Del nuovo libro, Simonetta Diena ha acconsentito ad anticiparci un capitolo, intitolato “La scelta”. Per saperne di più non resta che leggerlo con l’interesse che merita.
“Quante volte ho visto un raggiante mattino
blandire le vette dei monti con occhio maestoso,
baciare i verdi prati con aureo volto,
dorare i pallidi ruscelli con celeste alchimia
e subito permettere ad oscure nubi di passare
con minacciosa furia sul suo divino aspetto
e nascondere il suo viso al mondo abbandonato,
fuggendo con vergogna furtivo ad occidente.
Proprio così il mio sole un mattino brillò
sulla mia fronte con esultante splendore;
ma ahimè, non fu mio che per un’ora,
una massa di nuvole or me lo ha nascosto.
Ma non per questo il mio amore lo disdegna;
i soli terreni si oscuran se il sole del cielo s’adombra”.
Shakespeare, Sonetto 33 (1595-1600)
Una mattina Emma uscì di casa, guardò prima a destra, poi a sinistra. Si fermò sul portone. Dove doveva andare? Che strada era meglio prendere? A destra o a sinistra? Si rese conto di non saperlo. Non riusciva a decidersi. Cosa era meglio tra le due strade? E dove l’avrebbe portata la sua scelta?
Questo incipit l’ho addirittura sognato, con un chiaro riferimento a Emma Bovary. Racconta Flaubert, a proposito della sua eroina: “Era così abituata alla menzogna che si poteva essere certi che se raccontava che era uscita girando a destra si era invece senza fallo diretta a sinistra”.
Mi rifaccio a Madame Bovary perché, come suggerivo nell’introduzione, rappresenta sicuramente un topos letterario nella storia delle passioni, un modello romantico della inesorabilità della colpa dell’adulterio. Madame Bovary non può che restare vittima delle sue scelte obbligate. Per Flaubert il suo suicidio è la logica conseguenza di tutte le menzogne cui non riesce più a sottrarsi, della fine dei suoi desideri e delle sue illusioni, che non riescono a reggere il confronto con la realtà.
Il tema dell’adulterio o del tradimento è complesso. In analisi capita di avere pazienti che sono angosciati perché indecisi tra due amori, anche se in realtà è molto più frequente vedere pazienti che sono stati traditi e non riescono a farsene una ragione, a perdonare o a separarsi dal coniuge fedifrago. Odiare è molto più facile che riconciliarsi. Non richiede alcun sacrificio o compromesso. Il primo desiderio, il primo istinto del partner tradito è andarsene, troncare, annullare l’investimento originario. In questo senso la protezione narcisistica dell’Io rifiutato, e soprattutto tradito nella fiducia che aveva riposto nell’altro, sembra essere più forte dell’investimento libidico oggettuale. Meglio perdere l’oggetto d’amore che ha deluso le nostre aspettative e illuso i nostri ideali, che compiere un percorso lungo e doloroso di riflessione sulle vicende passate, su cosa si è detto e fatto insieme, sulle responsabilità del tradimento e sulle complicità inconsce nel non avere voluto vedere o capire. Qualcosa, nella sintonizzazione amorosa, è andata storta. Qualcosa, nell’armonico sviluppo della relazione, ha smesso di risuonare all’unisono e ha preso strade divergenti. La sofferenza che si prova è enorme. La persona in cui si vorrebbe trovare rifugio e consolazione è proprio quella che ci ha tradito e deluso, tra tutte l’ultima cui potremo rivolgerci.
Con il suo tradimento, tutto sembra essere cambiato nella nostra vita: i rapporti d’amicizia, i rapporti familiari, i rapporti lavorativi.
Mamme che piangono tutto il giorno, che si rifugiano a letto, immemori dei figli. Mariti che fantasticano vendette terribili, aliene dalla loro natura mite e tranquilla. Il tradito attacca, il traditore si arrocca. Una riappacificazione, una comprensione reciproca, un perdono chiesto e concesso, appaiono impossibili. L’inesorabilità della colpa, il fantasma del castigo, l’impossibilità dell’indennizzo, sono le uniche vicende possibili, arcaiche rappresentazioni di delitti e castighi, di Super Io primitivi e implacabili.
