Ispirato molto liberamente a un romanzo di Benito Perez Galdòs pubblicato nel 1892, il film che Buñuel gira nell’amatissima Toledo del 1970, mette in scena uno dei temi più cari al regista aragonese, presente in moltissimi altri suoi film: l’opposizione tra forma e sostanza, tra spirito e materia, tra essere e apparire. A questo serve la straordinaria metamorfosi del protagonista maschile, il vecchio hidalgo, liberale e anticlericale, don Lope il quale, configurato all’inizio della storia con queste caratteristiche, finisce con l’accettare un matrimonio tardivamente riparatore e con l’intrattenere amabilmente tre sacerdoti nel borghese e pretesco rito della cioccolata (vedi l’analogo in Nazarìn). La parabola esistenziale di don Lope è peraltro perfettamente speculare e contraria a quella di Tristana, la giovane nipote che accoglie in casa in qualità di tutore, di cui abusa, che lo lascia per un altro uomo, ma che poi torna da lui. Nel doppio “crescere” e “calare” dei due personaggi, nell’intersecarsi delle loro esistenze e nel reciproco scambio di ruoli (da vittima a carnefice) si consuma il dramma del film che Buñuel, tradendo ancora una volta la lettera di un autore amatissimo, concepisce come pura e semplice parabola dell’esistenza umana.
Dunque l’essere e l’apparire come registri dell’esistenza dei due personaggi principali. Complici e antagonisti. Don Lope professa ripetutamente, a parole, una filosofia di vita e un codice di valori ai quali viene gradualmente meno con il passare degli anni e ciò non capita solo per il naturale declino della vecchiaia, ma per una forza ancora più grande e imperiosa, una forza che non conosce età né ragione: l’amore. È infatti per amore di Tristana che egli, dopo averla posseduta nella carne, se ne fa possedere nello spirito, quasi per una inesorabile legge del contrappasso. Per altro verso Tristana, svuotata nella psiche dalla violenza subita, incapace e impossibilitata a una scelta esistenziale davvero autonoma (le due colonne, i due ceci, le due strade…) a causa della possessività del tutore-amante, si prende la sua forse inconscia rivincita quando, svuotata nella carne dall’amputazione, fa ritorno da don Lope. La Tristana matura (e mutilata) è la Tristana dallo spirito libero e ribelle nonostante le pratiche esteriori di carità e devozione. È la Tristana padrona dell’animo di don Lope che lei tiranneggia e domina come un burattino.
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