia che si chiama Yasser Salameh.
E allora perché vederlo?
Per imparare a capire le ragioni dell’altro ogni volta che ci troviamo in disaccordo con qualcuno.
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