Nel romanzo Effie Briest di Theodore Fontane, l’autore condanna Effie al ripudio prima e alla morte precoce poi. Importante e incombente compare spesso il senso del dovere nel romanzo, come elemento morale che il tradimento infrange.
Come Madame Bovary e Anna Karenina, Effie Briest descrive la mitologia del matrimonio borghese nel XIX secolo, dove albergano la noia e l’incomprensione coniugale, la sottomissione della donna, la disperata ricerca della passione, la colpa e l’espiazione obbligata dell’adultera. Tutte e tre le eroine muoiono, essendo la morte l’unico possibile finale di una passione impossibile.
Ma soffermiamoci sul titolo di questo capitolo, La scelta: ebbene, come psicoanalisti, noi sappiamo bene che il concetto di scelta è illusorio. Quello che l’uomo riesce a raggiungere è in realtà la capacità di cogliere le numerose occasioni che il destino gli riserva e gli offre nel corso della vita. Spesso non è neanche in grado di vederle, né di accorgersi della molteplicità di possibilità e di intrecci che la vita presenta durante tutto il suo corso. L’analisi trasforma questi destini – quando funziona – e mette in grado i pazienti di investire libidicamente su quegli oggetti che altrimenti non potevano essere colti. Nel linguaggio comune, noi definiamo tutto ciò “compiere delle scelte”, ben sapendo però che non si tratta di vere e proprie scelte, ma semplicemente dell’attivazione di quelle pulsioni libidiche altrimenti represse o negate.
Il sonetto di Shakespeare posto all’inizio del capitolo descrive, in modo lieve ma preciso, la trasformazione dello stato d’animo di colui che viene tradito, e che poi riesce ad elaborare il tradimento, in modo maturo, attraverso la metafora del sole. Si passa dal “raggiante mattino che blandisce le vette dei monti con occhio maestoso”, ovvero l’alba dell’innamoramento perfetto, quando il “sole un mattino brillò sulla mia fronte con esultante splendore”, alla scoperta del tradimento, quando “ahimè, non fu mio che per un’ora, una massa di nuvole or me lo ha nascosto” e quindi si rimane senza il sole dell’amore che illumina brillante l’Io, eccitandolo. Ma ecco che si può perdonare e si può superare la massa di nuvole, l’oscuramento della vita che consegue al tradimento: “non per questo il mio amore lo disdegna; i soli terreni si oscuran se il sole del cielo s’adombra”. Il messaggio è chiaro: non si può perdere la fiducia nell’amore, ovvero nella possibilità di fare nuovi incontri o di rinnovare la fiducia nell’amore traditore, perché c’è una profonda differenza tra i soli terreni e quello del cielo, ovvero tra l’amore Assoluto e le vicende quotidiane del suo sviluppo.
Veniamo adesso allo sviluppo clinico di queste vicende così comuni.
Tra le numerose vicende che sono giunte nella stanza di analisi ne ho privilegiate due che hanno avuto la peculiarità di arrivare quasi in contemporanea e con numerose similarità. Assolutamente differente è stato però l’epilogo per ciascuna, a causa della differente struttura della personalità dei protagonisti.
Le chiamerò Emma: Emma 1 e Emma 2 anche se non sono state, nella storia, le adultere, bensì le vittime dell’adulterio. Peraltro, come detto inizialmente, è molto più facile avere come paziente chi subisce l’adulterio, piuttosto che chi lo perpetra, perché vi è un gradiente di sofferenza incomparabile tra chi è tradito e chi tradisce.
