Dopo lunga negoziazione, io e Lina abbiamo quasi concordato dove “fare volontariato”. Un percorso tortuoso, uno slalom complicato fra tutti i suoi “andrà bene per noi?” o “sarebbe meglio qualcos’altro”. Quello che ci ha aiutato è stato il poter “scambiare quattro chiacchiere” con volontari che operano. Lina era partita ponendo il veto su tutte quelle attività che gravitano intorno all’area della sofferenza, del disagio. Era quasi tentata di entrare al Touring Club. Con tutto il rispetto, ma mi sarei annoiato subito. E poi io desideravo un impegno, vero, congiunto, trasferire la bellezza del nostro rapporto, aprirlo come dono a chi con la vita non ha un rapporto sorridente, ma lo cerca. Volontariato non è solo “dare tempo”, fare qualcosa di buono “piuttosto che”. Mi rifiuto di pensarla così. E’ anche condividere quel che consideri il meglio di te. Che può essere una competenza, come un semplice tratto di personalità. Lina all’inizio si sentiva un po’ “costretta”, capivo che da un lato l’idea le piaceva, ma dall’altra era un po’ spaventata, il “no” o “aspetta” da parte sua le avrebbe creato qualche timore sul nostro rapporto. Ho preferito che superasse la sua ritrosia a contatto con chi di volontariato si occupa, e ne sente una grossa spinta vocazionale.
Milano è un immenso cantiere dal punto di vista del volontariato, c’è veramente di tutto. Con luci e ombre. Tante realtà, perlopiù piccole, che operano in modo “artigianale”, spontaneo, su problemi magari grossi come case. Le ho chiesto di non occuparci di bambini. Avevo paura che magari si sarebbero riverberati nel nostro lavoro dinamiche personali lasciate tacite per una vita. Il sorriso, il pianto di un bambino muovono quella parte di noi, padre o madre, che c’è anche quando non siamo mai stati genitori. E soprattutto quando avremmo voluto esserlo ma la vita ci ha portato da un’altra parte. Meglio di no. Meglio essere liberi da simili possibili contaminazioni.
Abbiamo girato molte associazioni, e Lina, di incontro in incontro, si è lasciata contagiare dalla voglia di fare delle persone incontrate, dalle loro motivazioni. E’ un mondo per lei nuovo, dove la scelta è qualcosa che nel tempo si rafforza, si raffina, fa crescere. E dove abbiamo anche raccolto anche dei “no”.. Quando la delusione cominciava a fare capolino, siamo andati a fare una chiacchierata all’ufficio del Comune che si occupa del volontariato. Una signora molto brava, con grande capacità di ascolto (altro che lo stereotipo dell’impiegato pubblico!) dopo un dialogo di 15 minuti allarga le braccia, e con un sorrisone da “Eureka!” ci dice: ho quel che fa per voi. In questo momento ricevo tante richieste da chi si occupa della accoglienza dei migranti. C’è una associazione che tiene corsi, forse non è il termine esatto, per aiutare nell’inserimento. Insegnano italiano, ma anche per orientarsi, per capire come “entrare” nel nostro tessuto sociale. Sareste perfetti”
E mentre lo dice, è talmente convinta di quel che ha pensato, che scarabocchia su un foglietto un indirizzo, un telefono, e lascia nel dimenticatoio un (mi sembra lecito) “che cosa ne pensate?”. Guardo Lina, e non trovo tracce di perplessità, anzi. E’ rimasta contagiata dalla signora. Sembra che non veda l’ora di andare. Meglio così. Raccolgo il biglietto e così il suo invito. In definitiva non si tratta di una assunzione…Ringraziamo per disponibilità e indicazione e usciamo entrambi incuriositi. Nel mettermi in tasca il biglietto, Lina mi prende il braccio: “quando pensi di chiamare?”.
“Domani”, le rispondo, “non c’è fretta”.
2No, no, ribatte, fallo subito, sono curiosa di conoscerli. E se si può, anche domani. O tu hai impegni di lavoro?”.
Capisco che non ho scelta. Prendo il cellulare, chiamo, ed erano già stati preallertati dalla signora del comune. Mamma mia, che velocità! L’indomani mattina, alle 10, l’appuntamento.
“Contenta?”.
“Certo”, mi risponde, “e domani mattina metti una cravatta bella, va bene?”.
“Non è un colloquio di assunzione, Lina…”.
“Lo so, ma dobbiamo comunque cercare di far bella figura. Mi piace molto l’idea”.
Ho lasciato cadere il discorso. Discutere di cravatte proprio non ne avevo voglia. Volevo godermi quel momento raggiunto di comune desiderio di impegno. Se questo è essere coppia, è stata proprio una bella invenzione. E domani si comincia.
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