Pensando a Marco sto riconsiderando il mio sguardo sugli altri. Mi rendo conto che a questa età ci sono, accanto alle piacevolezze che si possono raggiungere (per qualcuno “finalmente!”), le gatte da pelare, che stanno dentro come fuori di noi. L’ho già scritto: le piacevolezze possono essere fuga, antidoto, anestetico. Credo che lo siano un po’ comunque. E noto che queste gatte da pelare è difficile trattenerle a questa età. La riservatezza cede molto più facilmente di quanto si creda a favore del bisogno personale di ascolto, di comprensione. Penso a quanto sollievo con poco possiamo donare nell’impegno di dare attenzione a quella parte dell’altro che incontri che è principio di malessere. Solidarietà e malessere, o meglio solidarietà e sofferenza a questa età sembrano avvicinarsi, quasi toccarsi. Penso alla visita di un paio d’ore a Marco e alla moglie. Che cosa ha voluto dire per loro. La loro condizione li ha portati a una autenticità, a una sincerità che sa toccare le corde della commozione. Ho capito davvero attraverso di loro il senso della parola ‘dignità’.
Sto andando all’incontro con Vanessa.
Un incontro che mi mette in gioco fortemente. Voglio entrare in campo per la sua dignità, di cui forse non ha consapevolezza. Ho intuito che sotto la coperta del silenzio, della riservatezza, esiste tanta voglia di attenzione e tenerezza. Si, mi permetto di usare questa parola, tenerezza.
Arrivo al centro. L’educatore mi dice che oggi è molto scontrosa, e infatti è così.
Quando entro nella stanza, neanche mi guarda. Io mi siedo, in attesa di una sua mossa. E lei, con uno scatto si alza in piedi e con voce dura “Che cosa sei venuto qui a fare?”.
“Se vuoi me ne vado. Non hai che da dirlo”.
“Perché sei venuto qui?”
“Per chiederti come stai”.
“Solo per questo?”
“Può essere… Come stai?”
“Mi sono alzata male stamattina, ho fatto brutti sogni. Magari vuoi anche sapere che cosa ho sognato?”
“Dipende se hai voglia o meno di parlarne… come ti hanno lasciata quei sogni? Paura, angoscia, rabbia, turbamento… che cosa?”
“Perché lo vuoi sapere?”
“Parlarne può aiutare…”
“Tu sei uno psicologo travestito, vero? Guarda che io non ho bisogno dello psicologo!”
“Certo, e proprio perché non hai bisogno dello psicologo c’è qui una persona normale che vuole solo conoscerti.”
“Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno!”
“Infatti, non ho detto che voglio aiutarti, ma solo conoscerti”.
“Perché?”
“Dimmi, ti è mai capitato di incontrare una persona e di sentire come una vibrazione dentro di te, e quindi la curiosità di capire lì per lì il perché di quella vibrazione?”
Vanessa ride, di una risata che sa di compatimento. “Io ti avrei fatto ‘vibrare’? Io?” E nuovamente ride.
“Non ho voglia di essere preso da te in giro. E tantomeno di perdere tempo. Per cui se fai così, io me ne vado”.
Faccio l’atto di aprire la porta, e lei, scatta verso di me e blocca la porta, impedendomi di uscire dalla stanza.
“Capisco che oggi non sono gradito. Voglio uscire”.
“No, aspetta, aspetta. Possiamo parlare un po’?”
“Va bene. Ma niente risatina.”
Si siede. Guarda il pavimento, si martoria le pellicine delle dita. E comincia a raccontare. Vanessa è una ragazza albanese. Vittima di uno stupro in famiglia. Lei scappa. Viene in Italia e partorisce qui. Tutto accade due anni fa. La famiglia la cerca, la minaccia. L’arrivo a questo Centro è per lei la salvezza. Ne parla in maniera concitata, con rabbia. Non alza mai gli occhi. Non una pausa. La voce si fa via via meno dura.
“Avrai domande da farmi, immagino. Qui tutti hanno domande da farmi”. E finalmente mi guarda.
“Si, solo una: se vengo ancora a trovarti mi tratterai come hai fatto oggi?”
“No. Ma se vieni di che cosa parliamo?”
“Tu fra 6/8 mesi dovresti uscire da qui. Qui ti aiuteranno, ma comunque c’è da capire com’è il mondo fuori di qui, che non è solo quello che conosci. Devi decidere cosa fare. Ti va?”
“Va bene Gino. Mi porti del cioccolato? Qui non me lo danno mai..”
“Fondente o al latte”
“Al latte”
E’ fatta. Incrocio l’educatore prima di andarmene, rimane un po’ stranito quando gli racconto come è andata. Ma non gli racconto del cioccolato: è un segreto fra me e Vanessa.
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