EUROPA. In vista del Consiglio europeo che il prossimo 23 aprile riunirà i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri dell’Unione non si ferma il dibattitto sul Meccanismo europeo di stabilità – il cosiddetto “Fondo salva-stati” o MES – come strumento per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. Il tema, che torna ad intrecciarsi con il dibattitto sulla mancanza di solidarietà tra paesi europei, alimenta le tensioni tra Italia e alcuni paesi del Nordeuropa contrari all’emissione di eurobond. Il premier italiano Giuseppe Conte, in una intervista rilasciata nel fine settimana al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, ha insistito che “serve tutta la potenza di fuoco dell’Unione europea attraverso l’emissione di titoli comuni che consentano a tutti i Paesi di finanziare in maniera equa e adeguata i costi di questa crisi. Non si tratta di mutualizzare il debito passato o futuro, ma solo di finanziare tutti insieme questo sforzo straordinario”. Nel frattempo, mentre alcuni paesi europei si apprestano a riaprire le attività, spavento a Parigi per il ritrovamento di tracce del coronavirus nella rete idrica dell’acqua non potabile della capitale francese. Il comune però ha tranquillizzato i cittadini, affermando che “non c’è alcun rischio per l’acqua potabile”.
REGNO UNITO. Anche se la salute del premier Boris Johnson continua a migliorare, la popolarità del suo governo è in peggioramento. Un’inchiesta del Sunday Times ha infatti rivelato che il primo ministro ha saltato diverse riunioni sulla situazione coronavirus nelle settimane precedenti lo scoppio dell’epidemia nel paese. Il Regno Unito, ora nel pieno del contagio, sta mettendo in discussione l’operato del governo, soprattutto nelle fasi di preparazione all’emergenza. Johnson è infatti accusato di aver dato priorità a Brexit, sottovalutando la portata dei danni che lo sbarco del coronavirus avrebbe portato al paese.
AFGHANISTAN. Quaranta membri dello staff amministrativo del palazzo presidenziale afghano sono risultati positivi a coronavirus. Non è chiaro se il presidente Ashraf Ghani si sia sottoposto a test, ma al momento partecipa a quasi tutti gli eventi in videoconferenza. Poche eccezioni, tra cui l’incontro con alcuni funzionari iraniani, di cui le immagini rilasciate dall’account twitter di TOLOnews, uno dei principali media del paese, mostrano i partecipanti rispettare pedissequamente le norme di distanziamento sociale. Parte dei malati, tuttavia, lavora nell’ala amministrativa dell’ufficio presidenziale, nel consiglio di sicurezza nazionale e nell’ufficio del capo di gabinetto, e aumentano gli interrogativi riguardo alla possibilità che lo stesso presidente possa essere stato contagiato. Nonostante una fonte del servizio sanitario abbia affermato che il virus sia arrivato nel palazzo presidenziale attraverso un “documento contaminato”, non vi è ancora una spiegazione riconosciuta. L’Afghanistan ha certamente risentito della situazione in Iran, da dove sono rientrati diversi migranti afghani poco doppio lo scoppio dell’epidemia nel paese.
USA. Nel fine settimana, il presidente Trump ha presentato un piano in tre fasiper la riapertura del paese, lasciando ai singoli stati la decisione sulle tempistiche. Tra i primi stati a riaprire ci sarà il Texas, mentre i più colpiti estenderanno le misure più rigide almeno fino al 15 maggio. A margine della presentazione, è andato in scena un duro scontro tra il presidente Trump e alcuni governatori sul terreno dei test diagnostici: Trump, che ha evidenziato come gli USA siano il paese che ha condotto più test pro capite al mondo, ha dichiarato che gli Stati Uniti dispongono di sufficiente capacità di test per poter porre le basi per una graduale riapertura del sistema, e che è responsabilità dei governatori incrementare il numero dei controlli diagnostici effettuati. La risposta, bipartisan, dei governatori di alcuni stati alle accuse di Trump ha messo in luce la scarsa disponibilità di reagenti chimici che limitano le possibilità dei laboratori di processare un numero maggiore di test. Intanto, il numero dei contagi nel paese ha superato i 750.000, con più di 40.000 morti.
AUSTRALIA. L’Australia ha chiesto l’apertura di un’indagine internazionalesull’origine del coronavirus e sulle responsabilità della Cina nella gestione dell’epidemia. In particolare, le parole della ministra degli esteri australiana, Marise Payne, hanno gettato ombre sulla trasparenza di Pechino e sulla risposta dell’OMS alla pandemia globale. L’Australia, ha precisato Payne, condivide le preoccupazioni degli Stati Uniti sotto questo punto di vista e andrà a fondo sulla richiesta di fare luce sugli aspetti controversi legati alla diffusione del virus. Intanto, riaprono a Sydney tre delle principali spiagge della città per permettere ai cittadini di utilizzarle per fare esercizio fisico e “alleggerire” la pressione mentale dovuta alle misure di lockdown.
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