“Un accordo storico”, “Un importante passo in avanti” verso una relazione più equilibrata” tra Stati Uniti e Cina. Un Donald Trump raggiante ha definito così l’accordo commerciale siglato ieri alla casa Bianca con il vicepremier cinese Liu He. In base all’intesa, Pechino si impegna ad acquistare 200 miliardi di dollari di prodotti Made in Usa in due anni e, in cambio, Washington cancella alcuni – non tutti – dazi punitivi imposti alle merci cinesi importate negli Usa. Nelle intenzioni, la ‘Fase 1’ dell’accordo dovrebbe porre fine a 18 mesi di guerra dei dazi tra le due sponde del Pacifico. Se ci riuscirà è ancora tutto da vedere, ma rappresenta un primo significativo passo avanti. Come ha osservato Myron Brilliant, un funzionario della Camera di commercio degli Stati Uniti, l’intesa, per il momento “ferma l’emorragia” e “cura i sintomi”, ma non interviene sulle cause profonde del problema. Di certo a migliorare il clima tra Pechino e Washington non ha contribuito l’altro accordo, firmato nei giorni scorsi a Washington, tra Stati Uniti, Unione Europea e Giappone, per consolidare le regole del commercio internazionale contro i sussidi di Stato alle aziende. La misura, infatti, prende di mira proprio attori come la Cina, la cui economia non definisce limiti in materia e che più volte negli ultimi anni ha sfruttato al massimo le possibilità offerte dal libero mercato per rendere più vantaggiose le sue esportazioni. Nel dubbio di come proseguiranno le relazioni tra le due superpotenze, i mercati internazionali stanno alla finestra, cercando di capire come farà la Cina a soddisfare l’impegno ad acquistare enormi quantità di prodotti made in Usa, e se questo metterà a repentaglio le commesse di altri fornitori.
Cosa prevede l’accordo?
L’intesa segna una svolta nelle relazioni commerciali sino-americane e sospende una pericolosa spirale, che avrebbe portato praticamente tutto l’import americano di prodotti cinesi (pari a 539 miliardi nel 2018) ad essere oggetto di misure tariffarie. Sul testo definitivo – diffuso dalla Casa Bianca – Pechino si impegna comprare 200 miliardi di dollari di beni americani tra il 2020 e il 2021. Di questi 75 miliardi di beni industriali; 50 miliardi di prodotti energetici, 40 di prodotti agricoli e 35-40 in servizi. In cambio Washington sospende ulteriori 160 miliardi di dazi e a riduce le tariffe introdotte a settembre su 120 miliardi di dollari di prodotti importati dalla Cina, dal 15% al 7,5%. Ma lascia inalterati i precedenti dazi del 25% su 250 miliardi di beni. Pechino, inoltre, si impegna a non fare svalutazioni competitive e a migliorare l’accesso al proprio mercato alle imprese di servizi finanziari americani. Due giorni fa, in cambio, gli Stati Uniti hanno depennato la Cina dalla lista dei “manipolatori valutari”, per la svalutazione dello yuan nei confronti del dollaro dello scorso anno.
Visto da Pechino
“L’accordo è vantaggioso per il mondo intero” è stato il commento ufficiale del presidente cinese Xi Jinping che, tuttavia, non era presente ieri a Washington per la firma. Un’assenza che ha alimentato le speculazioni. Secondo alcuni commentatori Xi, con la ‘Fase 1’ cerca di guadagnare tempo, in attesa di capire se Trump sarà rieletto a Novembre. Di certo, questa mattina la stampa cinese più che illustrare i dettagli di un accordo che appare meno vantaggioso per la Cina di quanto non lo sia per Washington, sottolinea ‘lo spirito’ dell’intesa e il fatto che i due paesi abbiano negoziato ‘alla pari’. E lo stesso vale per la gran parte della stampa cinese. Che Pechino non consideri i termini dell’accordo poi così vincolanti? Di certo ieri a Washington anche Liu He aveva dichiarato che i 40 miliardi di prodotti agricoli che la Cina si è impegnata ad acquistare dagli Usa “saranno comprati in base alla domanda”. Affermazioni ambigue che lasciano la porta aperta a diverse interpretazioni.
Luci e ombre?
Sono in molti a sottolineare come questa prima intesa serva a entrambi i contendenti: da un lato, la Cina – che non si fa illusioni sull’obiettivo a lungo termine di Washington di frenare le sue ambizioni di crescita – guadagna tempo. Consentendo a Xi Jinping di ridimensionare uno scontro che sta danneggiando le aziende cinesi, in un momento in cui l’economia interna non cresce come dovrebbe (le stime dell’Fmi prevedono tassi del 5,5% a fronte di un obiettivo fissato dai cinesi tra il 6 e il 6,5%). Dall’altro, assegna a Trump una vittoria politica importante e stempera il malcontento degli agricoltori statunitensi, fortemente colpiti dalla guerra dei dazi, in vista della campagna elettorale per le presidenziali di novembre. In sostanza Trump avrà gioco facile nel presentarsi agli americani come colui che ha ridotto il deficit commerciale con Pechino e ha riaperto il mercato cinese a condizioni di maggiore equilibrio per le imprese americane. Ma per quanto il presidente insista nel ripetere che l’intesa inaugura “un nuovo periodo di pace e prosperità”, sia a Pechino che a Washington, tutti sanno che siamo solo ad una tregua. I problemi strutturali nelle relazioni bilaterali tra i due paesi, che riguardano lo scontro per la leadership economica e tecnologica globale, di fatto rimangono irrisolti. Nell’intesa si fa vago accenno al furto della proprietà intellettuale, un’accusa comune a molte aziende americane che operano in Cina, e a quei sussidi di Stato che costituiscono la spina dorsale del modello capitalistico cinese e hanno contribuito a sostenere la rapida crescita delle società cinesi a livello internazionale. L’amministrazione afferma che molte di queste questioni saranno trattate nella ‘fase 2’. Di cui, al netto degli annunci, tempi e modi rimangono incerti.
E l’Europa?
Se l’America festeggia, l’Europa si preoccupa. Lo scorso 12 dicembre il rappresentante al commercio americano ha pubblicato un nuovo elenco di prodotti europei su cui Washington potrebbe introdurre dazi d’entrata anche fino al 100%. Per cercare di rilanciare, sulla scia dell’accordo Usa-Cina, anche le relazioni sulle due sponde dell’altro Oceano, quello Atlantico, l’irlandese Phil Hogan, da novembre nuovo commissario europeo al Commercio ha appena concluso una visita negli Usa di quattro giorni. I fronti aperti tra l’Unione europea e gli Stati Uniti sono numerosi (per approfondire clicca qui) e vanno dall’import di acciaio e alluminio alle tariffe sulle auto. Altro dossier critico è quello sulla cosiddetta ‘digital tax’ francese contro i grandi del web (Apple, Google e Amazon). Di certo, l’accordo raggiunto nel corso della sua visita con stati Uniti e Giappone per consolidare le regole del commercio internazionale contro i sussidi di Stato alle aziende, dimostra che Usa e Ue, se vogliono, sono ancora capaci di dialogare.
Fonte Ispi
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