I mezzi di comunicazione sono in generale molto interessati alle notizie sulla salute perché lo sono ovviamente i lettori e i cittadini in generale, potenziali pazienti o familiari di questi.
È capitato sicuramente a tutti noi di imbatterci in notizie di salute, tutti i giorni e su una varietà di mezzi di comunicazione, dai più tradizionali come tv, radio e giornali, ai più innovativi come i social network.
L’interesse dei media ha assunto i connotati della vera e propria infodemia durante il periodo pandemico, rendendo ancora più evidente come tutti noi, fruitori dei mezzi di comunicazione, siamo chiamati a sviluppare alcuni strumenti e conoscenze di base per interpretare al meglio ciò che leggiamo su un giornale o vediamo promosso da un influencer su Tik Tok. Da non sottovalutare poi l’interesse degli inserzionisti pubblicitari: si sa che il “mercato della salute” è tra i più floridi
Notizie sulla salute: prima di partire, due precisazioni
La prima: non parleremo qui di fake news, cioè di notizie false che possono nascere da informazioni completamente inventate per interessi economici, politici oppure da informazioni parziali o scorrette (chi lo desidera può approfondire questo tema ai link qui indicati). Parleremo di notizie “vere” la cui comprensione e interpretazione possono, però, essere scivolose per come vengono confezionate, promosse e divulgate.
La seconda: la fonte della notizia è essenziale. Non è sempre semplice giudicare l’affidabilità e attendibilità di quello che leggiamo, soprattutto online dove manca quasi sempre l’importante lavoro di intermediazione giornalistica. E’ indispensabile mettere in moto il proprio spirito critico per farsi un’idea se la testata o la persona che sta veicolando un’informazione è competente, ha particolari conflitti di interesse rispetto al contenuto, cita accuratamente le fonti da cui trae le informazioni e dati, e così via.
Qualche esempio di notizie sulla salute
“Alzheimer: nuovo farmaco ridurrebbe del 27% la progressione della malattia.”
“Semaglutide per dimagrire, la moda (rischiosa) nata sui social, cosa sappiamo sull’antidiabetico usato per perdere peso.”
Consiglio numero 1: cellule, modelli animali, persone
La ricerca scientifica nell’ambito della salute si sviluppa in varie fasi che vanno dallo studio dei meccanismi molecolari delle malattie, ai test di efficacia e sicurezza su modelli cellulari o animali fino a studi clinici che coinvolgono le persone, volontari sani o con la condizione clinica oggetto del trattamento. Nel caso dello sviluppo di un nuovo farmaco, questa catena di esperimenti serve per accumulare tutte le informazioni per poter essere sicuri che un trattamento funzioni e sia ben tollerato e che quindi possa essere utilizzato nella pratica clinica (vedere figura). Tutte le fasi sono importanti, ma se una certa notizia deriva da studi fatti su modelli cellulari o animali dobbiamo fare attenzione a estrapolarne un messaggio generale per l’uomo, perché probabilmente ogni conclusione definitiva è prematura.
Consiglio numero 2: i media amano le storie, la scienza ama i numeri e le popolazioni
Spesso nelle notizie sulla salute, soprattutto quelle più bizzarre che attirano la nostra attenzione, si raccontano storie di singole persone. Lo storytelling è certamente una tecnica comunicativa efficace, ma gli studi scientifici di buona qualità si basano sull’osservazione di casistiche ampie che permettono di misurare con maggior precisione i fenomeni biologici, ad esempio i fattori di rischio di una malattia, l’effetto benefico o tossico di un trattamento in una popolazione rappresentativa. Possiamo quindi interessarci alla storia di un aneddoto, ma dobbiamo essere ben consapevoli che quell’informazione non è necessariamente trasferibile e generalizzabile a tutti.
Un chiodo nel cervello. E non se ne era accorto!
Un uomo di 38 anni arriva in ospedale con un trauma cranico apparentemente minore dopo che un collega di lavoro ha fatto inavvertitamente cadere una sparachiodi sulla sua testa. L’uomo presenta una piccola ferita al cuoio capelluto, subito medicata, poi viene dimesso. Dieci giorni dopo ha un forte dolore e viene di nuovo visitato in ospedale. Sebbene non presenti segni di deficit neurologico, i medici fanno una TAC della testa…l’immagine mostra un chiodo di 7 cm infilato nell’emisfero cerebrale destro! Per fortuna dopo la rimozione del chiodo, l’uomo si è ripreso completamente (British Medical Journal Vol. 320 2000.)
