Lina ed io due giorni dopo, pieni di entusiasmo, (nonostante una accoglienza non esuberante) siamo al nostro primo giorno di volontariato. Accompagnati da una volontaria esperta, veniamo introdotti ad una ragazza spagnola, piena di rabbia col suo maschietto. Ci presenta come possibili nuovi volontari che la seguiranno.
Le esasperanti difficoltà di una vita di coppia hanno spinto questa ragazza alla fuga in Italia (dove non conosce nessuno) con due figli molto piccoli. Per mantenersi (e per non farsi trovare) finisce nel giro della prostituzione. Secondo i coordinatori della casa la situazione fra i due ora sarebbe ampiamente sanabile, ci sarebbero le condizioni perché lei possa uscire dalla casa dopo quasi un anno di permanenza e rimettere su famiglia con lui. Ma lei non ne vuol sapere, vuole restare lì perché si trova bene. Non si rende conto che l’accoglienza della casa è solo transitoria. O finge di non capirlo. L’abbiamo ascoltata. Rimango in silenzio, Lina chiede, cerca di rendere meno confusi alcuni passaggi del racconto della ragazza. La volontaria non interviene, segno che “stiamo andando bene”.
La ragazza non ha molta voglia di parlare. Con un “e questo è quanto! Ora ditemi voi, che cosa potete fare per me?” interrompe il suo monologo. Ci vuol provocare, mettere alla prova. Intraprendente, non c’è che dire.
Io cerco di spiazzarla: “Sai che cosa sono il bottone e l’asola? Ti è mai capitato di lavorare di ago e filo?”. Lina interviene e le fa vedere dove sono sulla sua camicetta. Accenna che ha capito.
Continuo: “l’asola e il bottone devono ‘andare d’accordo’, devono avere la stessa misura, altrimenti ambedue sono inutili. Uno senza l’altro è inutile. E se non ‘vanno d’accordo’, non è sempre colpa del bottone o dell’asola, posso allargare o stringere l’una, o cambiare l’altro. Dipende”.
“Che cosa centra questo?”. Mi risponde fra il curioso e lo stupito.
“Sai, credo che anche nella coppia ci sia l’asola e il bottone. Uno senza l’altro è incompleto, ogni bottone ha la sua asola. E viceversa. Se capita che l’asola si separa dal bottone vuol dire che comunque hanno convissuto, con qualche fatica magari, ma hanno assolto alla loro funzione. Altrimenti l’incompatibilità sarebbe stata risolta prima. Un po’ di ago e filo credo che risolva, per rendere di nuovo utilizzabile il bottone e efficiente l’asola. Per un bottone che non funziona buttiamo via indumenti che hanno ancora dignità di essere indossati?
La tua rabbia muove probabilmente da grande delusione: hai eretto un muro. Che è dentro di te. E te lo porti dietro, con tutta la sua pesantezza. Ti chiedo: di questa delusione che cosa hai intenzione di farne? O te la tieni (ma non saprai mai veramente quanto tu abbia ‘ragione’, perché con lui della tua delusione non hai mai parlato, sei solo scappata), portandoti dietro questo fardello, oppure perdoni. Nella religione cattolica c’è una parola a proposito strepitosa: riconciliazione. Concetto potente. Darsi il permesso di parlarsi, scalare il dolore per ritrovarsi. E’ l’ago e il filo che ci servono per risistemare bottone e asola”.
“Dovrei perdonarlo? Io?”.
“No, semplicemente parlargli prima di tutto. Noi umani siamo un impasto di prevedibilità ed imprevedibilità, dobbiamo purtroppo mettere in conto che le nostre aspettative di comportamento sugli altri sono sempre (sottolineo sempre) un azzardo, in cui spesso non c’è solo razionalità, ma anche proiezione dei nostri desideri, dei nostri bisogni. Che non sono dell’altro. E questo accade anche con chi pensiamo di ‘conoscere di più’. Prima o poi tutti ci deludono.
C’è un dialogo interrotto. Non ti chiedo di abbattere il muro, ma di aprire una porta ed uscire per un momento. Solo questo”.
“E che cosa ci guadagno?”.
“Prima di tutto fare i conti con la tua rabbia, di capirne quanto sia vera. Ripeto, pensi di conviverci a lungo? Il tuo muro è sempre lì, puoi tornare sui tuoi passi quando vuoi. Ma prima ascoltalo e lascia che ti ascolti”.
“E poi?”.
“E poi… puoi decidere di ritornare sui tuoi passi, e convivere con la tua rabbia. Oppure, perdonare. Che non significa dimenticare il modo in cui ti ha ferita e neppure concedergli di farti ancora del male. Perdonare significa fare pace con ciò che è successo, riconoscere la tua ferita, e comprendere che quel dolore può anche non servirti più. Significa lasciar andare il dolore ed il risentimento per poter guarire ed andare avanti. Il perdono ti libera dal passato e ti consente di vivere nel tempo presente. E’ un regalo che fai a te stessa prima che agli altri. Perdonare significa liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu. Ed in questo modo puoi dare a te e a lui un’altra possibilità.
Prova a usare ago e filo: che cosa un bottone o un’asola non farebbe per l’altro, pur di non perderlo o perderla… pensaci. Non è qualcosa che concedi a lui, ma prima di tutto a te stessa, per liberarti di quel peso che hai ancora dentro”.
La ragazza ha gli occhi umidi. Guarda fuori dalla piccola finestra della stanza. Si apre la porta ed entra uno dei suoi figli, accompagnata credo da un’altra volontaria. Due/tre anni. Corre verso di lei e cerca di sedersi in grembo.
Lina rompe il silenzio, e accarezzando il bambino: “credo che i tuoi figli abbiano bisogno di una mamma serena… vuoi che torniamo a parlarne?”.
“Va bene, ci devo riflettere però”.
“Certo, rincalzo io, offrire a lui la possibilità di un chiarimento con lui, non è un passo facile. Pensaci. E’ qualcosa che devi a te, ai tuoi figli prima che a lui. Ogni bottone ha la sua asola, ricordalo…”.
“Non è facile per te, sussurra Lina, ma pensaci”. Il bimbo le dedica un sorrisone. Come se avesse capito.
Ci congediamo e usciamo: Lina mi guarda con grande stupore.
“Che cosa ne pensa?” dico rivolgendomi alla volontaria.
“Beh, come esordio non è male, visto che per primi siete riusciti a strappare un sorriso alla ragazza. Ma lei è counselor?”. Sorrido: “no, no, sono stato soltanto un volenteroso impiegato ora in pensione”.
“Ma come le è venuto in mente quell’esempio?”.
“Non so, è la prima cosa che mi è venuta in mente”.
“Bravo. Ne parlerò con la coordinatrice. Quando potete tornare? Mi piacerebbe portarvi anche da un’altra ospite”.
Lina la ferma: “per ora vorremmo vedere solo questa ragazza. Sei d’accordo Gino?”.
“Si, si, mi sembra ragionevole”.
Tornando a casa, sento Lina soddisfatta. Non poteva mancare la sua battuta: “Gino, è vero che sono la tua asola?”.
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