È ben noto che il carico globale dell’ obesità cresce ad un ritmo allarmante. L’OMS stima che più di un miliardo di persone siano sovrappeso e che di queste 300 milioni siano obese. Anche in Italia l’obesità rappresenta una realtà in costante crescita, interessando oltre il 10% della popolazione.
La prevalente attenzione rivolta alle malattie metaboliche e cardiovascolari ad essa correlate quali cause di morte o di gravi e irreversibili invalidità (ipertensione, diabete, infarto miocardico, ictus) non può far trascurare i gravi danni provocati ad altri organi ed apparati, tra cui il sistema muscoloscheletrico.
Così l’ampliarsi delle conoscenze sul tessuto adiposo come organo endocrino e produttore di modulatori della immunoflogosi, ha determinato una nuova visione del ruolo del tessuto adiposo nella patogenesi dell’osteoartrosi e di altre malattie reumatiche.
Di particolare interesse è il ruolo recentemente suggerito per le adipokine non solo nella patogenesi del danno articolare, ma nella fisiologia e fisiopatologia del tessuto osseo. Infine, nell’anziano l’obesità patologica, la cui prevalenza nei soggetti oltre i 60 anni può superare il 6%, causa serie complicanze, accelerando il declino della funzione fisica dovuto all’ età e favorendo ulteriormente l’indebolimento generale. (fonte: Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna -Corso di Aggiornamento Reumatologico è “Obesità e sistema muscoloscheletrico”)
Pera o mela?
Già nel 1947 il medico francese Jean Vague aveva definito chiaramente con un semplice paragone vegetale – mela o pera? – la diversa distribuzione del tessuto adiposo nell’uomo (a mela, metabolicamente pericolosa) e nella donna (a pera, metabolicamente protettiva). Nel primo gli adipociti si concentrano soprattutto a livello addominale, nella seconda il loro accumulo è prevalente in corrispondenza dei fianchi e delle cosce.
Sessant’anni dopo quella prima osservazione, l’adiposità localizzata a livello addominale non è più considerata come un semplice carattere sessuale secondario, al limite con una valenza estetica, bensì come un potenziale fattore di rischio cardiovascolare aggiuntivo. In altre parole, nel definire il rischio stesso non si può parlare tout court di obesità, quanto piuttosto di localizzazione del tessuto adiposo in eccesso. Se si concentra intorno ai visceri addominali, allora va considerato pericoloso.
Ne è convinto anche Jean-Pierre Després, tra i massimi esperti mondiali di rischio cardiometabolico (Jean-Pierre Després insegna alla Divisione di Kinesiologia, Dipartimento di Medicina sociale e preventiva all’Università Laval, Québec, Canada.): «Fino a oggi l’obesità era mal definita, almeno sotto l’aspetto del rischio cardiovascolare globale. Nel definire il profilo di rischio del soggetto non credo che si possa limitare a parlare solo di peso, ma che si debba definire anche la localizzazione dell’eccesso adiposo nell’organismo. Quando si concentra soprattutto intorno ai visceri addominali, cresce il rischio di sviluppare specifiche alterazioni metaboliche come l’aumento dei trigliceridi e il calo del colesterolo HDL. Per questo ritengo che il tessuto adiposo viscerale vada considerato pericoloso e che di questo fattore si debba tenere conto quando si definisce il rischio cardiometabolico del soggetto».
Per definire in modo appropriato il rischio cardiometabolico del soggetto, quindi, non bastano più i soli parametri di peso e statura. Occorre un elemento in più, che la comunità scientifica ha identificato nel giro vita rilevato mediante la sua semplice misurazione con un metro a nastro da sarto. Després è convinto che questo parametro, di facile misurazione anche da parte del medico di medicina generale, sia un indicatore affidabile del rischio. «La misurazione del giro vita è semplice e può essere effettuata da tutti i medici generalisti, che rappresentano uno snodo fondamentale nello screening dei disturbi cardiometabolici» osserva il cardiologo canadese. «Lo provano i risultati dello studio IDEA che abbiamo condotto proprio per valutare la prevalenza dell’obesità addominale nella popolazione e che ha coinvolto 6425 medici in tutto il mondo. Attraverso un semplice video i medici hanno imparato in pochi secondi a prendere questa misura, così importante ai fini della diagnostica cardiometabolica».
A sostenere il ruolo fondamentale della misurazione del giro vita come test di screening per la valutazione del rischio cardiovascolare ci sono ovviamente anche altre evidenze scientifiche, come la ricerca condotta da un gruppo di sanitari inglesi guidati da David Haslam, coordinatore del National Obesity Forum. Ma ci sono soprattutto le ricerche sul tessuto adiposo e sulle differenti azioni endocrino-metaboliche da esso sostenute e legate alla sua localizzazione. Il grasso viscerale presenta infatti caratteristiche diverse rispetto a quello sottocutaneo sia per quanto riguarda la struttura delle cellule sia per i loro effetti sull’organismo. Gli adipociti viscerali si possono infatti considerare vere e proprie «centrali endocrino-metaboliche» che favorisce il rilascio di sostanze attive su processi significativi sotto l’aspetto del rischio cardiometabolico. Resta però un problema: come può il medico generalista distinguere l’obesità viscerale da quella sottocutanea, seppure in presenza di un aumento del giro vita?
