Sono placidamente coccolati dalle loro resistenze. Le considerano ormai vecchie amiche, fidate e fedeli, autentici angeli custodi. Perché separarsene? Danno l’illusione di stare bene, ben sapendo che è una illusione. Per quanto riusciamo a raccontarci bugie?
Liberarsene significherebbe aprire quel “vaso di Pandora” che è la nostra vita, “fare i conti” con le pesanti zavorre delle nostre frustrazioni, di quel che avremmo voluto. Non è forse meglio lasciare le cose come stanno?
Il mio vaso di Pandora invece si è aperto, prepotentemente. E ho intuito che la fatica dell’adesso sarà ripagata: il cambiamento è una possibilità da giocare, fin da subito. E il corso è la mia fatica, tempo dedicato a me, per capire di più Gino. Per stare meglio.
Provo un misto di piacere e di ansia nel farlo: guardarsi allo specchio non è mai indolore, soprattutto quando si colgono le rughe dell’anima. E allo stesso tempo provo la gioia di vivere un momento in cui sento di riappacificarmi con me stesso, potendo esplorare i miei desideri, cercare una sintonia con loro. E’ una sensazione bellissima, si sente un profumo intenso di libertà, di una libertà che non avevo mai considerato prima.
Vorrei tanto riuscire a strappare quel velo di indifferenza che mi circonda. Forse è questione di tempo. Il mio è arrivato: è come se stessi facendo “il tagliando”. E ne sono contento (almeno per il momento) perché capita nel momento giusto. Forse, quattro mesi fa, avrei avuto la stessa reazione, “ci penserò”. Si, credo che ci sia un tempo per ogni cosa.
Veniamo al nuovo incontro, piacevolissimo, tutto giocato sul concetto di progetto di vita. Ero un po’ scettico sul tema: ma come, progettare? Adesso? Non l’ho fatto per una vita, lo faccio adesso? E poi progettare che cosa? La vita è così imprevedibile, sfuggente, a che serve? Ma è proprio necessario? Credo che ognuno abbia di sé una idea di quel che può e vuol fare: serve davvero “fare un progetto”? Con l’aiuto della docente abbiamo focalizzato il concetto, il mio scetticismo si è stemperato. Progettare è “dare senso”, stabilire una rotta, spendere risorse, dare spazio ai propri desideri. Dare un nome al proprio presente che è dietro l’angolo, dare il senso di qualcosa che ha un inizio, uno sviluppo. E’ la gioia di una attesa, un “connettere” passato, presente e futuro…. E’ un “non perdersi per strada”, scegliere i passi che conducono a ciò che è bene per noi, e contemporaneamente scegliere “dove andare”.
Tutto questo è “progetto”: costruire tempo per avvicinarci al nostro “stare bene”, scoprire come convivere con l’unico inquilino della nostra vita, ovvero noi stessi. Colgo un messaggio forte: il progetto di vita ti fa assaporare l’importanza della vita stessa, che ogni istante va colto, vissuto. Il tempo, la nostra risorsa principale, può, deve essere valorizzata.
Durante l’incontro non sono mancati i dubbi. Secondo alcuni il progetto sottende rigidità, sottrae al piacere del “qui ed ora”. Il progetto risveglia ricordi di agende, scadenze. Cosa c’è di meglio ora se non impegnare l’istante che sta per arrivare sull’idea o desiderio che l’istante prima si è affacciato alla coscienza?
Trovo la considerazione di fragile sostenibilità. Il progetto è qualcosa di nostro, soltanto nostro, possiamo cambiarlo, ridimensionarlo, mandarlo all’aria quando vogliamo….abbiamo da rendere conto solo ai nostri desideri e basta! Il vero problema credo è se mancano! Dove stanno le rigidità? Le uniche esistenti sono quelle che ci creiamo, per non decidere, per scaricare su altro e su altri la nostra incapacità (o impreparazione) a decidere. Noi siamo il frutto delle nostre decisioni. Non delle decisioni di altri. Gli altri incidono perché li lasciamo incidere, spadroneggiare nella nostra vita. E quando l’abitudine a questo ci ha portato ad anestetizzare ogni nostro desiderio, il sentirsi“tu sei l’artefice della tua vita”, suscita un senso di vertigine non sostenibile e una crisi di rigetto.
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