Ho deciso di comprare un paio di scarpe. Confesso di possedere solo scarpe di cuoio e stringate. Risuolate più volte, ma ancora lucide e comode. E’ stata Lina a convincermi. Facendomi provare quei modelli che vanno oggi per la maggiore, suola di gomma, disegno anatomico, marca bene in vista. Per me erano solo “scarpe da tennis”.
Siamo in un negozio tappezzato di scarpe, capisco di tendenza. Un odore insopportabile di gomma, musica come solito in conflitto con i timpani, confusione. Ci guardano straniti. La clientela ha più o meno un terzo dei miei anni. E anche i commessi. Se mi chiedete se mi sentivo a disagio, la risposta è affermativa. Lina, ovviamente no. Si muove con competenza fra tutte quelle suole colorate.
Arriva il commesso: “Ciao, hai bisogno?”. Mi scappa uno sguardo molto severo. Lina ride. Ma non interviene.
“No grazie, faccio da solo”. Purtroppo mi esce con un tono un po’ seccato. Il ragazzo incassa: “Se hai bisogno, io sono qui”
“La ringrazio per la sua disponibilità”. Caustico. Lina è dietro di me, con la pila di scatole in mano. “Si capisce che non hai mai fatto il padre”. La risposta è pronta: “Il giorno che conoscerò i tuoi figli ti farò i complimenti”
Finge di non sentire. Mi piazza le scatole davanti. “Siediti e provale”. Erano 8 scatole. Tutte con numeri diversi, e la metà con contenuto orfano. La prima scarpa (appunto orfana) è rossa. Rosso Ferrari. Ma perché quel colore? Aspetto che lei arrivi.
“Lina, ma questo colore ti sembra adatto a me?”
“Ma ti sta benissimo, un tocco di gioventù!” La battuta è del commesso.
“Ha ragione. Svecchiati”.
Svecchiati… Non è una parola che lascio passare con indifferenza. Mi da fastidio. A parte il fatto che sono lì, in quel chiassoso spazio commerciale cercando di comprare qualcosa di nuovo, perché devo “svecchiare”? Perché devo cambiare a tutti i costi, adeguarmi a “tendenze” emergenti? Ma chi lo dice che le novità siano meglio di quanto già ampiamente sperimentato? E’ fin troppo facile citare gli smartphone, che ci rendono tutti iperconnessi con il mondo, eppure sempre più isolati e soli.
L’innovazione non è “buona” di per sé. E ci porta fuori strada se la contrapponiamo al passato.
Anzi alle volte ciò che appartiene al passato viene spacciato per nuovo, innovativo. Io ho riciclato per anni le mie scarpe, oggi quando sono consumate si buttano. Ebbene, si parla tanto di economia del riciclo, di riparare anziché buttare. Sono innovativo allora, ho da essere orgoglioso del mio “vecchiume”!
Se non conosci il passato, il nuovo non puoi apprezzarlo. Ogni contrapposizione cancella la storia, capace di suggerire come apprezzare il contributo di ciò che è nuovo.
E mentre sono immerso in questi pensieri, torna il commesso. Mi studia un attimo, evidentemente sono un cliente “difficile”. Lo anticipo.
“Ha mai provato un paio di scarpe di cuoio lei?”
“..no…”
“E’ come calzare un guanto, una seconda pelle. Assecondano ogni movimento. E non puzzano. E invecchiano lentamente. E ti lasciano il piede asciutto anche nella neve. Davvero non le ha mai provate?”
Lina pensa che stia per delirare. “Gino, di quelle scarpe, quali ti vanno bene? Questo commesso non ha solo te cui dare retta.”
“Sono tutte comode, ma sanno di plastica, e dubito che con la pioggia i miei piedi restino riparati. E poi i colori non mi piacciono. Rosso, blu elettrico, bianco, nero. Le scritte poi…”
Non le ho comperate, con il disappunto di Lina. Sarò vecchio, ma ciò che funziona ancora egregiamente non mi va di cambiarlo. Spenderò per qualche risuolatura. Il passato non è mai tutto da buttare.
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