Oggi sono a casa sua, il primo dei tre giorni che alterniamo per stare insieme. L’aria condizionata è eccessiva, da brividi polari. Ma inutile farglielo notare, tanto la risposta è sempre la stessa: “Gino, mettiti in pace, è l’età”. Come se lei fosse allo sboccio della sua adolescenza…. D’altra parte guai a parlare di ciccia. Sarebbe pronta a farmi fare la fine di Savonarola…
Ogni primo giorno da lei è dedicato interamente alle pulizie. Chissà perché. Mi ripaga con la sua carbonara, che neanche il Cracco sarebbe capace di riprodurre, e lo strudel, di cui sono tanto goloso. Surgelato per la verità: ma sa indovinare sempre il tempo giusto per il forno.
Oggi ho l’ingrato compito di spolverare tutti i suoi angeli Thun. Le piace collezionarli. Io li chiuderei tutti in uno scatolone da mandare in paradiso. Magari anche là c’è la crisi delle vocazioni.
Mentre faccio dell’auto-sostegno al noioso (noiosissimo) compito, sento un botto improvviso e un urletto soffocato, seguito da un “Ginoooo” versione richiesta di aiuto. Poso delicatamente il Thun e vado all’origine del botto ovvero la sua camera da letto, che è dotata di balconcino. La tapparella ha ceduto e lei è rimasta fuori. Ovviamente mentre batte il sole. Mi metto a ridere, tanto non mi può vedere.
“Gino, ci sei?”. Il tono è proprio supplichevole.
“Certo, sono qui. Tu sei tutta intera?”.
“Si intera, ma spaventata. E adesso?”.
Guardo meglio, si è rotta la corda. C’è solo da sperare che la meccanica sia integra.
“Gino, chiama qualcuno!”.
Sono proprio l’uomo del destino. “Pensa se fossi stata in casa da sola…. ad adescare dal balcone i maschi che transitano sotto… con quali risultati poi…
Gino, chiama qualcuno!”
“Guarda il lato positivo: una sauna praticamente gratis con abbronzatura. Non chiedermi la crema…”
“Gino, devo urlare per chiedere aiuto?”.
“Sei a casa tua….pensa, arrivano i pompieri, ti capita un bel fustone giovane e non incartapecorito come me che ti porta giù dalla scala girevole…ma tu soffri di vertigini, vero? Dovranno imbragarti per forza….”
“Guarda che urlo!”.
“Se urli torno a casa. La brutta figura la lascio a te…”
“Bel modo di aiutarmi! Stai dicendo una stupidata dietro l’altra!”
E’ nervosa. Stemperare la situazione non aiuta.
“Ascolta Lina, ho bisogno della scala per salire e aprire il cassonetto. Hai qualche attrezzo in casa, almeno un cacciavite?”
La risposta: “la scala in cantina, il cacciavite in cucina”.
Istruito su come arrivare nella cantina, scendo: la casa è vecchia, sembra di muoversi nelle catacombe. La luce è fioca, immagino di incrociare lo spettro di qualche antico inquilino. Ecco la sua cantina: apro e…. sembra come un negozio dei cinesi: una confusione indescrivibile, solo che c’è puzza, umido, polvere e tanta ruggine, ma soprattutto ragnatele. Un antro di streghe. Ovviamente mi muovo nella penombra, la lampadina, forse ancora dei tempi di Edison, giace sul portalume sotto un crosta di sporco. A tastoni sento la scala. E’ di legno, pesantissima. Provo a spostarla. E se mi cade qualcosa addosso? Sento dei sinistri cigolii, ma non vedendo, ho solo la speranza come protezione. Con uno sforzo immenso la porto fuori. Alla luce mi spavento. E’ malandata, le giunzioni erose dalla ruggine. Ma non ho altro. Ovviamente nell’ascensore non ci sta e devo portarla su a mano per due piani. Una via Crucis. Mi mancava solo la corona di spine. Entro in casa e sento la voce sferzante di Lina: “ma quanto tempo ci hai messo? Ma come posso contare su di te con tutta questa lentezza?”.
