Con L’âge d’or (1930) e Il fascino discreto della borghesia (1972), L’angelo sterminatore, penultimo film messicano di Buñuel girato nel 1963, rappresenta una sorta di ideale trittico sul medesimo argomento: l’impotenza del potere o, se si preferisce, il collasso ideologico (non certo storico) della borghesia come classe dominante dell’età moderna. I legami tra i tre film sono notevoli anche sotto il profilo formale con numerosi rimandi dall’uno all’altro, spesso relativi alla sfera intellettuale, psichica o morale dell’autore evidenziata da numerosi passi delle memorie. A cominciare dalla stessa struttura drammaturgica centrata qui sul ricevimento che si tiene a casa di Edmundo Nobile dopo una serata a teatro. Nel film del ‘30 la seconda parte era dedicata al ricevimento nella villa del marchesi di X mentre nel film del ‘72 si assiste a ripetuti inviti a cena sistematicamente frustrati nel loro compiersi.
In tutti i tre film, inoltre, questa sorta di ritualità borghese trova riscontro nella ritualità religiosa della Chiesa Cattolica. Qui, in particolare, nel Te Deum finale di ringraziamento che riproduce, moltiplicandola all’ennesima potenza, l’impasse alla quale i borghesi sono stati costretti nel salone di casa Nobile. A differenziare i film è naturalmente lo spirito dei tempi e la diversa posizione psicologica dell’autore di fronte allo stesso ordine di problemi. Si passa infatti dalla violenta carica eversiva del film d’avanguardia, al disincantato umorismo della senilità passando per questa sorta di compendio ideologico e formale di tante esperienze artistiche precedenti. Dovute certamente al fatto che proprio nei primi anni ‘60 si sviluppano quelle forme di “nuovo cinema” (a cominciare dalla Nouvelle Vague francese) che si rifanno dichiaratamente all’avanguardia storica e a quegli stilemi che Buñuel ripropone qui in modo particolarmente esplicito. Si pensi, per esempio, alla doppia entrata dei borghesi nell’atrio della villa di Nobile, al doppio, identico brindisi, e allo stesso “scioglimento” finale che avviene solo quando tutti i personaggi si ritrovano nella medesima posizione che occupavano all’inizio.
Al contrario di quanto preconizzato da Marx ed Engels nei loro scritti, la borghesia non è morta, anzi ha saputo rinnovarsi nelle diverse situazioni storiche succedutesi dalla Rivoluzione Francese al ‘900 adattandosi sempre in modo camaleontesco e anzi consolidando di epoca in epoca i propri valori e il proprio controllo sull’economia e sul pensiero dell’umanità. Perciò, per smascherare la sostanziale ipocrisia, la violenza su cui è costruita tale struttura sociale, basta un nulla, un enigmatico gioco del destino o del caso (l’hasard, vero motore primo delle sorti umane secondo Buñuel) perché si infranga la maschera del perbenismo e crolli miseramente il castello di sovrastrutture di cui la borghesia ammanta il suo egoismo e la sua intrinseca violenza.
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