«Oggi penso si possa dare una risposta chiara a questa domanda, fondamentale per la pratica clinica quotidiana» spiega Després. «Un nostro ampio studio epidemiologico dimostra come in presenza di un giro vita superiore ai valori consigliati, un’ipertrigliceridemia sia l’elemento determinante per poter parlare con certezza di obesità viscerale, quindi di rischio cardiometabolico. Se i trigliceridi sono aumentati, significa che è presente grasso viscerale. Se invece sono nella norma, è probabile che l’accumulo di tessuto adiposo sia in prevalenza sottocute. Per questo è importante rilevare sempre il giro vita e – se supera i valori consigliati – attuare una serie di misure per ridurlo. Il nostro modello prevede un monitoraggio nel tempo dei pazienti in trattamento con un regime alimentare e un programma di attività fisica: ogni mese sono sottoposti a visita dietologica e fisiatrica.
Occorre soprattutto avvertire la persona che la presenza di obesità addominale è un fattore di rischio cardiovascolare. Solo a quel punto inizia un programma integrato per ridurre il tessuto adiposo viscerale. La nostra esperienza in questo senso è emblematica. Abbiamo condotto uno studio su 150 maschi adulti, seguiti ogni mese da un dietologo e da un fisiatra. In un anno abbiamo ridotto in media il peso di sette chili, ma soprattutto il giro vita di otto centimetri: tutto senza utilizzare farmaci, che vanno impiegati solo se e quando necessario, là dove il paziente non risponda a interventi sullo stile di vita. Già il solo approccio educazionale può migliorare significativamente il rischio cardiovascolare: pensate che circa un paziente con obesità addominale su due ha un’intolleranza al glucosio e quindi, se non si interviene, è destinato a sviluppare la patologia. Ebbene, il nostro studio ha dimostrato che il solo approccio educazionale dimezza l’intolleranza al glucosio ai controlli mensili. Ma non basta: la riduzione del grasso viscerale comporta un aumento del colesterolo HDL, ad azione protettiva sui vasi, mentre fa abbassare i trigliceridi e determina un calo della proteina C-reattiva». (fonte cardiometabolica.org)
Come si misura il giro vita?
L’obesità addominale si può individuare facilmente misurando il giro vita. Può bastare un semplice metro a nastro da sarto, procedendo così:
- togliere la camicia o la maglietta e slacciare la cintura dei pantaloni;
- posizionare il metro a metà tra la parte più alta dell’osso dell’anca e l’ultima costa, in fondo alla cassa toracica;
- prendere la misura solo con l’addome rilassato e dopo avere espirato.
SOVRAPPESO E OBESITÀ
Il problema del peso corporeo, inteso come sovrappeso, interessa un numero sempre maggiore di persone.
Al di là dei pochi casi in cui il problema ha origine da disturbi del sistema endocrino o da cause genetiche, nella maggioranza dei casi il peso eccessivo è dovuto da una parte alla sempre maggiore disponibilità di alimenti e dall’altra ad uno stile di vita sempre più sedentario.
Il peso ideale è un concetto relativo, difficile da stabilire scientificamente, ma una stima approssimativa la si può ottenere calcolando l’Indice di Massa Corporea o Body Mass Index (BMI), che è attualmente il principale indicatore diagnostico del sovrappeso e dell’obesità.
Come si calcola il BMI?
Il BMI si calcola con una semplice operazione matematica dividendo il proprio peso in Kg per il quadrato della propria altezza espressa in metri:
BMI = Peso (kg) / Altezza al quadrato (metri)
e confrontando il risultato con la seguente tabella:
uomo | donna | |
---|---|---|
sottopeso | <20,1 | <18,7 |
peso ottimale | >20,1-25 | 18,7-23,8 |
sovrappeso | >25,1-29,9 | >23,9-28,6 |
obesità di 1° grado | >30,1-35 | >28,7-35 |
obesità di 2° grado | >35,1-40 | >35,1-40 |
obesità di alto grado | >40 | >40 |
Ricordiamo comunque che questo calcolo è approssimativo e non sostituisce il parere del medico.
Di particolare importanza è la misura della circonferenza nel punto vita: nell’uomo non dovrebbe superare i 102 cm, mentre nella donna gli 88 cm. Sopra tali valori aumenta notevolmente il rischio di malattie cardovascolari legate ad alterazioni ematochimiche (colesterolo LDL, trigliceridi, acido urico, diabete di tipo II, ipertensione).
Per questo motivo è importante rivolgersi per la diagnosi ad un medico abilitato che possa valutare con gli opportuni strumenti la composizione corporea del soggetto, al fine di determinare in maniera precisa la quantità di grasso corporeo e la sua distribuzione.
Un adulto di peso normale ha una percentuale di grasso che varia dal 10% al 20% del proprio corpo; le donne hanno valori leggermente superiori che vanno dal 15% al 25%. Utilizzando questi valori come parametri di riferimento, un individuo può essere considerato in sovrappeso quando presenta il 25%-30% di grasso corporeo e decisamente obeso quando il grasso supera il 30% del peso corporeo.
L’obesità è correlata con numerose malattie degenerative quali diabete, ipertensione arteriosa, ischemia miocardica, insufficienza cardiaca, colecistopatia, nefropatie e danni osteoarticolari, in particolare a carico della colonna vertebrale e del piede.
Di conseguenza, negli individui obesi la speranza di vita è significativamente ridotta, e questo è un ulteriore motivo per arginare il problema prima che si aggravi ulteriormente, o, meglio ancora, prevenirlo, ricorrendo all’aiuto di un medico esperto per trovare la giusta terapia applicabile al caso specifico.
I trattamenti per il sovrappeso e l’obesità si basano su una dietoterapia programmata, che viene stilata dal medico dopo un accurato check-up medico-estetico nel quale si analizzano approfonditamente gli esami ematochimici ed i dati morfo-antropometrici.
(fonte: sicurezza industriale.com)