Notizie sulla salute- Consiglio numero 3: pericolo e rischio non sono la stessa cosa
È importante non dimenticare che la parola “pericolo” si riferisce a un determinato fattore con il potenziale di arrecare un danno, mentre la parola “rischio” riguarda la probabilità che si verifichi un danno. Sembra controintuitivo, ma se ci pensiamo bene sono comuni le situazioni in cui sostanze chimiche, farmaci, cibi, comportamenti sono di per sé pericolosi , ma il rischio di incorrere in un danno da un loro utilizzo sia basso.
L’aspartame è cancerogeno, ma non dobbiamo preoccuparci?!?
L’aspartame è un dolcificante molto utilizzato dall’industria alimentare, si trova ad esempio nelle bevande denominate light o zero. Recentemente l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha inserito l’aspartame nel “Gruppo 2B” che comprende le sostanze classificate come “possibilmente cancerogene”. Questa classificazione riguarda il pericolo legato all’effetto cancerogeno di queste sostanze: significa che ci sono informazioni di qualità intermedia che suggeriscono che sia cancerogeno. Per interpretare al meglio questa informazione, però, dobbiamo chiederci quale sia il rischio legato al suo uso. Altri comitati internazionali deputati allo studio del rischio hanno stabilito che la dose massima giornaliera per questa sostanza è di 40 milligrammi per ogni chilogrammo di massa corporea. Una persona che pesa 75 chilogrammi dovrebbe consumare circa 15 lattine di una bevanda light al giorno per tutta la vita per superare la dose di sicurezza.
Consiglio numero 4: fa bene, sì ma rispetto a cosa?
Spesso leggiamo notizie sulla pubblicazione di un nuovo studio scientifico che afferma che un qualsiasi intervento sanitario fa bene. Per allenare il nostro spirito critico e interpretare al meglio queste informazioni dobbiamo farci almeno due domande:
1) sappiamo se questo nuovo promettente intervento sanitario è stato confrontato con qualcos’altro, ad esempio un altro farmaco o intervento o un placebo, una sostanza inerte che si utilizza per poter controllare le condizioni sperimentali? Senza un termine di paragone è difficile, se non impossibile, affermare con certezza che un effetto osservato sia davvero dovuto al nuovo trattamento e non è invece alla normale fluttuazione dei sintomi e manifestazioni di una malattia. Meglio poi che sia il caso a determinare chi riceve il nuovo trattamento e chi il controllo, approccio chiamato in gergo studio randomizzato, per eliminare quei fattori diversi dal trattamento che stiamo studiando che influenzano i risultati.
2) sappiamo qual è la misura del beneficio di cui si sta parlando e il suo impatto clinico? Un conto è dire che un nuovo trattamento allunga la vita, riduce il rischio di malattie gravi oppure migliora sintomi che la rendono dolorosa o complicata, un altro è misurare un effetto sui livelli di qualche sostanza nel nostro sangue di cui alle persone con malattia interessa ben poco.
La vitamina D fa bene alle ossa, ma usare integratori di vitamina D non serve
Numerosi studi osservazionali hanno mostrato che le persone con livelli di vitamina D medio-bassi hanno un aumentato rischio di fratture, perché la vitamina D è importante per il benessere delle ossa. Quindi usare integratori a base di vitamina D per ridurre queste carenze riduce il rischio di fratture, giusto? Non proprio! Per analizzare l’effetto degli integratori serve confrontare due gruppi di persone (simili per tutte le variabili importanti, ad esempio età, attività fisica, altre malattie, ecc.), uno che li assume e uno che assume un placebo. Entrambi i gruppi non sanno se assumono l’integratore o il placebo, così da non modificare i propri comportamenti. Gli studi condotti in questo modo hanno mostrato solo un miglioramento di alcune misure specifiche della salute delle ossa, mentre rimangono sostanzialmente uguali il numero di fratture. Questo è l’effetto che davvero interessa le persone perché le conseguenze di una frattura sono sicuramente fastidiose per tutti e possono diventare gravi nelle persone anziane. Per questo motivo, l’uso di integratori a base di vitamina D è consigliabile solo in caso di forte carenza, condizione che per fortuna riguarda solo una piccola quota di persone.
