Devo vedere Mario. Sono molto preoccupato per lui. Qualcosa non mi torna. Il suo ultimo incontro mi ha segnato. Ne ho parlato con Lina. Decidiamo di andare insieme a trovarlo sulla sua abituale panchina.
L’incontro è sconvolgente.
Mattina molto calda. Arriviamo al Parco Sempione. E lui è lì, seduto sulla “sua” panchina. Sotto il sole. Brutta impressione a guardarlo: è marmoreo, fermo, rigido. Una statua. Lina e io ci sediamo accanto a lui, senza una parola. Sembra non ci abbia notato. Ma non è così.
“Ciao Gino. Che cosa fai qui?”. Tono quasi infastidito, ruvido.
“Te lo avevo promesso Mario che sarei tornato a trovarti”
“E lei chi è?”
“Io sono Lina, sono la sua compagna, piacere di conoscerti Mario.”
“Piacere…quale piacere…” Si china, raccoglie due piccoli sassi ai piedi e li getta poco oltre, incurante del passaggio.
“Perché sei venuto ancora qui?” Tono sempre ruvido. Lina mi guarda. Leggo imbarazzo.
“Mario, preferisci che ci congediamo? Preferisci restare solo? Se vuoi torniamo in un altro momento….”
“Un altro momento..non c’è un altro momento…”
“Mario, ti ripropongo la domanda, non comprendo. Preferisci restare da solo? Non abbiamo problemi a tornare in un altro momento”.
Lui alza la testa, guarda le punte degli alberi. Lo sguardo è intenso, concentrato. Abbandona la posizione eretta e si appoggia completamente allo schienale della panchina. Lentamente. Ed in silenzio. Lina mi guarda, le leggo sul volto “che cosa facciamo?”.
Si toglie il cappello, lo guarda, lo aggiusta, se lo ricalca sulla testa, quasi fosse infastidito da un robusto vento. E comincia.
“Ieri è passata di qui una vecchia signora, con un cagnolino grigiastro tutto pelo. Vecchio anche lui, camminava tutto sbilenco. Si è seduta su quella panchina ed è rimasta lì quasi mezz’ora fingendo di leggere il giornale. In realtà osservava me, sentivo distintamente il suo compatimento crescere dentro di me. Ad un certo punto si è alzata e si è seduta accanto a me. E ha cominciato a parlare. Pensava fossi un barbone. Mi ha chiesto se avessi avuto bisogno di qualcosa, se riuscivo a mangiare tutti i giorni…”
“E tu come hai reagito?”
“Stavo per cacciarla via coprendola di insulti. Mi sentivo offeso. Molto offeso. Poi…”
“Che cosa hai pensato Mario?”
“Ho pensato che la mia trasandatezza interiore fosse arrivata prepotentemente fuori. Ho avuto per la prima volta quella consapevolezza. Dolorosa. Non era giusto aggredire. Lei ha solo visto il problema che è dentro di me”.
“Quale problema, Mario?” gli chiedo. Si piega su se stesso, guarda il terreno, come se l’avessi trafitto. Mi pento per la domanda.
“C’è una voce là in fondo, una voce che non smette mai di chiamarti, sai? La vita può onorarti con grandi soddisfazioni, può deluderti. Quella voce è sempre lì. E’ una voce che proviene dagli abissi, che ti chiama per andare giù in fondo. Cerchi di resistergli, ma stritola come una camicia di forza la tua anima. E giorno dopo giorno, cresce la voglia di darle retta, di raggiungerla. Perché non ti da pace, ti assilla. Quella donna mi ha fatto capire che non riesco più a nasconderlo”.
Si ferma un momento, torna a gettare qualche sassolino lontano.
“Ho nausea di me stesso. I miei desideri sono inutile carta straccia. Non ho più neanche nostalgia per loro. E poi questo tipo di considerazione pietistica, per me, non la voglio”
Si toglie il cappello, se lo appoggia sulle ginocchia. Torna a guardare le punte degli alberi.
Lui non sta parlando con noi, la sensazione è netta. Provo a riattivare la relazione, se riesco.
“Mario, c’è stato mai qualche momento in cui quella voce è rimasta muta?”.
Alza finalmente gli occhi e mi guarda. Mi tocca l’avambraccio, me lo stringe. “Alle volte sussurra, come una dolce brezza….ma non molla mai, mai…e non ce la faccio più…queste mattine sono tutte così uguali, le persone che passano così noiose…”
Mi lascia l’avambraccio, si ricalca in testa il cappello “E’ un ospite sgradito, sai Gino? Muove l’insofferenza, non sai quanto. Non c’è salvezza. Non c’è. Ora va, Gino. Ed anche lei. Se lo porti via il suo piacere. A me non serve”.
“Mario, no, non vado via. Così non vado via”
Ride, di una risata amara, amarissima.
“Pensi forse di salvarmi? Va Gino, va”. Si alza, e senza cenno di saluto si allontana.
Il suo allontanarsi mi addolora. Mi pervade un senso di impotenza, come non mai. Lina mi guarda: “ma non possiamo proprio fare niente? Gino, ho come un presagio”
“Anch’io Lina, anch’io. Solo che non ho telefono, non ho indirizzo. Durante il corso non ha voluto lasciare nulla. Proviamo a tornare domani mattina. Proviamo”.
Ma l’indomani mattina la “sua” panchina è vuota. Ed anche guardando in giro, di lui nessuna traccia.
Ed anche il giorno dopo, e dopo ancora.
Svanito.
Di Mario non ho saputo più nulla.
Stranamente quella panchina è rimasta vuota.
Come se aspettasse solo lui.
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