Il film racconta la storia di Daniel, un ragazzo difficile che sta scontando un periodo di detenzione in un riformatorio polacco. Qui segue spesso nelle funzioni religiose padre Tomasz, cappellano del carcere, anche se non manca di partecipare alle faide e ai ricorrenti pestaggi tra i detenuti. Quando manifesta a padre Tomasz l’intenzione di entrare in seminario si sente rispondere (a nostro avviso molto poco evangelicamente) che la sua fedina penale glielo impedisce. A Daniel viene comunque offerta un’opportunità di reinserimento mediante un lavoro all’esterno del carcere nella segheria di un piccolo borgo. Qui le poche famiglie di residenti sono ancora sconvolte dagli echi di un incidente, avvenuto un anno prima, in cui erano perite sette persone. Per una serie di circostanze imprevedibili Daniel finisce con il diventare la guida spirituale della piccola comunità riuscendo anche a scalfire la corazza di omertà e maldicenze che seguitano a covare sotto la cenere della tragedia.
Così ha dichiarato il regista al proposito del suo personaggio: «Senza aver trascorso anni in seminario e senza nessun reale coinvolgimento con l’istituzione, Daniel parla direttamente dal cuore. È l’unica cosa che ha. Ci sono molte persone che cercano di farlo e falliscono. Lui ha davvero questa ‘scintilla divina’. Improvvisamente, nel culmine del momento, è in grado di trovare le parole giuste. E per queste persone, specialmente in quel particolare momento della loro vita, questo è più che sufficiente».
Per la realizzazione del loro film Jan Komasa e Mateusz Pacewitz, regista e sceneggiatore di Corpus Christi, si sarebbero ispirati a un fatto di cronaca realmente accaduto in Polonia dove, a quanto pare, un giovane ha retto una parrocchia per tre mesi senza essere sacerdote. A questo spunto narrativo avrebbero solo aggiunto la faccenda del riformatorio e dell’incidente per dare alla storia un maggior spessore drammatico. La cosa strana è che nella cinematografia italiana dell’immediato secondo dopoguerra c’è qualcosa di molto simile al film polacco. Nel 1950 Aldo Fabrizi produsse, sceneggiò, diresse e interpretò il film-commedia intitolato Benvenuto reverendo il cui personaggio principale è un ladruncolo appena uscito dal carcere che per una causa di forza maggiore indossa una tonaca e viene ovviamente scambiato per un autentico sacerdote. Non solo: in questa nuova “veste” si adopera per sanare conflitti sociali tra agrari e braccianti e riunire legami amorosi sfilacciati. Insomma, fa il vero pastore di anime conquistandosi la benevolenza di tutti. Tanto vicine le due pellicole, pur nella distanza di stile e genere, ambientate entrambe in realtà periferiche e rurali, da suscitare non poca meraviglia (e qualche dubbio). Se qualcuno vuole fare il confronto ecco il link del film di Fabrizi.
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