Nel settimo incontro questo è il messaggio: non è mai troppo tardi, non esistono eventi, scelte nella propria vita che hanno l’appannaggio della definitività, che appartengono al passato e che pretendono di affondare la loro influenza (ma sarebbe corretto dire che noi lasciamo che sia così), nella vecchiaia. Io penso a mia madre, che superata la soglia degli 80 anni, si chiude in casa, è sospesa fra il “mi piacerebbe” e il “dove vado”, il “che cosa faccio”. Salvo poi rianimarsi perché qualcuno la chiama e le dice “vieni con me”. Ingabbiata nei suoi pensieri, nella censura del “queste cose non si fanno alla mia età”. Il pensionamento non è neanche una “zona Cesarini”, un’area della vita dove recuperare in extremis affannosamente e concitatamente “tutto quello che non si è fatto prima”. La nostra vita è una occasione continua per fare scelte importanti. E credo che le scelte importanti siano dentro una miriade di scelte molto più piccole, quotidiane, quasi invisibili, ma che dicono, riconducono a qualcosa di più grande e meditato. Ogni momento di vita è occasione per scoprire come, in che misura riscrivere, affidare all’istante che viene la realizzazione delle nostre scelte di fondo. Non è mai troppo tardi: se non accade prima semplicemente qualcosa era ancora prematuro. La nostra consapevolezza del momento è il dono di una infinità di altri atti che ci hanno condotto lì, davanti al momento che sta per accadere e nel quale potremmo far risuonare quel qualcosa che per noi è tanto tanto importante. Vi confesso che in questo percorso sto scoprendo la bellezza dei rapporti umani, la loro seducente profondità: non mi rimprovero del tempo che ho perso, ma gioisco del tempo che ho davanti come occasione per viverlo diversamente.
Alla macchina del caffè nella pausa mi son lasciato scappare anche la voglia di “mettere su famiglia”. Mi è uscita così, mi sono stupito di me stesso, tanto. Io non sono sposato. E la risposta del mio interlocutore è stata: perché no Gino? Questo accade qui, a me, in questo percorso. E le scelte importanti cui alludo sono il “progetto di vita”, come abbiamo imparato a chiamarlo. E ci sto lavorando alacremente, comincia ad avere una sua fisionomia. E mi rinforza ogni giorno di più l’idea che la vita non è vita se è scandita da una serie di impegni, sempre quelli, rassicuranti nella loro regolarità, da accettarsi senza uno specifico perché. Come entrare in un supermercato, dove conosci a memoria un percorso che non puoi modificare, sai quel che devi prendere, dove trovarlo. E pensi di scegliere, ma così non è: attraverso il meccanismo delle offerte e/o degli sconti i maghi del marketing ti “guidano” nelle scelte. C’è altro caspita, c’è altro. Nel mio progetto ho deciso quali ingredienti: volontariato, la voglia di girare un Paese che mi piace tantissimo, l’Austria, ritrovare relazioni sopite e stanche, e….scrivere. Chi ha letto questi primi brani del mio diario di bordo ha espresso per me giudizi molto lusinghieri. E questa per me è una scoperta: poter dare attraverso la pagina scritta. E non mi viene di dire: ah, se l’avessi scritto prima. Se la scoperta arriva a maturazione ora è perché è questo il momento in cui doveva accadere. E rimpiangere a che servirebbe? Quale aiuto mi potrebbe dare? Certamente mi sciuperebbe il piacere della scoperta. E’ come se mi dicessi che 30 anni fa avrebbe avuto una sua dignità questa scoperta, un valore, ora no, è solo una caricatura di piacere, un sentimento di cartapesta. Mi rifiuto di lasciarmi prendere da questi pensieri. Certamente non vincerò il premio Strega, Bancarella o giù di lì.. però forse, con tutte le possibilità che offre Internet, potrò scrivere e avere un mio piccolo circolo di lettori, di fedeli compagni di pagina (virtuale). Saranno 5, 50, 500…non mi interessa. Ciò che conta è l’intensità dello scambio, il sentirsi accolti e ascoltati senza un secondo fine/interesse che ne deturpi l’autenticità. Senza strumentalismi, senza ipocrisie. Non voglio perdere tutto questo: nel mio progetto voglio conquistarlo, costruirlo. O almeno ci provo. Con i piedi per terra, e la testa fra i sogni. Ho voluto condividere questi pensieri con i miei compagni del corso: hanno apprezzato molto, qualcuno ha parlato di coraggio personale. Non mi sento coraggioso per la verità, vivo l’entusiasmo del “provarci”. E il provarci mi aiuta a capire quanto veramente ci credo, voglio, sto andando sul sentiero giusto. Nei nostri comportamenti stanno scritte le nostre reali motivazioni. Provare è scoprire veramente se stessi, al di là di delle bugie piccole o grandi che ci raccontiamo per riuscire a continuare a frequentarci senza patemi (credo che questo si chiami autostima). E provare vuol dire imparare ad accettarsi.
