Anime nere
regia Francesco Munzi sceneggiatura Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello cast Marco Leonardi (Luigi) Peppino Mazzotta (Rocco) Fabrizio Ferracane (Luciano) Giuseppe Fumo (Leo) Barbora Bobulova (Valeria) Aurora Quattrocchi (Mamma Rosa) Anna Ferruzzo (Antonia) genere drammatico durata 104′
Traffico internazionale di stupefacenti, infiltrazioni malavitose nell’economia, faide e omertà, riti pubblici e summit segreti… Gli ingredienti del classico film sulla mafia ci sono tutti, ma questo di Munzi non è un classico film sulla mafia. Intanto perché la criminalità organizzata di cui si occupa è la ‘Ndrangheta calabrese (per certi versi più oscura e feroce della Cosa Nostra siciliana) e poi perché il taglio dato al plot ha pochissimo a che fare con i padrini cinematografici cui siamo abituati. Qui c’è poco o nulla di Gomorra (per fortuna) mentre c’è parecchio di Tre fratelli di Rosi e Rocco e i suoi fratelli di Visconti. Illustri precedenti che hanno poco a che fare con la mafia in senso stretto, ma molto con la questione meridionale e, ancor più, con la questione morale, il vero nodo irrisolto dell’Italia repubblicana. Altra anomalia: la famiglia ‘ndranghetista su cui si concentra l’azione è una cosca perdente, dunque il regista può sviluppare meglio l’analisi del fenomeno, senza indulgere a un’epopea che non c’è.
Ed ecco il punto: “Anime nere” mette in scena il senso dell’appartenenza al clan, il fascino esercitato sui giovani dalle imprese dei malavitosi, la “normalità” del delitto. A questo porta la storia di Luigi, grossista di droga, di suo fratello Rocco, ricco imprenditore edile con moglie borghese che ha costruito il proprio impero sui soldi riciclati, di Luciano, il maggiore dei tre, l’unico rimasto al paese a curare podere e animali, e di suo figlio Leo, emulo delle gesta familiari. Ed ecco Amsterdam e Milano, solide piazze affaristiche permeabili alla malavita organizzata, ed ecco Africo, il paese dell’Aspromonte dove tutti affondano le proprie radici e dove tutto si compie nel giro di pochi giorni. Del resto, proprio Luciano è il personaggio chiave, lui che vorrebbe scrollarsi di dosso il peso del nome che porta e che per farlo trova il sistema più drastico in un finale a sorpresa (ma non troppo) che ribalta con sicuro effetto ogni possibile aureola di eroismo che il cinema inevitabilmente conferisce anche ai personaggi più negativi.
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