È il mio terzo incontro con Vanessa. Con il cioccolato in tasca. Questa volta, in quella scarna stanzetta con la pubblicità della Coca Cola, Vanessa non è sola, le è accanto il suo bambino. E’ vestita meglio, i suoi 40 anni li dimostra proprio tutti. Ha voluto fosse presente perché voleva farmelo conoscere. E il cioccolato era per lui, non per lei. Anche questa volta è riuscita a spiazzarmi. Abbiamo giocato insieme per quasi un’ora. Ho scoperto una mamma molto affettuosa, attenta.
“Hai ancora un po’ di tempo?”
“Si, un’oretta”
“Allora aspettami” Prende la mano del bambino, lo invita a salutarmi e poi lo porta fuori. E con gesto furtivo il bimbo si impossessa del cioccolato. E’ suo e di nessun altro, sembra dire.
Non passa un minuto e Vanessa è già di ritorno.
“Bello il tuo bambino. Vivace e sereno”
“Grazie”
“Ho una domanda da farti, Vanessa”
“Dimmi”
“Perché mi hai raccontato prima di essere nata a Milano e poi mi hai detto che vieni dall’Albania? Credo di avere diritto ad una risposta”.
Vanessa mi fissa intensamente.
“Avevo paura che tu non volessi ascoltarmi. Io sono albanese. Ti sei arrabbiato per questo?”
“Arrabbiato no. Ma a questa età credo che dovremmo essere così smaliziati ormai nel raccontare le bugie che non dovremmo usarle più per il rischio di ingannare primo di tutto noi stessi. E tu sei scivolata su una buccia di banana. Non farlo più con me. Non ne hai bisogno. Lo capisci? Era questo di cui volevi parlarmi?”.
E’ donna orgogliosa. Non accenna a scusarsi. Ma ha capito benissimo.
“Volevo chiederti se mi aiuti a cercare un lavoro fuori di qui”.
Avevo ancora una tavoletta di cioccolato in tasca. La pongo sul tavolo. “Magari non piace solo a tuo figlio”.
Mi fissa, gelidamente. Guarda il cioccolato e poi mi guarda di nuovo. Accenna un sorriso. Il primo. Lo scarta, ne prende un grosso pezzo e lo mangia avidamente.
“Fondente lo preferisci?”
“Ne hai un altro?”
“Vedo che il cioccolato riesce ad addolcirti. Non ho con me la scorta, mi spiace. In genere riesco ad essere simpatico senza. Ma se con te serve, la prossima volta ne porto ancora.”
“Puoi aiutarmi?”
“Perché lo chiedi a me? Qui in comunità nessuno può aiutarti su questo? Non credo proprio!”
“Io mi fido di te”
“Oh grazie! E cosa dovrei fare?”
“Qui vogliono che me ne vada. Hanno qualche contatto, ma mi offrono lavori che non voglio”.
Le chiedo di spiegarsi meglio. Lei non vuole fare le pulizie. Punto.
Possibile che mi tocca incontrare solo donne intrise di orgoglio? O sto sbagliando qualcosa io?
“Se è così, ho bisogno di capire che cosa sai fare. Me lo devi raccontare. Ma niente bugie. Ti metteresti in difficoltà da sola. Senza contare che potrei decidere di non venire più da te”.
Si prende un altro grosso pezzo di cioccolato. Sparisce in men che si dica dalle sue dita.
“Gino, io voglio uscire da qui, e costruirmi una vita dignitosa. Non voglio che mio figlio abbia a vergognarsi di me”.
“Buon proposito. Ma se tu non aiuti me, io non posso aiutare te. Ti è chiaro? Se a un colloquio ti comporti così, farai la fame. Io non so chi qui ti segue, quale aiuto ti stanno dando. Io ti dico che le tue possibilità dipendono fortemente da come ti poni. E su questo c’è da lavorare. Visto che sei tu che me lo chiedi, eccoti l’inizio del mio aiuto. Se non ti va, puoi sempre dirmi di no”.
La carta stagnola rimane vuota. Un terzo pezzo, ancora più grosso, sparisce in men che si dica. Non c’è golosità nel suo gesto: è combattuta con se stessa, fra la difesa di sé che l’orgoglio le permette, e il bisogno di aprirsi senza tentennamenti.
“Vanessa, dimmi qualcosa. Se vuoi che ti aiuti devi aprirti, e senza giochetti. Ti prometto che tutto ciò che mi dirai, resterà fra me e te. Allora?”.
Prende la carta stagnola sul tavolo. Ne fa una pallina sempre più piccola. La decisione le costa.
“Da dove cominciamo Gino?”. Abbozza un impercettibile sorriso. E’ il secondo.
“Vanessa, sorridere fa bene a te e a me. Tu saresti disposta ad ascoltare o semplicemente stare con una persona che ha sempre una espressione dura e severa?”
“Perché, io ho una espressione dura e severa?”.
E le faccio una foto con il telefonino.
“Guarda questa foto. Giudica tu stessa”
Si guarda e riguarda. Arriva un terzo sorriso, un po’ forzato ma riconoscibilissimo.
Rifaccio la foto: “Come sei adesso?”
“Tu cosa pensi, Gino?”
“Conta come ti vedi tu. Io vedo differenza. Tu la noti?”
Il quarto sorriso arriva spontaneo.
“Domani mattina vengo e cominciamo. Però Vanessa, ti voglio con questo sorriso. D’accordo?”
“Mi porti ancora del cioccolato?”
“Cioccolatini. E te ne toglierò per ogni sorriso mancato”.
“D’accordo Gino. A domani”. Lo sguardo è finalmente rilassato. Potere del cioccolato o del Gino?
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.