Ho reagito: “la tua cantina al buio totale, una scala malandata e pesantissima portata su a spalla per due piani. Non ho problemi a lasciarti qui, sai?”.
“Va bene, va bene”.
Cerco il cacciavite: praticamente un piccolo cacciavite, dalla punta consunta, inservibile.
“Lina, ti comunico che per intervenire servono degli attrezzi che qui mancano. O mi dai la possibilità di recuperarli. O cerchi qualcuno. L’attesa credo non cambi. Solo che io sono gratis”.
“Va bene, va bene, basta che ti sbrighi”.
Faccio più in fretta che posso. Mi scrollo di dosso tutta la polvere accumulata e vado a casa mia per prendere tutto il necessario. Per fortuna ho anche la cinta per la tapparella. Ritorno. Lina ha cambiato umore, è supplichevole: “mi scappa la pipi” sussurra, per non farsi sentire troppo….
Mi metto all’opera. Faccio voto che se non soccomberò ai capricci della scala, andrò a Lourdes. Il cassonetto è un condominio ben avviato di insetti di tutti i tipi. Riesco ad aprirlo e conto la presenza di nidi di vespe, per fortuna tutti sfitti. Riesco a riprendere la corda, e con fatica la riporto sulle sue guide per alzare quel tanto la tapparella per dare modo a Lina, poverina, di rientrare. Al rumore delle tapparelle sento un gemito di gioia. Le dico: “Lina, mettiti in ginocchio per entrare, non posso tirarla su tutta”.
“Ma come, non l’hai ancora riparata?”.
“Fa come ti dico e non aggiungere altro!”.
L’operazione riesce e rientra. E’ provata. Scendo dalla scala, sentendomi miracolato. Lei la guarda e mi dice: “ma non potevi portare qui una scala migliore? Per giunta questa è pericolosa. E molto sporca. Ma come si fa a tenere una scala così?”.
“Lina, questa è la TUA scala”.
Tace. Sparisce in bagno e poi, senza dire una parola, va in cucina. Duellando con la mia speranza di vita riprendo i lavori con la malferma scala. Arrivano le 12.30, finalmente finisco. Riavvito il condominio e noto subito che gli insetti riprendono la loro vita quotidiana. E la mia è ancora intera. Sono distrutto. Raccolgo i miei utensili.
Lina arriva. “Ti ho preparato quel che ti piace. Ma adesso ti ho preparato la doccia. Avrai sudato molto. Così ti sentirai meglio”.
E intanto controlla lo scorrimento della tapparella: “caspita, ma funziona meglio di prima. Sei proprio un bravo ometto, Gino!”.
….Ometto… Vado alla doccia. E almeno per quella ha attenzione. Pulitissima, neanche una traccia di calcare o di graffi.
Il regalo dopo c’era davvero: lo strudel fatto con le sue mani. Profumatissimo, ma ancora crudo dentro. Per la prima volta il tempo non era azzeccato. Ma ero talmente stanco che ne ho mangiato tre quarti.
Satollo, immaginavo un sonnellino sul divano Ikea. Ma non è così.
“Non crederai di lasciarmi in camera quell’arnese sporco e bisunto che mi fa schifo solo a guardarlo. Riportalo giù subito per favore, mentre io lavo i piatti”.
Botta di orgoglio maschile, con un attacco mirato al suo senso di colpa. Con perfetto stacco dei tempi, e con consumato mestiere da teatrante, nell’alzarmi dalla sedia, vengo colto da un improvviso mal di schiena. Risultato della operazione bellica due giorni di relax da ricordare, coccolato e pieni di affetto. E gli angeli Thun che hanno ritrovato il loro colore originario grazie alle dirette cure della loro padrona.
E la scala, pulita di tutto punto, è finita dietro a una porta in casa. Pronta per un prossimo intervento.
Ho un dubbio che mi tormenta: “Non è che per caso sta preparando la sua silenziosa vendetta?”.
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