Il cambiamento climatico è già una realtà. L’estate che si è appena conclusa ha superato tutti i record di caldo e i disastri naturali, che prima si abbattevano solo sulle ‘periferie’ del mondo o comunque a latitudini lontane, oggi provocano sconquassi e vittime in Germania, Francia e nel cuore dell’Europa. E il peggio deve ancora arrivare: le future generazioni saranno minacciate dai cambiamenti del clima più di quanto non lo siano mai state le generazioni precedenti. Secondo uno studio pubblicato da Science, negli ultimi 50 anni la temperatura della Terra è cresciuta a una velocità che non ha uguali negli ultimi duemila anni; l’aumento medio del livello del mare è cresciuto a una velocità mai vista. Le conseguenze saranno eventi climatici estremi molto più intensi di quelli già in corso oggi, con più inondazioni, più siccità, più ondate di calore e desertificazioni. Per questo la transizione energetica è al centro dei principali piani per la ripresa economica post-pandemia: l’ambizione – dal Next Generation Eu al piano Usa per le infrastrutture – è quella di ricostruire un sistema economico efficace e competitivo rispettoso della sostenibilità ambientale. “Miliardi di persone guardano ai leader del mondo aspettandosi decisioni coraggiose per realizzare finalmente gli impegni presi con gli accordi di Parigi, perché diano una spinta decisiva alle ambizioni climatiche e salvino l’intera umanità dalla sua attuale corsa verso il disastro” ha detto Patricia Espinosa, Segretario Esecutivo, Convenzione ONU sui cambiamenti climatici nella prima giornata di lavori del T20 Summit che si svolge da oggi al 6 ottobre. Un incontro preparatorio delle sfide globali al centro del G20 in programma a Roma alla fine di ottobre e della COP26, la prossima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. Alla tre giorni di incontri, promossa dall’ISPI, National Coordinator e Chair del T20, interverranno i ministri Vittorio Colao, Luigi Di Maio, Daniele Franco, e Roberto Cingolani.
Una crescita sostenibile?
La pandemia di COVID-19 ha portato molti paesi ad adottare pacchetti di stimoli economici senza precedenti. I responsabili politici del G20 che affrontano la crisi sanitaria sono stati anche incoraggiati a dare priorità alle strategie che consentano il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità a lungo termine. Eppure, la Pre-Cop26 dei giorni scorsi a Milano, si è conclusa ancora una volta con mille promesse e pochi vincoli. I provvedimenti necessari alla transizione ecologica delle produzioni sono infatti molto costosi e hanno ricadute sociali enormi che ne complicano l’adozione. Per l’inviato americano John Kerry “ciascuno deve fare la sua parte”, in primis “i Paesi del G20, che assicurano l’80% delle emissioni del pianeta, e dobbiamo capire che siamo tutti sulla stessa barca, che nessun paese piccolo può da solo affrontare la questione, ma neanche nessun paese grande da solo”. A sua volta Vanessa Nakate, l’attivista ugandese al fianco di Greta Thunberg nella marcia milanese organizzata a margine dell’incontro, ha sottolineato che “servono sussidi a fondo perduto, non prestiti”. Anche perché, ha sottolineato, “l’Africa produce solo il 3% delle emissioni, ma è il continente che subisce più di ogni altro le conseguenze dei gas serra”. Alla Cop di Glasgow manca meno di un mese, ma la conferenza è sotto scacco delle divisioni ancora presenti tra i paesi più e meno industrializzati.
Il cambiamento come opportunità?
Divisioni, freni, mancanza di visione: a capovolgere la prospettiva sul dibattito relativo a cambiamenti climatici, costi e sfide della transizione ecologica è ancora una volta l’intervento di una diciottenne svedese. Greta Thunberg, ispiratrice del movimento Fridays for Future, ormai maggiorenne, ha cancellato in un paio di minuti ogni forma di retorica sul ‘climate change’: “Dai leader mondiali sentiamo solo parole, bla bla bla. Le emissioni continuano ad aumentare. Possiamo invertire questa tendenza, ma serviranno soluzioni drastiche”. L’attivista ha anche invitato a guardare al cambiamento “non solo come ad una minaccia, ma soprattutto come ad un’opportunità di creare un pianeta più verde e più sano. Dobbiamo cogliere questa opportunità”. E dato che non abbiamo soluzioni tecnologiche, “vuol dire che dovremo cambiare noi. Non possiamo più permettere al potere di decidere cosa sia la speranza. La speranza non è un qualcosa di passivo, non è un bla bla bla. La speranza vuol dire la verità, vuol dire agire. E la speranza viene sempre dalla gente. Noi vogliamo giustizia climatica, e la vogliamo ora”.
Neutralità: come e quando?
Come raggiungere la neutralità è però più importante di quando. Le politiche di transizione, se non ben studiate, rischiano di aumentare le disuguaglianze economiche, ed erodere il consenso democratico. “Per questo, la transizione climatica dovrà essere coordinata fra i grandi paesi emettitori, con quelli industrializzati che si assumono le maggiori responsabilità” osserva al T20 Summit Angel Gurría, Segretario Generale dell’Ocse. “Il multilateralismo sarà l’unico modo per garantire People, Planet and Prosperity” in contemporanea. In questo senso, gli annunci di neutralità climatica di Europa, Stati Uniti, Giappone, Corea e in parte le aperture della Cina sono un passo in avanti, non solo per riuscire a limitare l’aumento di temperatura ma anche verso una ripartizione degli sforzi più equa e giusta. “Ma devono essere affiancate da un adeguato supporto internazionale finanziario e tecnologico, di cui si parla da anni ma con pochi passi in avanti” aggiunge. Insomma, affinché la sfida al clima assicuri opportunità eque, le politiche nazionali e internazionali devono essere trasparenti e allinearsi a quelle contro le disuguaglianze. “Altrimenti si rischia di lasciare indietro le persone, rendendo la lotta al clima inefficace, e soprattutto iniqua”.
Fonte: ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale
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