Ho bisogno di parlare con Lina. Per conciliare due progressioni diverse. E così lei accetta l’invito ad una gita domenicale sul “mio” lago di Iseo. Credo anche lei sentisse come me il bisogno di un chiarimento. Dopotutto l’avevo lasciata in compagnia del mio imbarazzo.
Accade in una domenica di giugno, di un giugno piovoso e freddino, avaro di sole e di primavera.
Di prima mattina con la mia adorata Ford andiamo a prenderla. Mirando l’umido cielo, già immaginavo il rientro anticipato, e la necessità di un “piano b”. Lei era già pronta davanti a casa sua. Sale: trova la mia vecchia Ford scomoda, e rimpiange l’Audi di un suo “ex” di tanti anni prima (era un vero salotto!). Incasso in silenzio, non è un buon esordio. Si parte.
Arriviamo a Sarnico. Qualche raggio di sole si arrampica sui muri delle case. Sento un gran caldo, resto in camicia e mi arrotolo le maniche. Lina mi guarda stranita: hai le scalmanne? Oddio, non sarà l’andropausa….però io ho caldo. Il tempo fa il bravo.
Qualche passo, solo qualche passo e arriviamo nella pasticceria che adoro. Mi riconoscono subito, arriva anche il pasticciere per salutarmi (dallo sguardo colgo la sua sorpresa, è la prima volta che mi presento a lui accompagnato) e al flautato “le preparo subito le solite con la crema sul vassoio” gli dico di aggiungerne altre due. Lina ha un momento di incertezza, sembra dirmi qualcosa, ma io tiro dritto. Ci congediamo: esco circospetto dal negozio con il piccolo involucro, tiepido e fragile, proteggendolo come se uscissi da una gioielleria. Gli occhi di Lina sono di compatimento. Oggi proprio.. Attraverso la strada, mi infilo nel vicolo che porta al microscopico giardino delle delizie, lungo il lago, luogo deputato per il lento consumo dei preziosi manufatti. Il sole sembra accorgersi di noi e da gran galantuomo sembra spaventare le nuvole che scappano via, lasciando che l’aria intiepidisca. La scena è quasi perfetta. Appena apro il sacro cartoccio si libera l’inebriante profumo. Eccole lì, ancora calde, gonfie di crema, fragranti, con quel velo di zucchero vanigliato…Non ci sono parole per descrivere quali radiose sensazioni attraversano la mia mente ogni volta celebro il rito delle brioche. Il gusto che attecchisce alle papille gustative, e subitamente si irradia per tutta la bocca, la flemma del battito cardiaco. Lina si impadronisce con scatto felino di una brioche. E inizia. E’ buffa, con il naso imbiancato e le labbra giallognole della crema pasticcera.. Non parla, ma nello sguardo colgo il suo disappunto per la mia lentezza.
Metà della mia brioches è in attesa del suo sacrificio e Lina è già alla seconda. Non mi distoglie gli occhi, e vedo che rallenta anche lei. Forse comincia a capire. Il suo sguardo, al terzo morso sembra trasognato. Non parla, è nel pieno del suo “flash” gustativo.
Consegnato al bidone quel che resta di un atto supremo di felicità, camminiamo un po’.
Ci sediamo nel chioschetto bianco lungo il viale che accompagna il lago, amorevolmente accarezzato dai raggi più tenui. C’è silenzio intorno: solo qualche mamma indaffarata con il suo piccolo, i soliti corridori dal fiato corto dalla maglietta hi tech che si affannano per la loro salute, qualche coetaneo stagionato che aggiunge passi ai passi seguendo l’infinito corrimano.
Esordisce lei: sai Gino? Non ero mai venuta qui. E’ proprio bello. E le brioches proprio buone. Sto bene. Proprio bene. Tu ci vieni spesso qui?
Si, le rispondo, perché poi vado fino a Sarzana…e le racconto di Montisola, dei miei giri in bici, del panorama dall’isola, delle specialità di pesce. E lì sbrodolo tutta la mia passione per il luogo.
Lei non si scompone. E’ “sul pezzo”. Lo sai Gino? Oggi mi trasmetti una grande calma, una grande tranquillità. E questo lago mi sembra proprio specchio della tua anima. Posso chiederti una cosa? Certo!
Ti guardavo mentre mangiavi le brioches. Ma quanto sei lento!
E’ vero, e ti spiego perché. Quando vengo qui non è il lago che mi godo veramente, ma la lentezza! Rallentare, dare tempo, riscoprire, o meglio scoprire la bellezza di ciò che ci circonda, guardarla, assaporarla. La bellezza dei piccoli gesti. E anche la brioche è veicolo di bellezza, sai? Mi piace gustarla fino in fondo: mi viene spontaneo allontanare sempre di più un boccone dall’altro, per non sciupare quel gusto, aspettare l’esaurirsi completo del precedente per prepararsi ad accogliere pienamente quello successivo. Se li accavalli ti perdi il rinnovarsi completo di quel gusto. Ma lo faccio solo qui. Qui lo scenario è perfetto.. Se la mangi velocemente senti solo il buon sapore del primo morso. E’ la metafora di come oggi viviamo. L’impatto, l’immediato deve dare valore. La “scossa” è tutto. Così facendo consumiamo il piacere di ciò che ci accade, non lo godiamo fino in fondo. Non ci diamo la possibilità di esplorarlo fino in fondo. Consumiamo la vita senza sapere perché. Questa età è stupenda invece, perché ti concede di “rallentare”, e di godere di ciò che ti circonda e di scoprire chi sei.