1. Emma 1
Emma è una giovane donna, sposata da alcuni anni con un marito che lei definisce “bello, molto bello”, hanno una bambina piccola, un lavoro interessante, discreti rapporti con la famiglia d’origine. La ragione che la porta a chiedere aiuto è che da poco ha scoperto che suo marito la tradisce da un tempo imprecisato, piuttosto lungo. La scoperta è stata laboriosa: piccoli dettagli che non combaciavano, distrazioni, assenze ripetute e motivate da ragioni lavorative ma prive di ulteriori spiegazioni. Una specie di disagio difficile da definire, dopo diversi anni di matrimonio felice attraversati da progetti comuni realizzati, reciproci sostegni nelle difficoltà lavorative e nelle progettualità più importanti. Un’ottima co-genitorialità verso una bambina molto desiderata e amata, che apprezza moltissimo il padre. Nella storia della famiglia d’origine di rilevante c’è la morte del padre avvenuta quando Emma aveva 19 anni, che ha pesantemente influenzato la vita economica e affettiva della famiglia. Emma si è laureata lavorando, ha avuto una vita faticosa, ma è diventata “una persona forte”, come si definisce, molto orgogliosa della sua indipendenza.
Il tradimento del marito non è il primo. Appena sposati, quando era incinta, il marito era partito per lavoro all’estero e in quel frangente aveva avuto una storia piuttosto importante che lei aveva scoperto casualmente. Aveva fatto molti pianti, lui si era scusato, aveva spergiurato che non sarebbe mai più successo e adesso, cinque anni dopo, si trova di nuovo nella stessa situazione. Ciò che la disturba di più, adesso come allora, è il ripetuto tentativo del marito di negare ogni singolo elemento del tradimento o, per essere più espliciti, della storia parallela che ha con un’altra donna. Questo l’ha portata a controllare agende, cellulari, a confrontare tempi e date, a dubitare di se stessa e di ciò che appariva ovvio. Il marito nega, sempre e comunque.
Durante l’analisi emerge come quest’uomo, piacevole, divertente, innamorato, che l’aveva fatta sentire desiderata e importante, le aveva dato serenità e gioia dopo il faticoso e duro periodo passato a mantenersi da sola, molto orgogliosa ma anche costretta a fare “di necessità virtù”, sia sempre stato una persona che amava raccontare delle bugie, sia che ce ne fosse bisogno, sia che non fosse necessario. Un “mentitore seriale” lo definì dopo un po’. Sapeva, ma aveva preferito non accorgersi a livello cosciente che dopo il primo tradimento ce ne erano stati molti altri. Che lui era una persona che non sapeva stare da solo, che ogni volta che era lontano per lavoro, anche se per un periodo ridotto, intrecciava una storia con un’altra donna, che in fondo lei era stata tradita sempre, continuamente, e che poteva sopportarlo solo negandolo a se stessa, ma che non riusciva proprio a convivere con lui a quelle condizioni. Passò del tempo in analisi. Lui era tornato a casa, ma la storia con l’altra non era finita. A questo punto lei capì che non ce la faceva più. La fiducia del rapporto era incrinata in modo irreparabile, e quella sensazione di essere bella e desiderabile, di essere indispensabile per lui era messa in discussione alle fondamenta. Se lui mentiva in quel modo, sempre e comunque, se lei non riusciva più a celare a se stessa la verità, si sentiva ritornare nella durezza della vita della sua giovinezza, costretta a cavarsela sempre da sola, senza l’aiuto di nessuno.
L’analisi le servì per separarsi, per capire che così si sentiva più sicura e più forte. Emma 1 aveva buone capacità riparative e un buon sistema di difesa. Soffriva, soprattutto per la bambina, ma non poteva accettare una sfacciata poligamia, accompagnata per giunta da continue negazioni. Il marito, eterno adolescente viziato, abbozzò. Provò in vari modi a tornare con lei, ma invano. Ogni volta ricascava nelle abitudini di sempre e reiterava comportamenti di sfacciato inganno.
Emma 1 aveva scelto di andare a destra piuttosto che a sinistra o, semplicemente, durante l’analisi, aveva capito quale fosse la realtà che stava fronteggiando a prescindere dai suoi bisogni più profondi e dalle sue necessità di illusione? Credo sia questa la verità, e la sua decisione di separarsi, più che una vera e propria scelta, fu un percorso obbligato, per proteggere se stessa e la figlia da una situazione divenuta insostenibile una volta diventata esplicitata.
