Ho dovuto parlare con il cardiologo. E’ aumentato il consumo delle mie pillole, da quando hanno detto a Lina quel che ha. Non riesco a scrivere quella odiosa parola. Il presagio era giusto. La sua vita ha un termine statisticamente prevedibile. Per colpa di quel coso che si è insinuato fra i suoi polmoni.
Mi trema la penna.
Guardo fuori l’autunno che a fatica avanza. E’ anche l’autunno di Lina. E’ anche il mio autunno. I pensieri annegano in un lago pieno di ansie. Il futuro si è accorciato, maledettamente. Il senso di fragilità abbrevia il tempo del nostro domani. Rompe la trama delle azioni.
Sto male, come non mai. Ho dentro quella brutta parola, ha infettato ogni mia emozione.
Squilla il telefono. E’ lei. La voce lievemente trasformata. Ci vediamo sotto casa sua. Per una lunga passeggiata.
Abbiamo un gran bisogno di parlarci. Come se il tempo non bastasse più.
Io sono agitato. Lei no. O almeno è straordinaria nel tenersi tutto dentro. Dopo lo spavento di quel giorno, ho visto in lei sprigionarsi una grande forza, un resistere davanti al “lasciarsi prendere”. Capisco che sta dicendomi che vuole dare dignità a quel che ancora ha davanti da vivere. E l’assecondo. Se ha voglia di parlare della bestia che ha dentro, che sia lei a chiederlo.
“Gino, pensiamo a delle cose belle da fare insieme, solo tu ed io. Ma non tanto lontano”.
C’è una dolcezza in quella frase che in lei non avevo mai sentito. O forse io non avevo mai avvertito.
Provo a pensare qualcosa. “E se andassimo a Roma qualche giorno?”
“Non lontano Gino, potrei stancarmi”.
“Sei mai stata alle Cinque Terre?”
“Proviamo, però…”
E mentre camminiamo mi prende per mano. Una mano che in altri tempi competeva con la mia nello stringermi, ora trema, è accucciata nella mia, indifesa, inerme. La stringo come se impedissi alla vita di andare via.
“Gino, perché stringi? Sono qui accanto a te. Ci sei solo tu per me. Lo sai”
La commozione mi libera un pensiero, che viene su su, e non si ferma: “Lina, ci sposiamo?”.
Lina si ferma, mi guarda e non stacca lo sguardo. Lentamente gli occhi si fanno umidi, due piccole lacrime precipitano sul viso.
“Cosa più bella non avresti potuto dire, Gino”.
“E se andassimo nella tua parrocchia per chiedere?”.
“Adesso?”
“Certo, adesso. Non è lontana. E poi andiamo a festeggiare in qualche locale sul Naviglio. Ti va?”
E così è andata. Dopo 5 giorni, alla presenza del sacrestano e di una perpetua incartapecorita, ci siamo sposati. Con una procedura anomala, la parte civile ha tempi diversi. Ma lo abbiamo fatto. Il sacerdote, aveva capito, da esperto di anime, tutto.
La serenità di Lina ne ha giovato. Sembra che il male nel suo accanirsi trovi maggior fatica.
Ma quanto durerà ancora?
Quanto sta accadendo ha profondamente turbato la mia vita. Ora cerco in ogni istante la sua presenza, la sua parola.
Anche la penna sembra diventata un ostacolo, un tempo sottratto. E non è più serena. Per niente. Potrebbe scrivere solo cose non belle. Meglio, fin che si può, circondarsi di ricordi felici.
E se dovessi scrivere di pensieri felici, in questo momento lascerei solo pagine bianche.
Meglio per ora chiudere qui, lasciare a riposo la penna. E riporre il diario in un cassetto.
Perché per Lina ora non c’è mai abbastanza tempo. Mai abbastanza.
Caro diario, non volermene. Comunque tornerò.
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