sceneggiatura Guillermo Calderón cast Luis Gnecco (Pablo Neruda) Gael García Bernal (Oscar Peluchonneau) Mercedes Morán (Delia del Carril) Alfredo Castro (presidente Videla) Pablo Derqui (Victor Pey) Michael Silva (Álvaro Jara) Jaime Vadell (Arturo Palma) Alejandro Goic (Jorge Bellet) genere drammatico durata 103 min
Cile, 1948. Con l’inizio della guerra fredda e della contrapposizione tra i blocchi, anche in questa provincia marginale dell’impero americano si scatena il conflitto tra progressisti e conservatori. Questi ultimi sono rappresentati dal presidente Vileda, autore di un clamoroso voltafaccia: eletto con i voti determinanti del partito comunista, promulga una legge che lo mette fuorilegge e che consente la persecuzione e l’arresto dei suoi militanti. Tra i quali spicca il senatore e poeta Pablo Neruda, fresco di Premio Nobel, e certamente il cileno più noto a livello internazionale. Per sfuggire alla cattura, lo scrittore entra in clandestinità e, con l’appoggio dell’apparato del partito sfugge alla cattura per quasi un anno mentre sulle sue tracce si mette un giovane ispettore di polizia che lo insegue fino a quando il ricercato riesce a passare il confine con l’Argentina. Dice bene il regista: “Il film non è incentrato sulla figura dello scrittore, sulla sua biografia, ma sul suo universo poetico”. Tanto che i personaggi, a partire dallo stesso scrittore, diventano figure letterarie. Fulcro del film è infatti la sovrapposizione tra Neruda e Oscar Peluchonneau: perseguitato e persecutore. Tra i due si svolge una sorta di inseguimento-rimpiattino dove l’esistenza di ciascuno trova giustificazione nel rispecchiamento dell’altro. Non per nulla la voce fuori campo dell’agente accompagna l’azione fin dall’inizio, prima ancora che il personaggio entri in scena. Da subito si stabilisce una sorta di fusione tra i due. Quando l’agente perquisisce la casa dello scrittore trova un libro, lasciato bene in vista sul carrello di una macchina da scrivere, con una dedica a lui diretta: “Sorgi a rinascere con me, fratello poliziotto”. Poi flirta con la sua prima moglie, sovrapponendosi anche qui con il suo alter-ego. Si può dire che l’universalità della poesia e dell’arte pervade ogni anima sensibile, anche se indossa l’uniforme di un regime totalitario. Peluchonneau ha infatti la faccia da bravo ragazzo di Gael García Bernal, attore-feticcio di Pablo Larraín che gli aveva dato il ruolo principale nell’altro suo film sulla recente storia del Cile: “No, i giorni dell’arcobaleno”. García Bernal aveva anche impersonato il Che Guevara nei “Diari della motocicletta” (2004) del brasiliano Walter Salles, a riprova del fatto che l’attore messicano rappresenta ormai la faccia pulita dell’America Latina. Per altro verso il personaggio di Neruda ha il volto faunesco e furbesco di Luis Gnecco, più caratterista che attore. Dal film emergono infatti i lati meno nobili del grande poeta: la passione per le donne, l’egocentrismo, le bizze, a volte il senso di superiorità che stride ancora di più con la scelta politica egalitaria del comunismo. Eppure anche tutto questo appartiene alla “narrativa” piuttosto che alla cronaca (esemplare la scena nel bordello), come la sin troppo lunga e verbosetta sequenza finale, girata nella selvaggia regione dell’Araucanía, dove la metafora letteraria emerge in tutta chiarezza. Ultima nota: come sempre, anche qui, il doppiaggio rappresenta uno stupro sulla qualità del film. I versi di “Canto General” e altre poesie nerudiane recitati in castigliano non sono paragonabili alla loro traduzione e alla necessità di aderire ai movimenti labiali. Per dirla alla Moretti: “Continuiamo così: facciamoci del male”.
E allora perché vederlo?
Per farsi trasportare dalla poesia. A prescindere dal poeta.
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