L’analista l’aveva accompagnata in questo percorso senza idee preconcette sulla separazione piuttosto che sulla continuità dell’unione. In questo modo per entrambe le ripetute scoperte delle menzogne reiterate e quasi infantili erano apparse umilianti e alla fine inaccettabili. Non per questo, come dice Shakespeare, il sole smise di splendere nel cielo. La paziente fu in grado di incontrare altri uomini e di accettare il loro corteggiamento, scoprendo che poteva esistere come donna attraente anche negli occhi di altre persone, e non solo del marito.
2. Emma 2
Emma 2 arrivò a chiedere aiuto nella stessa settimana di Emma 1, e con una vicenda, ad un primo ascolto, assolutamente identica. Anche l’età più o meno coincideva, e anche l’età del figlio. Mi disposi all’ascolto, con tutta la “capacità negativa” di cui disponevo. Ben presto però fu chiaro che la vicenda di Emma 2, pur simile nella realtà materiale e fattuale, si dipanava in modo profondamente differente nella realtà psichica interna della seconda paziente.
Emma 2 era molto bella e raffinata, con maggiori possibilità economiche della sua omonima, e un rapporto con la famiglia d’origine più stretto. Sulla carta sembrava più solido il potere contrattuale di Emma 2, ma non si rivelò così nella realtà. Anche la seconda Emma aveva perso il padre a vent’anni, e si era ritrovata, insieme alla madre e alla gemella, a mandare avanti un’azienda familiare che, pur essendo stata fiorente e portatrice di benessere economico nella loro infanzia, ciononostante alla morte del padre aveva cominciato a declinare in modo inesorabile. Questa parola, “inesorabile”, ha caratterizzato, in sostanza, tutta l’analisi di Emma.
La presenza di una gemella nella vita della paziente mi aveva molto tranquillizzato, rispetto a una sensazione di disagio che avevo subito provato, a differenza che con Emma 1.
Emma 2 non era vissuta nelle ristrettezze economiche, ma nelle continue lotte con creditori e fornitori, con una madre logorata dalla situazione, che chiedeva aiuto alle figlie, materiale e morale. Uscire di casa si era rivelato anche per Emma una necessità impellente per sfuggire a questa situazione familiare claustrofobica, e ben presto era riuscita a costruirsi una vita lavorativa ricca e interessante. Si era sposata presto, con un uomo gentile e affettuoso, e tutto sembrava andare per il meglio.
Ma come abbiamo già visto molte volte, la situazione materiale esterna non necessariamente corrisponde alla realtà psichica interna, soprattutto quando sono in gioco le passioni.
Emma si innamora improvvisamente di un altro uomo e, nonostante tutti i suoi sensi le suggeriscano di lasciare perdere, che il marito è molto meglio, e che la nuova famiglia in cui è stata accolta contiene molti aspetti riparativi della sua infelice adolescenza, si separa e si mette con quest’altro uomo. Si sposano e hanno un bambino, ma qui Emma non trova la pace e la serenità che aveva trovato con l’altro marito. Piuttosto si incontra con qualcosa mai provato prima.
Si tratta di un uomo che pare minare costantemente il suo senso di fiducia in se stessa e la sua autostima. Lentamente la convince di essere una persona inadeguata, distratta, incapace. Anche sulla sua avvenenza fisica ha da ridire, trovandola sciupata e differente rispetto alla donna che aveva sposato.
La paziente che viene a trovarmi è una donna devastata dalla sofferenza, dal fatto di essersi andata a mettere con le sue mani esattamente nella situazione da cui era scappata da giovane. Non lavora più, perché il bambino è troppo piccolo, dipende economicamente dal marito, che la critica continuamente, anche perché non si sa mantenere da sola e, goccia che ha fatto traboccare il vaso, sospetta di essere tradita. Anche per Emma 2 sono i dettagli, le incongruenze, le assenza inesplicabili, a metterla in sospetto. Emma affronta il marito e anche in questo caso lui nega, sostenendo che si tratta di parti della sua fantasia e minando ulteriormente la sua autostima. Emma si abbassa a pedinarlo e lo scopre in flagrante, ma anche in quel caso il marito si difende, facendola sentire come una visionaria che tende a inventare la realtà. Emma appare sempre più come una vittima predestinata.
