Come era avvenuto per Los Olvidados (I figli della violenza, 1950), dopo il successo di Robinson Crusoe, il produttore Oscar Dancingers accetta di finanziare un film in cui Buñuel possa esprimersi con la massima libertà in una storia che, come sottolinea lo stesso autore nelle sue memorie, non ha nulla di specificatamente messicano se non la pura ambientazione esterna. Si tratta infatti della messa in scena di un “caso da manuale” di paranoia.
Il film, Él (Lui, 1953) segna per il regista una sorta di ritorno a Freud (peraltro mai abbandonato) sia pur con altri presupposti e diversi intenti rispetto a quanto si trova, per esempio, nelle opere d’avanguardia (Un chien Andalou, 1929 e L’âge d’Or, 1930). Non siamo più nel solco della celebrazione surrealista dell’isteria, ma sul piano, molto più razionale, del conflitto tra “essere” e “dover essere” ossia, in ultima istanza, del conflitto tra individuo e società.
A guidare Buñuel nell’analisi del rapporto tra una singola persona e le convenzioni sociali che ne regolano e ne condizionano i comportamenti è, ancora una volta, il radicale pessimismo (lo “scacco della storia”) che contraddistingue il pensiero estetico e filosofico del regista. Entro questo orizzonte, tuttavia, Él rappresenta un’eccezione in quanto alla sconfitta dell’individuo e alla sua espulsione dal consorzio umano, causata dalla patologia, si contrappone la sua ri-affermazione (l’affermazione di sé) nella sfera dell’inconscio. Solo in questa chiave si può spiegare l’ambiguo finale con la camminata a zig zag del protagonista nel chiostro del convento dopo che si è fatto monaco. Solo apparentemente l’anomalia si è piegata alla normalità.
Come accadrà in altre grandi opere degli anni ‘70, qui, per la prima volta, il pessimismo dell’autore si stempera in una visione meno tragica della vita. Meno tragica, quanto meno, di quella mostrata in Las Hurdes (1933) e in Los Olvidados. Ciò succede in virtù dell’ironia che pervade tutto il narrato. Non bisogna però confondere l’ironia con l’umorismo, a sua volta presente specie nella sua variante “nera” di matrice surrealista, in quanto l’umorismo è un aspetto formale dell’opera mentre l’ironia è lo strumento filosofico (di origine socratica) che permette di guardare alla realtà con distacco e disincanto. In altre parole, l’ironia è la reazione più efficace e razionale, per certi versi l’unica via d’uscita, all’assenza di prospettiva esistenziale del pessimismo storico.
L’importanza di questo film sta proprio nell’essere l’inizio di una svolta estetica destinata a ulteriori sviluppi. Con questa avvertenza: qui siamo di fronte a un vero e proprio caso clinico, sia pur accortamente dissimulato, altrove (per esempio nel Fascino discreto della borghesia, 1972) la “patologia del quotidiano” deflagra in tutta la sua valenza grazie soprattutto ai meccanismi onirici che aboliscono il confine tra “realtà” e “sogno”.
Per tornare a Él, si può aggiungere che, partito dalla lettura giovanile della Psicopatologia della vita quotidiana di Freud, Buñuel arriva in questo momento a considerare (e perciò a rappresentare) l’uomo e i suoi comportamenti come espressione di una irrimediabile e lucida follia. A indiretta riprova di tale orientamento sta un altro avvenimento che si colloca in questo stesso periodo: la prima stesura, a quattro mani con il fidato Luis Alcoriza, della sceneggiatura dell’Angelo sterminatore (film realizzato solo nel 1962) e che in questa fase prende il titolo di Los náufragos de la calle Provindencia (I naufraghi di via Provvidenza): una storia “assurda” per rappresentare il rovescio di una normalità fatta di ipocrisia e perbenismo che nasconde abissi di depravazione e follia.
Date queste premesse, non sorprende che Él fu poco apprezzato da critica e pubblico e andò incontro a uno scarso successo di botteghino. Fu invece apprezzato in ambito scientifico proprio tra gli specialisti di psicanalisi e da pochi intellettuali che ne compresero invece la sostanza. Di certo influenzò anche altri cineasti tra cui Alfred Hitchcock che sicuramente attinse da questo film nella realizzazione del suo Vertigo (La donna che visse due volte, 1958).
Per concludere, va anche segnalato che, a sua volta, per comporre le immagini di Él il regista aragonese attinse a un film legato alla sua esperienza giovanile parigina nelle file dell’avanguardia. La folla sghignazzante che perseguita il protagonista all’interno della chiesa, frutto un suo delirio psicotico, ha un preciso antecedente nella sequenza onirica del film I misteri di un’anima (1926) di Georg Wilhelm Pabst. Sequenza a cui Buñuel ha fatto ricorso altre volte, in diverse occasioni, e nel corso di un lungo arco di tempo: da Un chien andaloua Tristana (1970).
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