Quando sei giovane, ci sono molti modelli e aspirazioni. Quando sei più vecchio, meno pressione significa più possibilità. Quindi invecchiare è un’occasione per diventare quello che sei
Robert Rowland Smith, filosofo britannico e autore di libri come “Breakfast with Socrates” (Colazione con Socrate); “The Philosophy of everyday life” (La filosofia della vita quotidiana) e “AutoBioPhilosophy – An intimate story of what it means to be human” (AutoBioFilosofia – Una storia intima di ciò che significa essere uomini).
Tutto è cominciato con il commento di Lynne Segal: “L’essenza della discriminazione anagrafica è il ripudio della fragilità e della dipendenza umane”. Ci ha messo poco questa frase a trasformarsi in un nuovo indizio da seguire: perché è così difficile venire a patti con il nostro essere finito? Soprattutto perché, come ha sottolineato Lynne, il rovescio della medaglia è che tutti prosperiamo attraverso la cura. Tuttavia, è difficile ammettere e accettare di dover dipendere da qualcuno. E’ stata questa catena di pensieri, dunque, che mi ha portato a bussare – metaforicamente – a Robert Rowland Smith.
Robert Smith è un filosofo britannico e autore di libri (“Breakfast with Socrates” – Colazione con Socrate), (“The Philosophy of everyday life” – La filosofia della vita quotidiana e “AutoBioPhilosophy – An intimate story of what it means to be human” – AutoBioFilosofia – Una storia intima di ciò che significa essere uomini). Nel suo ultimo libro, in particolare, Robert racconta le esperienze di vita più significative – prima come figlio, poi come partner, professionista e genitore – per gettare un po’ di “luce filosofica” su alcune delle domande più urgenti della nostra condizione umana. Come ha sottolineato, è ben consapevole che ci sono molte più risposte potenziali rispetto a quelle che ha offerto, ma per quanto mi riguarda sono già soddisfatta di quelle che ho ricevuto durante la nostra conversazione. Se Robert e io abbiamo iniziato la nostra conversazione sulla scia del commento di Lynne, siamo finiti con una conclusione inaspettata che ha risposto a un’altra domanda su cui stavo riflettendo. Cosa facciamo del tempo aggiuntivo che un’aspettativa di vita più lunga ci regala? Mi sono detta che non può semplicemente tradursi in “più o meno la stessa cosa”. Tuttavia, non riuscivo a trovare una “formula” che – con la chiarezza di un’equazione matematica – potesse spiegare come aggiungere più vita ai nostri anni invece di aggiungere più anni alla nostra vita.
Infine, c’è un chiarimento necessario. Come esperto di “Costellazioni sistemiche”, Robert aiuta le persone e le aziende a dare un senso ai loro viaggi ed è forse per questo che abbiamo finito per esplorare alcuni angoli remoti della galassia dell’invecchiamento.
Dal punto di vista di un filosofo, perché abbiamo così paura, siamo terrorizzati delle nostre vulnerabilità e proviamo a sfuggirle?
Penso che ci sia un approccio psicoanalitico in gioco. Quando nasciamo, siamo indifesi e, rispetto ad altre specie, abbiamo bisogno di diversi anni di protezione e cura prima di poter ottenere la nostra indipendenza. Questa è la nostra prima esperienza e, per molti di noi, potrebbe anche essere l’ultima. Quando ci pensiamo, allora, è come se si attivasse una coscienza pre-senziente della vulnerabilità. È l’evocazione di un’idea che, poiché ha segnato l’inizio della nostra vita nelle mani di altre persone, materializza il concetto di vulnerabilità.
Come spieghi il fatto che nella nostra società la debolezza promuova atteggiamenti discriminatori anziché protettivi?
C’è una parte della cura che può essere molto gratificante, pur essendo molto stressante, specialmente quando è 24/7. Questo è un dibattito in corso nel Regno Unito, dove stiamo iniziando a prendere in considerazione anche il benessere di chi presta le cure. Quindi, da un lato, c’è senza dubbio la sensazione di dare qualcosa, ma l’atteggiamento da parte del destinatario varia. Mentre per alcune persone la propria fragilità impone un senso di gratitudine, per altre il semplice atto di ricevere è problematico.
