In una società che invecchia a vista d’occhio sembra che pochi, soprattutto a livello politico, siano veramente interessati al problema di come gestire la sempre crescente popolazione di anziani che necessita di cure, di assistenza e soprattutto di attenzione. Le ragioni principali di questo invecchiamento sociale sono indubbiamente i bassi tassi di natalità e l’incremento dell’aspettativa di vita. La “nuova anzianità” inoltre non registra quasi mai un passaggio netto dall’autosufficienza alla non- autosufficienza, ma presenta un percorso di graduale perdita dell’autonomia con la conseguente necessità di avere servizi diversificati per permettere di mantenere più a lungo possibile le persone nella fase di vita indipendente.
Questo è un tema per me molto importante e attuale in quanto essendo ultrasettantenne giustamente mi preoccupo di come potrà essere la prospettiva della mia vita futura se non verrà organizzata adeguatamente. Ma quali sono le alternative disponibili oggi per una” serena vita da anziano”?
Sostanzialmente tre: la possibilità di essere assistito dalla famiglia (se esiste un contesto familiare che lo permetta), l’assunzione di una badante (soluzione molto diffusa ma con diverse criticità) e infine il ricovero presso un istituto, la classica soluzione di tutti i tempi (mi ricordo che, quando ero molto piccolo, si usava chiamare la casa di riposo di Santa Caterina con l’appellativo “i cronici”).
Tuttavia esistono anche altre alternative, magari poco conosciute, che possono aprire nuovi orizzonti. L’alternativa di cui voglio parlare ora si chiama “senior cohousing,” o, detto in italiano, “abitazione condivisa dedicata alla terza età”. Con questa denominazione si intende una forma di aggregazione sociale che combina l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi, con benefici dal punto di vista sia sociale che ambientale. Questa idea nasce in Scandinavia negli anni ‘60, ed è diffusa specialmente nei paesi del nord Europa, ma anche Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone. In Italia tale realtà sta lentamente prendendo piede da qualche anno, anche se con molte difficoltà dovute ai nostri pregiudizi culturali che frenano l’affermarsi del modello abitativo comunitario. Infatti, per tradizione, in Italia i bisogni di cura e socializzazione vengono soddisfatti prevalentemente all’interno della famiglia e l’abitazione viene sempre collegata alla proprietà individuale. Nella nostra cultura è rara la propensione a vivere con altri, condividere spazi e oggetti, e cambiare casa o luogo di residenza specie nella terza fase della vita. Di conseguenza le offerte, sia da parte di enti pubblici che privati, improntate a questo concetto di abitare sono veramente poche anche se i vantaggi di questa soluzione sono evidenti: evitare di essere un peso per la propria famiglia, vivere in comunità con altre persone più o meno della stessa età condividendone i servizi e i benefici, continuare a coltivare i propri interessi e mantenere attive le proprie competenze. Questa ultima caratteristica è molto importante e viene sviluppata in alcune realtà già esistenti dove i residenti con specifiche competenze (letterarie, tecniche, manuali, artistiche ecc.) organizzano incontri, corsi e seminari rivolti alla comunità locale. In definitiva vuol dire essere parte di una grande famiglia che, ed è importante precisarlo, a differenza delle “comuni” anni ’70, ha un approccio laico e non ideologico e non comporta una rinuncia alle dimensioni private dell’abitare. Rappresenta solo una scelta alternativa che contiene molti aspetti positivi e che può consentire di poter vivere meglio la propria vecchiaia.
“La vita over-65 ha un senso quando la si vive insieme e le si dà valore” dice il geriatra Carlo Vergani. Il raggiungimento di questo obiettivo non è facile ma molto stimolante ed è per questa ragione che mi sto interessando a questa possibilità, insieme a mia moglie e ad altri amici, per condividere con loro questa stagione della vita, aiutandosi l’uno con l’altro, in un contesto il più possibile sereno e dignitoso. Alla domanda: “quando si diventa vecchi?” Albert Einstein rispondeva: “quando i ricordi superano i sogni”. Qualcuno, leggendo questo articolo, può aver pensato che si tratti solo di un “sogno “o poco più…forse lo è ma può rappresentare un ottimo antidoto all’invecchiamento.
Roberto Tilio
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