Lasciata Shanghai mi sono diretto a Ovest verso la regione dello Guangxi per navigare lungo il fiume Li e poi nello Yunnan per un trekking e per incontrare le minoranze etniche. Si trattava della conclusione del viaggio in Cina prima del Vietnam. Arrivato dopo nove ore di treno a Guilin, ho risalito il fiume Li con un battello verso Yangshou ed è stata una buona navigazione. Risalendo la vallata ho ammirato i villaggi dei contadini e i pescatori che pescavano con i cormorani; sembra che ogni dieci pesci catturati gliene lascino mangiare uno. Soprattutto ho ammirato le stupende alture che con forme tipo panettoni circondano il fiume. Si tratta di un fenomeno carsico che dove milioni di anni fa vi era il mare, ha creato montagne dalle forme incredibili. Mi ha invece deluso Yangshou perché strapiena di turisti e di negozi di paccottiglia a prezzi più cari che in città. Eppure i cinesi ne vanno pazzi, sembra che parallelamente al consumismo che impregna il paese, abbiano un approccio al turismo tipo Dysneyland. Ho quindi noleggiato uno scooter per andare lungo le rive del fiume Li, ed è stato rilassante perdersi per piccoli villaggi immersi in panorami rurali.
Lo scooter elettrico aveva un’autonomia di cinquanta chilometri e con una veloce ricarica mentre pranzavo, ne ho aumentato la capacita. Spero che questo mezzi si diffondano pure da noi in quanto economici e di certo meno inquinanti di milioni di scooter a benzina per le strade cinesi! Lasciata Yangshou, ho preso il treno per Dali nello Yunnan. Provincia dove vive circa la metà delle minoranze etniche cinesi e che onfina a nord col Tibet e a ovest con la Birmania. Pure Dali purtroppo si presentava come un insieme di negozi di cianfrusaglie ed edifici evidentemente rifatti. Mi stavo pentendo di avervi programmato un soggiorno di quattro giorni, ma mi sono ricreduto visitando il complesso dei templi delle Tre pagode. Un insieme suggestivo, sia per le pagode che per i nove templi su per la montagna. Ogni volta sembrava di essere arrivati all’ultimo, salvo poi scoprire che ve ne era un altro più in alto; il tutto sui duemila metri in una coinvolgente atmosfera di spiritualità e preghiera. Bello pure il lago Erhai, il settimo più grande della Cina, che ho circumnavigato il giorno dopo visitando mercati della minoranza Bai. Intanto mi si era rotto lo schermo del povero telefonino, panico come quando lo avevo perso a Yekaterinburg, ma sollievo quando in una mezzora lo avevano riparato. Un aspetto positivo rispetto al passato riguarda la pulizia e l’igiene di queste cittadine; ora vi sono frequenti vespasiani gratuiti, è raro incontrare chi sputa per terra e per le strade molti netturbini raccolgono i rifiuti. Lasciata Dali ho proseguito a nord verso Lijiang.
Qui la città vecchia era molto più bella di Dali, turistica si ma con ancora splendidi scorci isolati e tranquilli. Chissà che meraviglia sarà stata prima del terremoto e l’arrivo del turismo di massa. Cosi come la città vecchia di Shehe a una mezz’ora di distanza dove ho avuto la fortuna d’incrociare un gruppo di un’etnia che vive al confine col Tibet, che ha intonato canti e balli davvero suggestivi. Al ritorno un’altra dimostrazione di gentilezza: quattro studenti a cui ho chiesto informazioni, non solo mi hanno accompagnato alla fermata bus, ma preoccupandosi non avessi l’applicazione per lo smartphone o la moneta, volevano pagarmi loro il biglietto! In queste settimane ho incontrato una bella gioventù che studia preparandosi con ottimismo al futuro, impaziente di aprirsi al mondo. Positivi, consci e orgogliosi della strada fatta dalla nazione, senza esagerare col nazionalismo ma col sano approccio del confucianesimo: rispetto per la cultura ed etica del lavoro. Speranzosi in un futuro di maggiore libertà e preoccupati per il costo crescente della vita; specialmente riguardo alle abitazioni. Mi sembrava di cogliere lo spirito dell’Italia del dopo guerra come raccontato dai genitori: entusiasmo, serietà e voglia di spaccare il mondo che avevano risollevato la nazione. Pure i cinesi del resto sono grandi risparmiatori con un profondo senso dei legami familiari. Infine il top della permanenza nello Yunnan: il trekking della “Tiger leaping gorge”. Un trekking che richiederebbe minimo due giorni, ma che non disponendo di questo tempo, ho organizzato in forma ridotta in un giorno raggiungendo la mattina presto col bus la base per risalire la gola.
Il trekking è stupendo, il più bello mai fatto dopo il campo base dell’Everest, e sarebbe stato imperdonabile mancarlo. Qui la gola dello Yangtze è la più profonda al mondo con 3900 mt di dislivello e con il fiume che in quindici chilometri scende di duecento metri tra rapide impetuose, mentre ai lati vi sono montagne che superano i 5500 mt. Il percorso sale ripidamente e quindi continua su un sentiero ritagliato nella roccia da affrontare con attenzione perché stretto e scivoloso con punti pericolosi attraversati da cascatelle; se si cade bye bye, perché vi sono precipizi folli. Chi ha scavato questo sentiero ha fatto un’opera incredibile. Ridisceso nel pomeriggio per il bus per Lijinang, mi sono rinfrancato in una guesthouse con te caldo e dumping al formaggio di yak e miele; un vero piacere dopo il percorso e la pioggia. Poi notte nell’anonima capitale Kunming, e quindi l’ultimo treno cinese verso la frontiera vietnamita, dopo sarà Hanoi. Mi dicono che alla frontiera le pratiche siano rognose; del resto fino a non molto tempo fa era un viaggio impossibile verso il Vietnam. Non importa, il piacere di viaggiare aumenta la pazienza!
Nell’anima non ho neanche un capello bianco. – Vladmir Majakovskij –
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