Sei il primo che sento parlare così bene del pensionamento.
Eh si, “pensionamento” è una parola “brutta”, fa pensare all’invecchiamento. Sembrerò ridicolo, ma questa età mi dà l’occasione per scoprire il bello della vita che c’è anche in una brioche. E c’è chi invece è solo preoccupato del tempo che passa, del riuscire ancora a fare i 30 minuti di joggins quotidiano, o andare a letto all’una e alzarsi alle 7 come un fiorellino. O reggere due partite di tennis di fila. O in palestra non sfigurare con i più giovani. Per me è uno scappare, nascondersi dietro un efficientismo che ci tiene lontani da ciò che di più bello abbiamo davanti: noi e la nostra vita. Ho la sensazione che tutto questo sia un prolungare qualcosa, non so bene che cosa, e contemporaneamente un fuggire, un fuggire da sé. E invece è così bello accogliere quello che nell’istante di vita è racchiuso. Anche in una brioche: nel suo sapore sento il sapore della vita.
Mi manca sai, Gino, quel che stai dicendo. Continuo a pensare al mio pensionamento, e mi affiorano pensieri diversi. Alle volte penso a questa fase di vita come “ultima occasione per”, dover “fare i conti” con quanto di irrisolto nella mia vita ho accumulato, e che ora è lì, preme per avere attenzione. Un malessere che ti distrae, ti porta lontano da quello che tu chiami “bellezza”. Un bisogno di riconciliazione forse con me stessa, che vuol dire riattraversare i disagi, il dolore che nella mia vita ho incontrato, e che mi sembra che da qualche parte ancora mi aspetta.
Qualche giorno fa davanti all’insalata sulla darsena mi è accaduto qualcosa di nuovo. Accanto a te ho intravisto una strada diversa, la possibilità di ritrovare me stessa, senza dover passare ancora attraverso il mio malessere. Non sarebbe bello se diventassimo compagni di viaggio? Diamoci questa possibilità. Si, con gradualità, passo dopo passo. Non ho dimenticato il tuo imbarazzo. Ma anche in questo mi devi aiutare. Io sono una istintiva, decido e vado. Ho bisogno della tua lentezza. E posso dirla tutta? Secondo me tu hai bisogno di un po’ di “turbo”….ogni tanto, non sempre….
Preso in contropiede. Quando le ho detto che lei mi aveva anticipato su quel passaggio su noi, non ha perso tempo per ricordarmi la “complicità” fra noi, e che questo era un altro segnale importante. Lei felice, io meno inquieto. Un passaggio da “pietra miliare”, comunque.
Le chiedo se vuole restare ancora. Negli occhi le brilla qualcosa: è come se mi stesse nascondendo un pensiero. Fingo di nulla e sto al gioco. Torniamo verso Milano e fra una curva e l’altra, passiamo davanti a un grosso centro commerciale, molto animato. Mi chiede di fermarmi e di fare un giretto. Parcheggio all’ombra e ci incamminiamo. Non avevo mai visto niente del genere. Una tristezza: negozi raccolti intorno ad una finta piazza incastonati in finte case. Lina viene attirata da una vetrina con vestiti molto colorati e la promessa del 50% di sconto. Mi tira per un braccio e varca la soglia. Dentro musica dai bassi esagerati corredati da incomprensibili nenie inglesizzanti. Dico a Lina: ti prego, tienimi qui il meno possibile. Capisco che lei ha un’altra idea. Comincia a sbirciare fra i vestiti, le dico: aspetto fuori. Lei mi guarda severamente e con il dito mi fa capire che si tratta di una inutile richiesta. Ne prende tre e mi dice: vieni con me. Sono disorientato: perché? Si infila nel primo camerino libero. Non so che cosa fare. Passano forse due minuti e lei mi appare davanti con un vestitino colorato, un po’ “tirato” e con la gonna un po’ su. La postura è da: niente male vero? Ancora più disorientato: è come se la vedessi diversa. Il vestito le sta proprio bene. Lo ammetto, sono rimasto lì un po’ imbambolato. Allora? Che cosa ne dici? Lo prendo? Ho avuto uno scatto di orgoglio latino: posso regalartelo? Centro! In realtà la mossa era per consentirmi di uscire elegantemente da quel posto rapidamente…. Dopo la coda alla cassa, lei era tutta raggiante, e io finalmente lontano dal martirio acustico.
Tornati a casa, lei, nel scendere dall’auto mi dice: perché non vieni a prendere un tè da me? Ho fatto dei biscottini…. Potevo negarmi? Lascio l’auto nel parcheggio a tempo pensando che un’ora sarebbe stata sufficiente.
Salgo: mi accorgo che la scenografia era già stata preparata con scientifica precisione. Da un vago profumo di violette alle luci morbide…E lei che arriva fasciata con il vestito nuovo. Unica. Mi sono di nuovo imbambolato. Ma il cartellino del prezzo che ancora pendeva mi ha riportato alla realtà. Ho finto di non vederlo. Credo che l’avrebbe presa malissimo.
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