Il marito sembra un perverso che si diverte a metterla in difficoltà. Emma è disperata. Sa che ha ragione, ma si sente in balia di quest’uomo. La sorella e la madre non riescono ad aiutarla, e in tale occasione scopriamo in analisi che il padre di Emma era stato a sua volta un traditore seriale, e che la madre aveva sopportato tutto, per i figli e per la sua dipendenza economica.
A differenza di Emma 1, il marito di Emma 2 non mente per immaturità, ma per sadismo, e nega la verità di un desiderio “che si camuffa” in “verità di sapere” (Piera Aulagnier, 1967) secondo la capacità del perverso di “inventare la realtà” attraverso la negazione e la scissione. Io sospetto infatti che si tratti di un grave perverso, anche per altri dettagli che Emma mi racconta, e che abbia trovato in lei la vittima perfetta.
La negazione e la sfida sono le strategie fondamentali dell’universo perverso. Il desiderio di conoscere in relazione alla trasgressione domina questo mondo, ma è un mondo in cui l’agito e l’azione sostituiscono costantemente l’elaborazione di un pensiero. Il perverso crede di essere libero, ma in realtà è sottomesso ad una legge rigidissima, nella quale non c’è alcuna flessibilità sotto l’imperativo: “Godi!” Il perverso vede l’altro come un corpo, un oggetto da cui trarre piacere, ed è devastato dall’urgenza di appropriarsene. Lo scenario psichico del perverso è dominato da un simbolismo estremo, e da un’altrettanta estrema povertà erotica. La realtà esterna è continuamente sfidata e negata.
I sentimenti di Emma originano proprio dalla negazione della realtà imposta ai suoi sensi, e introducono nel mondo dell’assurdo, dove si alternano senza fine illusione e delusione nella mente intrappolata di questa donna.
Complessivamente Emma è costantemente frustrata nel suo tentativo di cogliere una dimensione reale del marito, una sua affettività o sensualità, scontrandosi con il pervicace progetto del partner di non mostrare nulla di reale, pur facendo vedere continuamente alla moglie il nulla della sua esistenza. Così facendo Emma viene messa nella condizione di essere privata dalla capacità di autonomia della visione, immobilizzata e controllata. Il nocciolo della struttura perversa, che risiede appunto in una costruzione difensiva profonda in cui l’altro, l’oggetto, deve essere costantemente controllato, viene così reso perfettamente. Impedendosi la rappresentazione dell’immagine dell’altro e la sua visione, Emma però si protegge dall’angoscia di castrazione, dalle fantasie fusionali con la madre e da ogni possibile gioco imitativo di identificazione.
Questa storia finisce meno bene. Non riesco ad aiutare efficacemente Emma 2. Non si separa, ma accetta di andare a vivere vicino alla madre, da sola, lontano dal marito. Si tratta di una sconfitta, non di una vittoria. è il ritorno al luogo originario del trauma, cui non è riuscita a sottrarsi.
Anche qui, non è stata una scelta, né tanto meno una riparazione, ma una coazione a ripetere articolata e profonda, che ha lentamente chiuso le multiple vie d’uscita che questa donna era riuscita inizialmente a costruirsi. Rimango impotente, in questo aspetto della realtà emotiva della paziente, che, raggelante nella sua immobilità, si sottrae ad ogni possibile ulteriore indagine o richiesta di aiuto.
Commento
Per quanto possa sembrare strano, e per quanto la letteratura e il cinema siano piene di storie di tradimenti e sofferenze, e per quanto possiamo dire “Insomma, il tradimento esiste dai tempi dei tempi, da quando Eva mangiò la mela, da quando esiste l’amore!” ebbene, nonostante tutto ciò e molto altro ancora, nella letteratura psicoanalitica non ci sono studi espliciti su un argomento non secondario, e cioè perché, in fondo, l’uomo e la donna siano monogami, e l’amore possa finire e possa iniziare un altro amore, e possa anche essere che nell’intermezzo vi siano delle sovrapposizioni, dei tradimenti, delle passioni contrastanti, ma alla fine, sempre, per tutti, vale il principio che non si riesce a stare con più persone contemporaneamente, ovvero, si ama solo una persona alla volta.
