Terzo appuntamento. Il percorso si fa sempre più interessante. Penso sempre di più alla “conversione” in atto dentro di me. Di quanto la mia vita prima ruotava intorno al mio lavoro, e a quanto su di esso mi appoggiavo per costruirmi una identità. E di quanto “altro” sto scoprendo, dentro e fuori di me, che mi spingono a “rompere” con coraggio il mio schema, che vedo ora così limitante, quasi soffocante. Nel nuovo incontro, una nuova domanda: compreso l’importanza del progettare, e di come “si fa un progetto” che cosa di me metto in gioco? Che risorse sono disposto a spendere?
E’ stata una mattinata toccante ed emozionante, molta commozione, qualche lacrima, occasione di metamorfosi per il gruppo, ora più coeso, più “intimo”. Il docente di turno ci ha invitato a dare spazio al ricordo delle esperienze passate, alla riflessione sul presente, agli impegni presi e alle speranze coltivate guardando al futuro, Nel nostro passato stanno scritte le nostre competenze, le cose migliori di noi. E’ li che vanno cercate. E il narrarle, il raccontarle in una storia, quanto ascoltare le storie degli altri, che ci permeano, ci sollecitano, ci aiutano a scrutare meglio la nostra. La narrazione ci aiuta a entrare in contatto più profondo con noi stessi. Ma non solo. La narrazione è raccontare il mondo dal nostro punto di vista, e nel fare questo ci nutriamo delle storie altrui. La nostra storia è intrisa di ciò che le storie altrui lasciano in noi.
Durante l’incontro mi sono emozionato molto, ho avuto la sensazione di “toccare con mano” quanto ho appena scritto. Davvero. Ognuno di noi ha raccontato un suo fatto personale, emblematico, denso di vissuto. Ne è nata in me una vertigine strana: scoprire invisibili legami, una prossimità forte con persone che non avevano mai attraversato la mia vita (e io non avevo mai attraversato la loro). Scoprire una dimensione dello stare con gli altri che non mi apparteneva, e che sperimentavo per la prima volta. Una svolta importante per me. Chi ci ha accompagnato in questo incontro ha usato la parola “empatia”, e l’espressione “risuonare insieme” per esplicitarne il suo significato. Detta così, ho fatto fatica a capirla. Ci penserò su, o magari la capirò meglio cammin facendo. Ogni tanto, lo so, mi lascio prendere, sedurre da alcune espressioni, e do un po’ per scontato di aver capito, ma in realtà così non è. Chiederò ai miei compagni di cordata di condividere quanto hanno capito. A parte ciò, più mi inoltro in questo percorso e più il quotidiano (quel quotidiano che ormai consideravo ben conosciuto, dominato dalle mie abitudini) è capace ancora di rivelare lati nascosti e di stupirmi. Ecco la parola giusta: stupirmi. Credo che lo stupore sia la scoperta più importante che sto facendo in questi giorni. Uno stupore che sa di candore, di rispetto ed attenzione per quanto i nostri occhi ci rivelano. Ho condiviso con il gruppo questa mia scoperta, e uno dei partecipanti si è concesso una battuta che trovo bellissima: “Gino, hai un futuro davanti che ti aspetta!”. Io, un futuro, a 60 anni! Senza quella battuta non sarei mai arrivato a questa consapevolezza, io che giaccio nel luogo comune che il futuro è solo dei giovani. No, c’è futuro anche per me. E quel futuro che mi aspetta non va sciupato, ogni sua goccia va colta, distillata. E darsi un progetto è l’unico modo per farlo.
Amaramente e parimenti con entusiasmo sto scoprendo quanto la mia vita non sia stata vissuta fino in fondo. Le priorità del lavoro mi hanno un po’ sempre “costretto” a mettere fra parentesi qualcosa di me, e ora ho la possibilità di “riconciliarmi” con quella parte che per anni ho trascurato. E solo ora mi rendo conto di come e quanto l’ho trascurata. Penso che queste siano scoperte difficili da fare da soli. Mi accorgo parimenti quanto sia necessario “camminare insieme” per affrontare queste questioni. L’essere con gli altri ti da il coraggio per non fermarti, non lasciar dominare la paura, e la sicurezza di poter contare su un sostegno se accade l’inciampo. Da soli c’è il rischio di non riuscire ad affrontare tutto questo, e lo capisco, perché è quello che stavo facendo, fuggire attraverso una girandola di impegni a una domanda di senso. E questa fuga non è un modo per debilitare quella domanda, anzi. Più si cerca di eluderla, e più questa domanda si radica, discretamente, in noi. E in questo percorso, non posso negarlo, ho trovato il coraggio (che pensavo di non avere) per darmi delle risposte. Il progetto, appunto. Posso chiamarlo un atto d’amore verso me stesso?