Scrivendo immagino ai tanti altri Gino che possono riconoscersi nella mia storia, che sentono il bisogno di essere aiutati a “trovare la loro strada” nel pensionamento. Spero che queste mie righe siano per loro sollievo, ispirazione e sollecitazione. Il consiglio che trapela fra le mie parole è fin troppo scontato: non abbiate paura e viaggiate dentro la vostra anima, calatevi nelle segrete del vostro cuore, in luoghi che avete già attraversato in passato, ma di fretta o distrattamente. Adesso li potete davvero, e io ne sono testimone, ritrovare voi stessi, le vostre risorse. Guardarvi con lo stupore di scoprire la bellezza che vi appartiene.
Torniamo al nostro percorso. Si fa sempre più impegnativo, interpella sul “che fare”, “obbliga” a fare i conti con le resistenze. Siamo nelle fasi decisive: l’ottavo incontro si preannuncia uno snodo importante: il focus è il volontariato.
Il docente di turno ci sgrana con consumata abilità il tema, sottolineando quanto sia strategico nella costruzione del progetto. Guardo gli altri partecipanti: chi prende appunti, chi ha lo sguardo fisso e trasognato sul docente (espressione da “ma quanto è bravo…”), chi aggrotta le ciglia assorto in un metafisico pensiero…..Perchè importante? Non se ne può fare a meno? Durante il pensionamento la scelta del volontariato è inevitabile? A parere del nostro docente sembra proprio così…. Lo trovo un po’ perentorio, forse lo fa solo per provocarci. Ci propone per attivarci di mettere insieme le prime tre parole che il volontariato ci fa venire in mente. Si tenta una mediazione con cinque, ma fallisce. Ne discutiamo in sottogruppo e alla fine escono una trentina di parole. Le più gettonate? Servizio, responsabilità, cura, scelta, donazione, ascolto. Prima di un commento, ci propone un documento, la “Carta dei valori del volontariato”, frutto negli anni precedenti di un lavoro corale, in cui tutto il mondo del volontariato, per la prima volta ha provato a darsi/riconoscersi una identità comune. Lo propone come riferimento per il nostro dibattito, per orientare correttamente il nostro ragionamento. Il documento è molto bello, direi “tosto”. Leggo negli occhi dei miei compagni di cordata qualche “smarrimento”, direi stupore. Quello che emerge leggendo insieme il documento è che il volontariato non è un semplice “dedico un paio d’ore la settimana ad aiutare qualcuno”. E’ scelta ragionata, un impegno che richiede preparazione, costanza e continuità. Il volontariato non è qualcosa che “si fa così tanto per fare”, in cui la gratuità e la buona volontà personale giustificano qualunque tipo di impegno e decretano la qualità di una prestazione. Non è assolutamente così. Il “faccio quel che posso” non è contemplato. Nè basta il “faccio come posso” o il “ci provo”. Occorre preparazione, quanto predisposizione. Il gruppo è rimasto un po’ sorpreso davanti a queste precisazioni. Qualcuno ha espresso la sua perplessità: ma allora, il “dare un aiuto alla vicina anziana” come va considerato? Precisazione del docente: non è eticamente di scarso valore, anzi. E’ un servizio sociale, ma non è esattamente quello che si chiama volontariato. E aggiunge: immaginate quella volta che non state bene voi, e non potete far nulla per la vicina. Come si fa? Il volontariato è invece un ”agire organizzato”, quindi dietro ogni volontario c’è una organizzazione (piccola o grande che sia) che tutela la “continuità dei servizi” e non lascia gli utenti senza guida e/o sostegno. Si parla anche di gratuità, concetto centrale nel volontariato. Aggiunge il docente: secondo voi l’esperienza della “banca del tempo” può considerarsi volontariato? Anche se l’idea è buona, ha una sua valenza sociale, è basata sul concetto di scambio. Ma il volontario allora è quello che “non si porta in ogni caso indietro nulla?” Il docente ci provoca con il concetto di volontario come “egoista illuminato”, ovvero che dietro il dare con gratuità c’è sempre la ricerca di uno scambio simbolico/emotivo. Il problema si ha quando questa diventa dipendenza, ovvero “l’altro non può fare a meno di me”. E così il dibattito è proseguito: la mia sensazione è che il gruppo volesse “mettere sotto critica” il concetto di gratuità, manifestarne la troppa idealità.
Un’idea mi sembra chiara: con il volontariato metto a disposizione del mio progetto non un tempo da riempire, ma un impegno volto alla donazione di sé: alla donazione di ciò che si è e si ha. Il volontariato è una scelta di libertà, di espressione di sè, non altro.
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