I paesi e le religioni dove vige la poligamia sono Paesi dove si sposano più donne (mai più uomini), ma solo perché si aggiunge alle vecchie mogli una nuova, sulla quale si concentrano le attenzioni. Ci sono, e li vediamo in analisi, persone che frequentano due donne o due uomini contemporaneamente, ma si tratta di situazioni penose e dolorose, di antichi legami che non si riesce a spezzare, di nuove vite che non si riesce a intraprendere. E, non a caso, spesso è per la sofferenza per tale impossibilità a risolvere i conflitti potenti e arcaici che generano queste situazioni che si viene in analisi a chiedere aiuto.
Eppure, perché – ci potremmo e dovremmo chiedere – la specie umana è monogama? Si dice “Per sempre” anche credendovi, ma è un per sempre che è tale solo nell’istante del momento presente, quando si è in preda all’estasi della passione, e si vorrebbe che non finisse mai. Wagner pone Tannhäuser nel giardino di Venere, dove può dilettarsi di tutti i piaceri del mondo, ma dopo alcuni anni Tannhäuser è inquieto, sente il suono dei corni degli antichi compagni di battaglia e il richiamo della guerra ribolle nel suo sangue. Il suo “Per sempre” non riesce a durare per sempre.
Eppure, per tornare al quesito inziale, anche Tannhäuser, nel giardino di Venere, nel momento della sua permanenza accanto alla dea dell’amore, ama solo lei. Anche Ulisse, accanto a Calipso, ama solo la soave Ninfa che offre all’amato nettare e ambrosia, il cibo degli dei. Il fatto che poi una storia d’amore finisca, che venga meno l’investimento erotico, libidico, passionale e di tenerezza sull’oggetto d’amore, e che altre passioni prendano il sopravvento, o per un altro oggetto d’amore o, nel caso di Tannhäuser e Ulisse, per il richiamo dei corni dei compagni di battaglia, o per il richiamo al dovere da parte di Zeus a riprendere il viaggio, non cambia il fatto che in quel momento l’investimento è centrato unicamente su quell’oggetto.
Ulisse avrebbe potuto passare con Calipso, in quella meravigliosa isola senza tempo, l’eternità, in una condizione di sempiterna felicità, similmente a Tannhäuser nel Venusberg, il Monte di Venere. è interessante notare che entrambi gli eroi passano sette anni in tali luoghi. Eppure dopo sette anni l’amore eterno finisce, e l’interesse dell’eroe si dirige altrove.
Ora la domanda sull’unicità dell’investimento rimane fondamentale. Ulisse dimentica Penelope, e Tannhäuser dimentica Elisabetta, e per sette anni entrambi amano un’altra donna. Anche nella vita quotidiana delle persone comuni, e non solo degli eroi, assistiamo a queste vicende, di “anni sabbatici” presi dal vincolo coniugale, cui si ritorna o che si spezza, a seconda dei soggetti e dei partner dei soggetti.
Freud, e altri analisti dopo di lui, come abbiamo visto nel secondo capitolo, si sono interrogati sul “Perché si ama” ovvero per quale motivo l’essere umano senta la necessità e il bisogno insopprimibile di un investimento su un oggetto esterno da Sé. Quello che però mi chiedo in questo capitolo è differente, ovvero per quale motivo l’investimento amoroso sia – a parte gravi patologie, che abbiamo anche affrontato nel libro – su un unico oggetto alla volta. Eppure, per quel che riguarda altri tipi di investimenti, la pluralità in contemporanea è diffusa, per esempio i genitori possono amare più figli, si possono avere numerosi amici, si praticano con passione differenti sport, si amano opere d’arte e i generi d’arte più vari.