Consiglio numero 5: riduzione del rischio indicata in termini relativi e assoluti
Quando leggiamo una notizia scientifica è sempre bene stare attenti al significato dei numeri. Non sempre è facile comprendere a pieno quanto è grande e significativo l’effetto di un trattamento e, spesso, i dati numerici vengono proprio veicolati in modo fuorviante per rendere la notizia più enfatica e catturare i lettori. Sarete sicuramente più colpiti da un titolo come “Alzheimer: nuovo farmaco ridurrebbe del 27% la progressione della malattia.” rispetto a “Alzheimer: nuovo farmaco ridurrebbe di 0,45 punti la progressione della malattia.”
Entrambi i numeri derivano dallo stesso studio e si riferiscono allo stesso esito ed effetto misurato, è solo un modo diverso di esprimere lo stesso risultato.[New England Journal of Medicine 2023; 388:9-21) Semplicemente il primo (27%) è una misura della relativa riduzione del rischio di avere un peggioramento della malattia, il secondo (0,45) è una misura assoluta della riduzione del rischio di avere un peggioramento della malattia.
Un modo più chiaro e trasparente per riportare l’effetto di un trattamento è quello che in farmacologia si chiama NNT (number needed to treat, numero di soggetti da trattare) che dice quante persone vanno trattate perché una abbia un beneficio. Più l’NNT è piccolo più il trattamento è efficace. Purtroppo, raramente nelle notizie di salute troviamo riportato in questo modo l’effetto.
Consiglio numero 6: uno studio non fa primavera
Ma il caffè fa bene o fa male? Devo fare o non fare lo screening per il tumore alla prostata?
Se vi sentite confusi dalle notizie contrastanti su alimentazione e salute, sappiate che siete in buona compagnia. È piuttosto normale che i risultati degli studi scientifici si contraddicano o ridimensionino soprattutto nelle fasi iniziali della ricerca. La scienza si basa sull’osservazione dei fenomeni naturali e su esperimenti che simulano i processi naturali in condizioni controllate. Il consenso scientifico si costruisce grazie alla replicazione e alla conferma dei risultati sperimentali da parte di laboratori indipendenti, e con la discussione e interpretazione dei dati, in modo da consolidare le conoscenze nel tempo. Il progresso scientifico è quindi un processo iterativo, che genera modelli del mondo sempre più accurati ed esaurienti. Basarsi su un solo studio, per quanto ben fatto e accurato, è spesso insufficiente.
Consiglio numero 7: comunicare l’incertezza
I progressi della scienza e della medicina ci illudono di avere risposte certe a tutte le domande. Inoltre, per come funziona il nostro cervello, preferiamo situazioni definite, in cui c’è un bianco e un nero ed è spesso molto complicato cogliere il concetto di incertezza.
“La condizione normale della medicina è l’incertezza e la saggezza – sia da parte dei pazienti sia da parte dei medici – sta nel modo di affrontarla.”[Atul Gawande: Salvo complicazioni, Roma 2005, p.244]
Possiamo aggiungere che questa saggezza dovrebbe riguardare da vicino chi si occupa di comunicazione in generale e, nello specifico, di comunicazione nel campo della salute. Siamo però consapevoli che la logica dei mezzi di comunicazione mal si concilia con la complessità dell’incertezza. Non è facile destreggiarsi come lettori e fruitori di informazioni, ma è importante essere consapevoli che non sempre c’è una verità granitica a cui affidarci.
Rita Banzi, Farmacologa clinica e dottore di ricerca in scienze farmaceutiche. Attualmente ricercatrice responsabile del Centro di Politiche Regolatorie del Farmaco presso l’istituto Mario Negri di Milano dove si occupa della valutazione critica della metodologia della ricerca clinica, della legislazione e delle politiche farmaceutiche e della trasparenza nella ricerca.
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