28 agosto 2019.
Ci sono riuscito:, cinquantuno ore e sei treni dopo la partenza da Sesto Calende, ho raggiunto Mosca.
Ho lasciato il mondo latino, quello germanico e fino a quando lascerò la Siberia, sarò immerso nel contesto slavo. Durante il viaggio un poco di apprensione per le coincidenze e i ritardi dei treni, ma il margine di tempo programmato si è rivelato sufficiente. È stata una partenza carica di pathos come è giusto che sia per un viaggio come questo.
Passato il Brennero e lasciata l’Italia, il treno ha cominciato a salire notevolmente sulle Alpi e la valle si è ristretta, bei paesaggi, cosi come il resto del tragitto che ha mostrato un’Austria rurale e serena. Specialmente nel Tirolo, le casette in legno e le pinete interrotte da ruscelli, mostravano un paesaggio bucolico. Sono riuscito a ingoiare alla svelta del fast food a Innsbruck e a Vienna, e poi nel night train per Varsavia eravamo solo in due nello scompartimento e ho passato una notte tranquilla; tutto sommato un buon riposo.
Siamo arrivati a Varsavia più o meno in orario, e nel primo pomeriggio ho preso il Nizza – Mosca; il treno che passa da Milano e che se non fosse stato al completo, mi avrebbe facilitato parecchio il percorso. Sembra incredibile, ma ho dovuto correre per non perdere il treno: aspettavo al punto sbagliato e la provodnitsa non mi ha fatto salire, obbligandomi a correre all’altro vagone; di certo il treno non mi avrebbe aspettato.
In Russia ogni vagone nei tragitti a lunga percorrenza ha una responsabile, la provodnitsa, che comanda a bacchetta. La categoria pensavo si fosse riscattata quando piu tardi mi ha offerto un tè caldo, ma all’arrivo a Mosca me ne ha chiesto il pagamento; rubli o spiccioli di Euro tutto andava bene. La fortuna comunque ha continuto ad assistermi: scompartimento da quattro e non da sei, gentili signore russe e una ucraina che parlava inglese aiutandomi a comunicare.
La Polonia è scivolata nel caldo pomerigggio tra boschi e coltivazioni; ogni tanto solo qualche cascina o la strada a fianco della ferrovia interrompevano il paesaggio.
Al confine tra la Polonia e la Bielorussia, l’atmosfera è cambiata e si è sentito il peso della burocrazia post sovietica. Sono comparsi i poliziotti bielorussi con i classici berretti a padella per certificare l’ingresso nell’Unione doganale euroasiatica, che comprende Bielorussia e Russia, e ho quindi riempito la carta si immigrazione con estrema attenzione.
Non oso immaginare al confine con Mongolia o Cina, come saranno le pratiche. Come di rito hanno poi cambiato le ruote al treno per adeguarlo allo scartamento ex sovietico e infine siamo ripartiti nella notte.
Alle 06:15 a Smolensk ci hanno svegliato per il controllo dei passaporti all’ingresso in Russia. Un giovanotto dalla faccia inespressiva non contento del mio passaporto e di quello della ucraina ha chiamato il superiore. Il quale, parlando un po d’inglese, ha riguardato il passaporto e mi ha chiesto se avevo altri documenti, al mio diniego si è accontentato. Invece per la gentile ucraina le cose sono andate diversamente, non capisco cosa sia successo, ma la hanno fatta scendere alla svelta dal treno. L’ansietà e il timore che trasparivano dal suo volto davano un’idea del potere della polizia. Mi è dispiaciuto perché mi sembrava una brava persona che voleva solo raggiungere la famiglia in Russia, tra l’altro diceva che per cittadini ucraini non serve il visto, ma solo una registrazione. Ulteriori richieste di chiarimento agli altri passeggeri, forse per il limitato vocabolario russo, hanno ottenuto solo vaghe risposte: problemi. Si è continuato cosi nella mattinata nuvolosa, con ogni tanto qualche casa di legno con contadini che lavoravano nei campi. Poi sono apparsi dei villaggi più grossi, industrie e i quindi i palazzoni tipici dell’epoca sovietica, e d’improvviso ecco la stazione di Mosca Bieloruskaya.
Ce l’avevo fatta ero arrivato, che soddisfazione. Ho comprato una SIM, prelevato un po’ di rubli e affamato come un lupo mi sono diretto verso l’ennesimo fast food. Poco da fare quando c’e fame non si guarda per il sottile, ci sarà tempo per rifarsi. Stanchissimo, ammirando la famosa bellezza delle stazioni, ho preso la metropolitana per raggiungere l’albergo nei pressi della stazione Yaroslavskiy da dove partirò per la Transmongolica.
Recuperate le forze, mi sono diretto sulla Piazza Rossa per l’immancabile foto; purtroppo vi si svolgeva un festival di bande militari e non avendo voglia di restare fino alle 23:00, ho posticipato la visita al giorno dopo andando a passeggiare sulla adiacente affollata via Nikolanskaya.
Molto suggestiva l’illuminazione, più che le nostre vie per Natale, inoltre le campane che suonavano a festa dal vicino monastero Novodevicij ne aumentavano il fascino. Una bella camminata fino alla piazza Lubianka, dove vi è l’edificio della tristemente famosa ex sede del KGB e ho poi preso un bus verso l’Arbat, turistica via pedonale. Ricordo che nel 93 vi avevo comprato del caviale per pochi soldi, mentre ora il lusso dei negozi straborda.
Cena in un buon ristorante georgiano dove parlando del viaggio con un cameriere siberiano di Chitta, ho sentito il fumo del narghilè fumato dai commensali e ho ricordato gli anni in cui ho lavorato in Asia Centrale; ricordi scattati come le Madeleine per Proust.
Ripresa la metropolitana pensavo ai prossimi due giorni a Mosca e poi la partenza notturna sul treno della Transmongolica per Yekaterinburg, fantasticavo sulla vera Russia che mi aspettava.
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