Allora, perché l’oggetto d’amore deve essere, nella stragrande maggioranza delle situazioni, unico? Perché il libero amore ha prodotto e produce enormi sofferenze e disagi, nell’incapacità di almeno uno dei due partner di accettare la presenza di un altro? Perché la coppia monogamica rimane il modello fisso della relazione amorosa, anche se, come abbiamo visto, non eterno? E lo è nei secoli, e nelle culture e nella storia, e nell’arte.
Cosa può offrire la psicoanalisi in termini di riflessione su tale persistenza, su questa invariante, cosa possiamo dire di specificatamente psicoanalitico, e non sociologico, o antropologico, o biologico?
Penso che una possibile spiegazione risalga alla vicenda arcaica, pre-edipica che sottostà, come abbiamo visto, a ogni futuro investimento amoroso adulto. Abbiamo visto come il bisogno di amare, e di essere amati, possa essere inteso come prototipo di ogni bisogno umano, e di ogni relazione tra esseri umani. La fusionalità e la dipendenza della coppia madre-bambino formano una matrice primitiva dell’esperienza amorosa che viene poi perduta come memoria cosciente nella prima infanzia e risperimentata nell’adolescenza e nell’età adulta.
In questa matrice primitiva, che perdura come traccia mnestica e come modello di invariante, il possesso dell’oggetto d’amore risulta fondamentale. è un’incorporazione cannibalica, dalla forte matrice orale, ben espressa dalle frasi che spesso gli amanti si scambiano: “Ti mangerei di baci. Ti voglio mangiare tutto, ecc. ecc.”. L’oggetto d’amore si desidera con una tensione dolorosa, una prepotente spinta al possesso assoluto, che esclude ogni altro possesso. Fondersi con tale oggetto, incorporarlo al proprio interno, diventare tutt’uno con esso, sono tutte vicende emotive, passionali e potenti che implicano l’insopprimibilità dell’unicità dell’investimento. Il desiderio dell’altro è potente, fino alla sofferenza per il mancato possesso e, per definizione, esclude ogni altro desiderio di ogni altro oggetto. è il ritorno al seno materno come unico possibile soddisfacimento dell’infante, è l’imitazione di cui parla Eugenio Gaddini come prima forma di conoscenza dell’altro1, è il bisogno di fare propria quell’alterità dell’altro che viene vissuta come minacciosa rispetto al desiderio.
Quanto tempo permanga questa unicità e assolutezza dell’incorporazione dell’amato è questione di imprinting, di adattamento sociale, di convinzioni morali, di orientamenti sessuali, di modifiche ambientali. Si va dal “But out! alack! he was but one hour mine” (fu mio solo per un’ora) di Shakespeare alla ventennale fedeltà di Penelope così cantata da Omero:
Sempre sarà pronto per te il tuo letto,
quando in cuore tu lo desidererai,
perché gli dei ti concessero di giungere
alla tua casa ben costruita e alla tua patria terra.
Omero (XXIII, vv. 257-262)
è una scelta la fedeltà? è una scelta il tradimento? Difficile dirlo. Come ho detto prima, non penso si sia liberi di compiere scelte in campo affettivo. Il mondo delle passioni si attiva o si spegne a seconda di numerosissime varianti, come abbiamo cercato di illustrare finora. Quando ci innamoriamo ci sentiamo “in preda alla passione” e quindi ad essa soggetti, incatenati. Se non ci innamoriamo, ci sentiamo repressi, legati da mille vincoli interni ed esterni. Difficile parlare di scelta, e difficile compiere delle scelte. “Non potevo fare altrimenti” si sente spesso ripetere dai pazienti. “Trascende ogni mia possibilità di controllo” dice il Visconte di Valmont nelle Liaisons dangereuses di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos (1782), romanzo che pretende di essere un quadro di costumi della nobiltà e dell’alta borghesia francese alla vigilia della Rivoluzione, ma che in realtà è una potente analisi di passioni crudeli entro il quadro d’un giuoco serrato, la cui posta, anche se non tutti i personaggi se ne rendono conto, è la vita.La scelta
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