Non possiamo pensare di poter affrontare e uscire dalle nostre crisi, dai nostri momenti difficili da soli. Sono arrivato a 60 anni per scoprire la forza, e la gioia che può la solidarietà. Nel mio diario di viaggio, racconto di una cosa molto toccante che è accaduta nel quarto incontro…. Il docente di turno ha iniziato ricordando l’importanza del nostro passato: recuperare le cose belle, fonte del nostro orgoglio, delle nostre soddisfazioni, è ricordare come siamo stati in grado di affrontare le difficoltà e di superarle. Ha chiesto, quindi, a ognuno di noi di raccontare un fatto ritenuto importante, che “dice” di come uno si considera. Quel “qualcosa” che desidera “mettere” di sé nel suo progetto di vita.
Dopo qualche istante di “raccoglimento” ognuno ha cominciato a raccontarsi. Fra noi c’è un signore più silenzioso di tutti gli altri, che sta sempre un po’ in disparte, e che nelle pause del corso non manca mai di confidarmi quanto sia per lui incomprensibile il mio entusiasmo. La mia sensazione è che ne sia infastidito. Ma potrei sbagliarmi. Quando è venuto il suo turno di parola, è rimasto come ammutolito. Dopo una lunga pausa, ha proposto la sua riflessione: mi sento spiazzato, più sento ognuno di voi e più dico fra me e me, caspita che cose importanti che hanno fatto! Chissà queste persone quanto hanno da raccontare…..e io? Che cosa posso raccontare di me? Che cosa posso dire? Non è vergogna, imbarazzo. Mi guardo dentro e trovo un cassetto vuoto, solo qualche oggetto smozzicato, di poco valore, che rotola pigramente nell’avanzare anonimo del cassetto. Non so che cosa raccontarvi di me, tutto qui.
Ritorna il silenzio e lo vedo con gli occhi bassi. Ricordo ancora lo stupore stampato sui visi di tutti. Il docente è il primo ad affrontare quella sospensione: forse quel che dici non è la verità. Qualcuno dei presenti in questo momento può fare qualcosa per aiutarti a tirarti fuori da qui? La risposta è scontata: quale aiuto? Non capisco proprio chi è qui come possa fare qualcosa. E’ un problema mio. Loro che cosa centrano? Il docente ancora: propongo a ognuno del gruppo di scrivere su di un foglio un aspetto di lui che vi ha colpito, poi consegneremo tutti i biglietti subito dopo in modo anonimo. Ci stai? Voi ci state? Il gruppo risponde sì, ed anche lui, in modo titubante. Quindi tutti ci mettiamo a scrivere quanto proposto dal docente, e una volta raccolti, i bigliettini vengono consegnati.
Il docente invita la persona a leggerli. Passa qualche istante e la persona è visibilmente commossa. L’attenzione è massima. I bigliettini scorrono fra le sue mani e gli occhi si fanno sempre più lucidi. Probabilmente tutto il gruppo, tacitamente ha capito e offerto messaggi di quelli “belli” (io ho fatto così). Terminata la lettura il docente non molla: ti senti di dirci qualcosa?
Tentenna, e poi ancora una lunga pausa. Il docente ci guarda, ci fa capire di non dire nulla. Si, al nostro signore scappa qualche lacrima. E si scioglie: vorrei abbracciarvi a uno a uno, mi avete scritto cose per me inaspettate. Non so se prima chiedervi scusa o dirvi grazie. Mi state dicendo che forse non mi conosco abbastanza, che ho bisogno di imparare ancora chi sono io. Forse per una vita non sono mai riuscito ad accettarmi, ora credo che posso farlo, posso diventare il mio migliore amico. Quel che sta accadendo lo ritenevo qualcosa di confinato al mondo irreale dei buoni sentimenti, vivo solo nella nostre fantasie, nelle favole. E invece non è così. Forse ho aperto il cassetto sbagliato, anzi, senz’altro è così. Grazie.
Aggiunge che stava pensando anche di lasciare il corso, quel discorso sul progetto lo trovava talmente ridicolo. E chiude dicendo: chiedo a Gino di aiutarmi nel fare il mio progetto. Ho bisogno del tuo entusiasmo. Me ne puoi dare un po’?
Non ci ho pensato un attimo: mi sono alzato e sono andato ad abbracciarlo. Ed è accaduto che piano piano tutti si sono alzati e hanno fatto altrettanto. Sapete una cosa? Siamo tutti pitturati di ipocrisia, pensiamo così di superare agevolmente e in scioltezza ogni asperità relazionale. Ma siamo ancora capaci di autenticità, e di comprendere (solo allora) che è li la vera ricchezza, che non siamo mai soli. E che la vera fonte di crisi è l’isolarsi.
Ogni volta una scoperta. E di quanta bellezza, se la cerchiamo, esiste nei rapporti umani.
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