Nicoletta ha fatto di tutto per volermi rivedere. Una donna devastata, nella dignità come nell’umore, se per lei il precedente incontro è stato solo un aperitivo.
“Gino, il mio quotidiano è diventato insopportabile. Mio marito è insostenibile, insofferente per ogni piccolo errore, dimenticanza. Da quando è a casa è profondamente cambiato”.
“Nicoletta, che cosa è accaduto o non è accaduto dall’ultima volta che ci siamo visti?”
“Sai che cosa è arrivato a dirmi? Ho voglia di sputarti addosso… maledetto il giorno che ti ho sposata. Sono parole che fanno male, tanto male. Non riesco proprio a lasciarmele scivolare via”.
Non sono uno psicologo, ma intendo che questo marito stia usando sua moglie per sfogare qualcosa di irrisolto dentro di sé. Il pensionamento ne è stato il detonatore. Scoppia a piangere. Soffre. Di una sofferenza, capitemi, inutile. A questa età giochiamo ancora al “di chi è la colpa”? Siamo abbastanza grandi (penso) per andare oltre gli insulti, i rancori (perché continuare a coltivarli?). Per dirsi con chiarezza di quei pezzi di relazione che sono malati. Che fanno star male tutti e due. Mai uno solo. E siamo abbastanza grandi sempre (credo) per decidere di abbandonare il campo se la malattia risulta ormai inguaribile. Facile dirsi, certo. E questa donna si sta consumando la vita sepolta di accuse offensive, solo offensive. Offendere aiuta? Certamente il marito si agita sbattendo contro muri di frustrazione che non sa affrontare.
“Sai Gino, fatico a dormire la notte. Ho paura che possa mettermi le mani addosso, farmi del male. Perché tutto questo? Perché devo solo subire?”.
“Spero non ti sentirai in qualche modo responsabile per quanto sta accadendo!”
“Se lui fa così qualcosa in me…”
“Non sentirti in un vicolo cieco. Se cominci a chiederti ‘dove ho sbagliato’, fai solo il suo gioco. Perdi contatto con la realtà. E con te stessa. Come ti ho detto la volta scorsa, in questo momento puoi solo abbandonare il campo. Se ci tieni a te stessa. Tu devi andare via di lì. Non hai proprio una amica disposta ad accoglierti?”
“Ci ho pensato Gino, eccome ci ho pensato. Ma come faccio? Quella casa è la mia vita, ci sono quasi 40 anni dei miei anni. Spero che ci sia una strada per uscire da tutto questo”.
“Francamente non la vedo” le rispondo. E’ una donna passionale, che tende a buttarsi su ogni cosa, a bruciare ogni distanza. Con generosità. E c’è un marito che usa suscitare senso di colpa per difendersi dalla sua frustrazione. Non vedo a quali condizioni si possa costruire una riconciliazione. Ormai entrambi, con motivi diversi, hanno distrutto la loro casa spirituale.
“Gino, mi stai dicendo di buttare tutto all’aria?”.
“Si, è esattamente così, te l’ho detto la volta scorsa e te lo dico ancora ora”. Probabilmente è quel che non vuol sentirsi dire: il suo volto trapassa dalla rabbia alla cupa rassegnazione. Sa che quella è la strada ma non vuole accettarla. Forse la tormenta l’idea di “restare da sola”. E non posso che comprenderla. Anch’io, prima dell’incontro con Lina, vagavo in questo pensiero.
“Nicoletta, in questo momento non hai da scegliere fra due mali. Ti sembra che sia così. In realtà quei 40 anni sono dietro le spalle. Ora la storia è diversa, distruttiva. E tu sei in dubbio se continuare a farne parte. Tu non puoi aiutare lui, ma tu devi aiutare te stessa”.
La mia conversazione con lei si è chiusa qui. Nicoletta si è allontanata a testa bassa, silenziosa. Le mie parole sono state per lei come macigni.
I suoi tormenti sono più forti del suo coraggio.
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