In molti casi, ha un grande impatto su entrambi i lati delle relazioni. Pensa alle persone molto vecchie bisognose di cure che hanno figli sulla sessantina di cui, come genitori, continuano a preoccuparsi. Ma c’è anche un elemento culturalmente specifico. In Giappone, ad esempio, l’atteggiamento nei confronti degli anziani è fortemente correlato all’idea del rispetto. Nell’Africa occidentale, c’è un profondo culto degli antenati, mentre in Occidente tendiamo a pensare alle cure in un modo più utilitario, in termini economici di dare e avere.
Non sappiamo davvero cosa sia il tempo e tendiamo a pensare alla nostra vita in modo lineare: in base all’esperienza con il tuo libro “AutoBiofilosofia” cosa puoi dirci sulla narrazione che tessiamo su noi stessi, sul nostro significato e quindi sul nostro processo di invecchiamento?
Il mio libro passa in rassegna le pietre miliari più significative dell’esistenza. Ed è vero che la maggior parte si concentra all’inizio della vita: inizi a camminare, a parlare, ti laurei, perdi la verginità, ti sposi e fai figli. Nelle fasi successive della vita non c’è corrispondenza per tutti questi eventi. Tuttavia, siamo ben consapevoli della plasticità del cervello e, sebbene tendiamo a separare le persone in termini di abilità, dobbiamo riconoscere che invecchiando miglioriamo, siamo più acuti. Quindi non acquisiamo solo saggezza, ma molte altre abilità. Molte persone dicono che otteniamo una sorta di libertà dalle opinioni degli altri. Quando il nostro tempo si riduce, è naturale pensare a cosa vogliamo fare e chi vogliamo essere. Inoltre, come hanno sottolineato Lynda Gratton e Andrew Scott nel loro libro “The 100-year Life: Living and Working in a Age of Longevity” (Cento anni di vita: vivere e lavorare nell’era della longevità), nutriamo tutti curiosità e capacità che possiamo sviluppare in una dimensione personale e relazionale. La curiosità per il mondo interiore, inoltre, può tradursi in forme creative di espressione e maggiore apertura verso gli altri.
Con una durata di vita più breve e poche persone anziane nell’antichità, l’invecchiamento è un tema contemporaneo. Sta aprendo nuove prospettive nel discorso filosofico?
Filosoficamente, possiamo discutere se la quantità sia più importante della qualità e riflettere su cosa sia meglio. Siamo così poco abituati a pensare alla morte che generalmente non ci avventuriamo in questo territorio. Pensiamo che posticipare la morte equivalga a prolungare la vita, ma è solo un modo per negare ed eludere uno degli eventi più naturali della nostra vita. Gli esistenzialisti si chiedevano come vivere una buona vita e ora stiamo affrontando la questione di come vivere una vita più lunga che non può significare semplicemente averne di più in termini quantitativi.
Tuttavia, stiamo aggiungendo decenni alla nostra esistenza. Qual è il suggerimento di un filosofo di inquadrare una vita più lunga in modo significativo?
Non abbiamo modelli di ruolo per l’invecchiamento e questo, sotto un certo punto di vista, contribuisce a renderlo difficile. Ma è anche una grande opportunità, se ci pensi. Come adolescenti abbiamo modelli e aspirazioni su chi vogliamo diventare, ma quando hai cinquanta, sessanta, settanta anni e oltre, è diverso. Ci sono meno immagini a cui aspirare e questo apre alla domanda: “Chi posso ancora diventare?” A questo proposito, Nietzsche ha proposto un concetto diventato famoso: “Diventa chi sei”. Questo processo non finisce mai. Quindi, quando sei giovane c’è più pressione per diventare qualcuno, quando sei più vecchio c’è meno pressione e l’assenza di modelli di ruolo, a sua volta, implica più possibilità.
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